Cultura
Le scorribande di Shimon Bar Giora, difensore di Gerusalemme (prima parte)

Storia in due puntate di un eroe per caso

All’interno del carcere Mamertino a Roma, non lontano dal Colosseo, è stata apposta una lapide che ricorda diversi personaggi giustiziati per mano dei Romani, “Vittime dei trionfi di Roma”, così esattamente recita la lapide.
Tra queste vittime compare un personaggio di nostro interesse e di cui vale la pena approfondirne la storia e le gesta.
Il suo nome era Shimon Bar Giora, comandante militare e difensore di Gerusalemme durante l’assedio posto dai Romani, culminato poi con la caduta della città nel 70 e.v. e la conseguente distruzione del suo Grande Tempio, il Bet Ha Migdash.

Shimon era un ebreo edomita, originario di una regione del deserto del Neghev a sud-est del Mar Morto, denominata appunto regno di Edom (rosso in ebraico), rosso come le rocce di quel deserto e rosso come era il pelo di Esav, fratello di Giacobbe che proprio in quei luoghi andò a stabilirsi assieme alla sua tribù dopo essersi definitivamente separato dal fratello in malo modo, a causa di una disputa sul diritto di primogenitura. Strana coincidenza storica, verrebbe da dire, visto che l’argomento di cui parleremo qui di seguito tratterà proprio di una molto più devastante lite tra fratelli.
Bar Giora era un guerriero audace, scaltro e dalla corporatura possente, dopo essere stato allontanato dalle autorità religiose, per motivi che non conosciamo dal suo ruolo di toparca (una sorta di sindaco odierno), iniziò la sua nuova “carriera” di predone, unendosi alle bande dei ribelli di Masada, con le quali mise a segno numerose incursioni e predazioni ai danni di carovane e di villaggi limitrofi nel deserto della Giudea. Non del tutto soddisfatto, qualche tempo dopo li abbandonerà continuando a razziare a più ampio raggio d’azione assieme ad una banda di suoi fedelissimi con i quali, in seguito, radunerà una vera e propria armata composta da migliaia di “briganti”, così almeno li definisce Giuseppe Flavio nella sua opera “La Guerra Giudaica” e non senza una nota di disprezzo. Promettendo agli schiavi la libertà ed ai diseredati e agli uomini liberi premi e bottino, le fila del suo esercito crebbero a mano a mano fino ad arrivare a raggiungere un numero di oltre 20.000 uomini, attratti, oltre che dai bottini, anche dall’indiscutibile carisma di cui il nostro personaggio doveva essere certamente dotato. Le razzie si intensificarono in un raggio di azione sempre più ampio arrivando ad interessare i villaggi della Giudea attorno a Jerico e non lontani quindi da Gerusalemme.
La cattiva fama di brigante gli arrivò anche per il fatto di essere diventato un acerrimo e temuto nemico dei Romani. Assieme ai suoi Sicari infatti, così chiamati per via della sica, il micidiale gladio che utilizzavano per i loro agguati, non perdeva occasione per tendere loro imboscate depredandoli delle armi e dei loro cavalli, non prima però di averli uccisi.
Agli occhi degli zeloti, gruppo estremista di difensori armati della Fede e di Gerusalemme, invisi ai Romani come la peste, questo strapotere dilagante di Bar Giora, non poteva che essere visto con sospetto e preoccupazione. Impauriti dalla possibile e sventurata ipotesi che potesse arrivare con le sue milizie anche a Gerusalemme ed impadronirsene, iniziarono a pensare come poterlo neutralizzare.
Anticipando le sue mosse ed al fine di tenerlo lontano dalle mura di Gerusalemme, fecero uscire migliaia di difensori armati per affrontarlo in campo aperto, ingaggiandolo in una inutile quanto cruenta battaglia fratricida, finita per altro senza né vincitori né vinti, ma che lasciò comunque a terra centinaia di morti da ambo le parti.

Anche se i suoi seguaci lo ritenevano e lo rispettavano come un vero monarca, non sentendosi probabilmente ancora pronto per affrontare la presa di una città fortificata come era allora Gerusalemme, Shimon il proselite, questo è il significato del suo appellativo ebraico, rivolse le sue mire verso la popolazione del regno di Edom nella regione dell’Idumea da cui lui stesso proveniva, popolazione convertitasi all’ebraismo già secoli prima.
Dopo un primo scontro, la battaglia si risolse con un nulla di fatto. Successivamente, con uno stratagemma e l’aiuto di un traditore, riuscì però a conquistarli senza colpo ferire, impadronendosi anche della città di Hebron depredandola di ogni suo avere. La sua fama di spregiudicato comandate era oramai all’apice, più di 40.000 armigeri componevano ora il suo esercito che sempre più necessitava di viveri da razziare, ma anche di un covo dove poterli custodire. Shimon, a difesa quindi dell’enorme quantità di tesori e di vettovaglie depredati, fece addirittura erigere tutto attorno al suo villaggio-rifugio chiamato Nain, delle mura di cinta fortificate.
Intanto Gerusalemme, in quegli stessi frangenti, vedeva crescere devastanti divisioni intestine che mettevano a dura prova i suoi abitanti, oramai divisi in gruppi e fazioni tra loro in conflitto; ciascuno per i propri motivi e ciascuno obbediente ai propri capi popolo.
Il mal governo dei Prefetti e le assurde provocazioni di Roma ma, non di meno, la crescente corruzione della classe sacerdotale acquiescente e di quella laica più agiata prona ai Romani, ebbero inoltre l’effetto di avvilire e riempire di rabbia e rancore il popolo, inasprendo i rapporti non solo con gli occupanti romani. Questi ultimi, oramai da diversi anni, avevano imposto la loro esacerbante egemonia sui due regni di Giuda e di Israele, facendo crescere tra il popolo riottoso, giorno dopo giorno, acredine e odio nei loro confronti. Per di più, i sempre più frequenti moti di ribellione e di sollevazione popolare, venivano sedati duramente dai Prefetti romani con arresti, torture e crocefissioni.
Da quando poi l’Imperatore Caligola nel 40 e.v., aveva tentato di far porre una statua con la sua effige all’interno del Grande Tempio di Gerusalemme, i rapporti tra gli Ebrei ed i Romani non si saneranno mai più.
Sappiamo inoltre dal libro La Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, ebreo coevo e testimone oculare di quei fatti, che Shimon Bar Giora, allo scoppio della rivolta ebraica contro i Romani nel 66 e.v., affiancò con i suoi armati, uno dei capi della rivolta stessa, tale Elazar Ben Shimon, personaggio di cui parleremo ancora in seguito, assieme al quale affrontò, con una moltitudine di fanti e cavalieri, un’intera Legione Romana, la Legio XII Fulminata, a Beit Horon, località a nord di Gerusalemme, annientandola completamente.

Questa esaltante quanto inutile vittoria, oltre a portar loro ulteriore notorietà e fama, ebbe come disastrosa conseguenza la dura reazione di Roma che, come ritorsione inviò sul posto quattro legioni formata da truppe fresche, richiamandole in parte dalle vicine province di Egitto e Siria, allo scopo di vendicare quella disastrosa disfatta ma, soprattutto, di stroncare definitivamente qualsiasi tentativo da parte dei Giudei di sollevare sommosse e ribellioni che oramai divampavano in tutto il paese.
Durante la campagna militare iniziata in Galilea, alcune città e villaggi di quella zona capitolarono e si arresero ben presto al numero spropositato di legionari romani esperti, messi in campo da Vespasiano, circa sessanta mila, aprendo loro, inesorabilmente la strada verso Gerusalemme. Uno di questi villaggi era la roccaforte di Yodfat, i cui difensori erano allora al comando di Yoseph Ben Mattatià, fariseo di nobile stirpe, meglio conosciuto in seguito col nome di Giuseppe Flavio. Vista la mal parata e vistasi preclusa ogni via di fuga, Giuseppe si arrese quasi subito a Vespasiano e, dopo aver chiesto di essere messo al suo cospetto, gli predisse la sua prossima investitura a futuro Imperatore dei Romani. In effetti la previsione si rivelò esatta e questo fu probabilmente il motivo che gli consentì di far salva la vita quando, in seguito, condotto a Roma, entrò nelle grazie dello stesso Tito Vespasiano, per venir poi adottato da membri della sua stessa famiglia assumendone addirittura anche il nome di Flavio.
Ed è proprio grazie a Giuseppe Flavio ed al suo libro di memorie Guerre giudaiche, che si deve la conoscenza di molti degli avvenimenti che qui riportiamo, fatti di grandissimo interesse storico, seppur edulcorati in favore dei Romani per inevitabile piaggeria e successivamente rimanipolati a propri fini teologici, dagli esegeti cristiani del tardo antico (V-VI secolo e.v.).

Continua

Ariel Arbib
collaboratore

Nato a Roma il 15 Gennaio 1950.
Imprenditore, per diverse legislature, membro del Consiglio della Comunità ebraica di Roma, attualmente vice presidente della Deputazione ebraica di assistenza.
Scrittore per passione, ha avuto da sempre un’interesse particolare per la Storia ebraica, soprattutto per quella antica. Ha scritto anche numerosi racconti sulle proprie esperienze personali e su storie autobiografiche legate alla sua famiglia.


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