Cultura
La storia di Salo Muller, da bambino della Shoah a fisioterapista dell’Ajax

Per la prima volta in Italia il libro delle sue memorie

Da ieri nelle edicole si trova il volume edito da Il Sole 24 Ore dal titolo A stasera e fai il bravo. Sono queste le parole e le raccomandazioni che la mamma del piccolo Salo Muller, autore del libro, gli rivolge davanti alla porta di scuola. Poi più niente. Perché poi i genitori di Salo vengono presi in un rastrellamento e deportati. Il piccolo Salo ha solo sei anni e si salva grazie all’aiuto della resistenza olandese. La sua testimonianza arriva per la prima volta in Italia in questo volume tra storia e memoria.

Salo Muller poi diventerà il fisioterapista dell’Ajax, ma anche un giornalista e scrittore. Per raccontare, per ricordare. Perché la pienezza della sua vita, come ha dichiarato spesso, è legata direttamente alla possibilità di testimoniare. Così scrive questo libro, una raccolta di pensieri, di appunti sulla storia, di ricordi in ordine sparso, non cronologico, su quanto è accaduto a lui e agli ebrei olandesi durante la Seconda Guerra Mondiale. “Ogni volta che leggo l’inizio di Ondergang (“Sterminio”) del professor Jacob Presser”, si legge nell’introduzione, “mi vengono i brividi alla schiena. L’autore scrive: «Questo libro narra la storia di un omicidio. Un omicidio di massa di una portata senza precedenti, premeditato e perpetrato a sangue freddo. Gli assassini erano tedeschi, le vittime ebree»”.

La sua storia comincia il 29 febbraio del 1936 al civico 34 di Molenbeekstraat, di Amsterdam. Quel giorno infatti nasce Salo nella sua casa di famiglia, dove conduce per i primi anni della sua vita, con un’infanzia felice, piena di affetti e attenzioni.

“Un giorno cucirono a tutti noi una stella gialla – la mia finì sul cappotto blu. A me piaceva moltissimo, la mostravo con orgoglio a chiunque incontrassi”, racconta Salo Muller. Poi la storia, quella macroscopica della Seconda Guerra Mondiale, dei rastrellamenti e delle deportazioni insieme a quella personale di orfano impegnato a nascondersi e sopravvivere. Cambia nome ogni volta, si mimetizza in ogni nuova famiglia, scantinato, fienile, pollaio. Impara a convivere con la paura, il silenzio e i topi. Poi la guerra finisce. “Quella sera dovetti andare a letto presto, ma ovviamente non riuscii a prendere sonno. Nella testa mi scorreva un film. Come mi chiamavo davvero? Avrei dovuto lasciare anche la fattoria? Avrei finalmente rivisto papà e mamma?”, commenta Muller. Da quel momento comincia una nuova vita. Torna ad Amsterdam, dove ritrova gli zii, ma non ha nessuno. La solitudine, la paura e l’ansia si trasformano in disturbi che Muller si porterà dietro per sempre, insieme alla domanda, angosciosa, sul perché lui sia sopravvissuto e nessun altro della sua numerosa famiglia.

La vita poi lo conduce a diventare massaggiatore, entrare come fisioterapista nella squadra dell’Ajax (e viverne l’epoca d’oro), conoscere quella che diventerà sua moglie e dare vita alla sua famiglia. Quindi, a scrivere questo libro. Una piccola testimonianza, un’immersione nella storia degli ebrei olandesi, uno sguardo sul futuro e un richiamo, imprescindibile e severo: continuare a raccontare.


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