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La storia di Aden, città magica tra Zanzibar e Mumbai, in un museo

Intervista alla curatrice Sarah Ansbacher, scrittrice londinese, ma di casa a Neve Tzedek, sede della cultura yemenita

Aden è una delle città principali dello Yemen. Si affaccia sul Mar Rosso e sorge sul cratere di un vulcano estinto, in un golfo sul quale venne costruito un importantissimo porto che fece la fama della città. Descritta da Marco Polo come un importante snodo commerciale, Aden è equidistante da Mombai e da Zanzibar. Perfino la dinastia Ming inviò dei regali al re di Aden nel 1421.
Sebbene gli ultimi ebrei lasciarono la città nel 1967, si crede che la comunità ebraica di Aden abbia origine intorno al II secolo a.e..v. Fu a lungo una delle comunità più importanti del paese. Dal XIX secolo, quando il porto fu sotto il controllo del protettorato britannico, la città divenne un centro di accoglienza per diverse comunità della zona.
Al confine di Neve Tzedek, davanti al primo chiosco di Tel Aviv, a pochi minuti dalla spiaggia, dai ristoranti e dalla boutique, e più precisamente al numero 5 di Lilienblum Street: è qui il il museo degli ebrei di Aden, in cui è possibile immergersi nella storia della comunità. Sarah Ansbacher, scrittrice londinese, ne è la curatrice.

Cosa ti ha spinto ad appassionarti alla storia degli ebrei di Aden?
“A dire il vero è stato tutto molto inaspettato. Nella prima metà degli anni 2000 ero a Londra, stavo scrivendo il mio romanzo Ayuni. La protagonista del libro è un’ebrea londinese con origini adenesi, il che per me era un dettaglio come un altro – la comunità di Aden emigrò dallo Yemen principalmente a Londra e in Israele ed è quindi comune sentirne la storia, avere compagni di classe di origini adenesi, o così via. Per qualche anno, presa dall’Aliyah, misi da parte il libro per riprendere a scriverlo solo nel 2016. Mostrai il manoscritto ad un’amica, che mi chiese chi fossero gli ebrei di Aden. Per me fu molto sorprendente: significava che la comunità non era così conosciuta e che dovevo includere più dettagli nel libro. Così ne approfittai per visitare il museo della comunità, qui in Lilienblum street. Sei mesi dopo la mia prima visita mi informarono che il curatore non poteva più occuparsi del museo, che la posizione era aperta e che sarebbero stati felici di assumermi. Non era certo nei piani, il mio ebraico non era affatto sufficiente, io non ho origini adenesi, come potevo raccontarne la storia? Eppure, eccoci qui, quattro anni dopo”.

Credi sia importante fare parte di una comunità per poterla narrare?
“In un certo senso ho sentito il bisogno di dovermi avvicinare ancora di più alla comunità per adottarne il più possibile la prospettiva. Sono cresciuta con tanti amici di origini adenesi. Ho imparato la storia della comunità nei dettagli, ma da un punto di vista narrativo: volevo conoscere l’elemento personale, la storia ufficiale ma anche ciò che c’era dietro, l’elemento antropologico. Mi interessano i fatti storici ma soprattutto chi li compie”.

È la tua formazione da scrittrice a rendere il tuo approccio diverso da quello di una storica o un’archivista?
“Credo di si. Per raccogliere e presentare i dati ho parlato con tantissime persone, l’elemento umano è stato centrale. Mi capitava che qualcuno mi raccontasse la storia della sua famiglia ed ero in grado di inserirla in un albero genealogico mentre ne parlavano, come se fossi io stessa parte di quel ramo famigliare. Non solo i dati di Aden si trasformavano in piccole storie e narrazioni, ma tutte le interazioni con i turisti e i curiosi che visitano il museo erano per me già dei piccoli racconti: la magia del museo viene proprio dai visitatori. È stata questa l’ispirazione del mio ultimo libro, Passage from Aden: storie da un piccolo museo di Tel Aviv, una collezione delle storie dei visitatori del museo. Il periodo del lockdown è stato difficile e siamo felici di poter accogliere di nuovo i visitatori e le loro speciali storie”.
Sarah prosegue poi con un piccolo tour virtuale del museo. Con la mano libera dal telefono indica Aden, sulla punta dello Yemen. “Alcune lettere rinvenute al Cairo confermano che la comunità sia qui almeno dall’XI secolo. Il controllo britannico su Aden fu particolarmente simbolico per gli ebrei dell’area – non dovevano più pagare una tassa speciale, potevano costruire sinagoghe senza l’obbligo che fossero più basse delle moschee, potevano indossare i vestiti che volevano… Ci fu quindi un miscuglio di tutte le comunità dell’area”.
Sarah mostra alcuni degli oggetti regalati dalle famiglie adenesi: “Come vedi, nulla è ‘made in Aden’. La città era un porto, un viavai di culture. Abbiamo oggetti dall’India, dalla Repubblica Ceca, dalla Gran Bretagna…”.

Continua: “La storia dell’edificio dove ci troviamo è molto interessante. Ci troviamo al piano terra del Bet Knesset Kol Yehuda, costruito su un terreno comprato da Yehuda Menachem Messa negli anni ’20. La nipote e il marito ordinarono la costruizione della sinagoga nel ’38, commissionata all’architetto principale di Tel Aviv di quell’epoca, Yehuda Magidovitch. Non è un caso che ci troviamo proprio a Neve Tzedek: è il quartiere più antico di Tel Aviv dopo Jaffa. Yehuda Menachem Messa, dove Messa è adenese per Moshé, venne qui via nave da Aden a Port Sayd, e poi via treno fino a Jaffa.
I discendenti di Messa, Dani Goldsmith e Uriel Messa, costruirono il museo per tenere viva la memoria della comunità. Prima che diventasse un museo lo spazio fu usato come rifugio durante gli attacchi aerei dall’Egitto e rimase a lungo non utlizzato. Il museo è un museo di heritage, raccoglie i ricordi di una comunità in diaspora.

Il primo piano dell’edificio fu inizialmente ideato con delle arcate da dedicare a botteghe (Copyright Aden Jewish Heritage Museum)

Nel 1947 la comunità della città ha praticamente fine. La popolazione araba locale prese d’assalto i quartieri ebraici e 87 membri persero la vita. La comunità fu devastata. Persero anche i loro negozi, che furono saccheggiati. Gli ebrei adenesi emigrarono in massa in Israele, sebbene alcuni rimasero ad Aden. Ma con la perdita del controllo britannico sull’area nel 1967, chi rimase fu invitato o forzato a lasciare il paese dato il clima di insicurezza che si sarebbe instaurato senza la protezione britannica. Emigrarono a Londra o in Israele. Spesso si dice che la comunità di Aden terminò nel ’67 – non è così, gli adenesi sono ancora molti attivi nelle città che li hanno ospitati. A Londra esiste una sinagoga adenese dove viene parlato il dialetto”.

Sarah indica delle foto degli anni ’60 di ebrei adenesi, dove i visitatori possono attaccare dei post-it con dettagli aggiuntivi, qualora riconoscessero i loro famigliari.

© Aden Jewish Heritage Museum

Nel ’67 un aereo con direzione Londra imbarcò fino all’ultimo ebreo della città. Aden è ora sfondo di una Guerra civile: per alcuni, questo angolo di Neve Tzedek è un’alternativa ad un viaggio alla riscoperta delle proprie origini. Per altri, un’ottima occasione per scoprire una comunità dal passato millenario.

 

Micol Sonnino
collaboratrice

Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.


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