Cultura
La vera storia di Leone Ginzburg – Intervista a Angelo D’Orsi

Uno studioso straordinario, trucidato dai nazisti a Roma nel 1944: la prima vera biografia dedicata all’intellettuale che rifiutò il giuramento di fedeltà al regime

“Ogni mio lavoro anche se parla di figure lontane, di tempi passati, in realtà parla sempre al presente. Credo molto a Benedetto Croce quando scrive che l’ufficio dello storico è un ufficio eminentemente civile. Ecco, io credo nel valore civile della coscienza storica” racconta a JoiMag Angelo D’Orsi, ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino e autore de L’intellettuale antifascista – Ritratto di Leone Ginzburg (Neri – Pozza).

Ginzburg (1909-1944) è stato fondatore con Cesare Pavese e Giulio Einaudi della casa editrice Einaudi, ha militato in Giustizia e Libertà e nella Resistenza romana. Ha sempre rifiutato il giuramento di fedeltà al regime imposto dal governo fascista ai docenti e, nel corso degli anni, prima di essere ucciso, ha subito diversi arresti e il confino.

Durante il fascismo molti intellettuali si sono piegati al potere mussoliniano. Leone Ginzburg non fu tra questi…

Ho deciso di lavorare a questo libro spinto dall’urgenza dei tempi. Troppi segnali ci dicono che il fascismo non è affatto morto. Un dato preoccupante così come è preoccupante la sottovalutazione di questo ritorno. Mi ha spinto anche l’esortazione del mio maestro, Norberto Bobbio: “Tu devi scrivere la biografia di Leone Ginzburg”.

Di Leone Ginzburg, ucciso a Roma nel 1944 dai nazisti, a cui era stato consegnato dai fascisti, è però rimasto poco…

Questo è il paradosso. Ricostruire le sue tracce è stato difficile, ma c’è comunque da stupirsi del fatto che nessuno avesse mai tentato di scrivere una sua biografia. C’è una sproporzione tra l’autorevolezza che aveva e l’influenza che ha esercitato. Lui era uno straordinario suscitatore, più che un realizzatore. Era un uomo infinitamente generoso che si spendeva per gli altri. Appena uscito dalla sua prima volta in carcere (1934-1936) si preoccupò di far pubblicare il primo libro dell’amico Cesare Pavese che si trovava al confino. E fu sempre lui a sostenere Natalia, allora la sua fidanzata, facendole pubblicare i primi racconti. Ed è sempre lui che nell’ultima lettera, la notte prima di morire, la incita a non smettere di scrivere.

Era un antifascista intransigente, come dimostra la sua tragica morte, ma per un certo periodo capace di dialogare anche con i sostenitori del fascismo

Aveva un’apertura mentale a trecentosessanta gradi, ma anche un’intransigenza politica forte. Lui considerava anche gli intellettuali fascisti come parte della comunità delle lettere e delle arti e, come Gobetti, aveva una grande apertura culturale ed una chiusura politica. Certo, quando il fascismo iniziò a mostrare il suo volto più deteriore anche in Ginzburg prevalse l’intransigenza politica.

Lei scrive: “Ginzburg non ha mai smesso di essere ebreo”

Era un ebreo assolutamente laico, ma sapeva che l’ebraicità era nel suo Dna. Non ha mai assolutamente rinnegato le sue origini, ma tuttavia non è mai stato un ebreo militante.

La storia del primo arresto di Ginzburg che lei racconta nel libro fa emergere quanto fosse tentacolare la struttura del regime fascista…

Il fascismo è stato innanzitutto un regime di polizia con un’organizzazione che spesso è stata sottovalutata. Anche dagli antifascisti. I giovani di Giustizia e Libertà erano convinti di poter continuare a cospirare alla luce del sole. Non si rendevano conto di essere pedinati e seguiti passo passo. Il fascismo aveva creato una sua polizia speciale segreta, l’Ovra, con un numero enorme di effettivi, ed una rete secondaria di spie non professionali.

Leone Ginzburg venne ucciso a Roma proprio mentre il regime fascista e il nazismo erano in pieno declino, avviati verso un’inesorabile fine…

L’uccisione di Ginzburg è uno dei colpi di coda del regime, uno degli ultimi momenti dell’occupazione nazista di Roma. E questo rende ancora più triste e drammatica la sua fine. La lettera-testamento che ha scritto a Natalia la notte prima di essere ucciso è pazzesca: lui cerca di infondere coraggio alla moglie, ma si percepisce la consapevolezza della fine che si avvicinava a grandi passi (“Immagina che io sia un prigioniero di guerra, ce ne sono tanti… E nella stragrande maggioranza torneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero Natalia?”). Trascorse settimane terribili Ginzburg rinchiuso in cella. A ogni rumore di passi, ogni volta che sentiva pronunciare il suo nome, pensava che da un momento all’atro sarebbe stato fucilato…

Per comprendere appieno Ginzburg bisogna poi entrare nel merito delle sue identità nazionali…

Era un russo che voleva essere italiano senza smettere di essere russo. Il messaggio che ha lasciato ai contemporanei, attraverso il suo lavoro di studioso, traduttore e docente, è un messaggio che possiamo sintetizzare così: “Non si può pensare ad una identità europea escludendo la Russia. Anche in contrasto con le tendenze del suo tempo, con il pensiero di Gobetti che guardava alla Russia con un’alterità un po’ asiatica, Ginzburg continua a considerare la Russia come un pezzo dell’identità del Vecchio Continente. Come possiamo dirci europei escludendo Tolstoi, Dostoevskij, Gogol, oltre tutte le tradizioni culturali e persino religiose della Russia?

 

Gianni Poglio

Giornalista, autore, critico musicale. Dopo numerose esperienze radiofoniche e televisive, ha fatto parte della redazione del mensile Tutto Musica e del settimanale Panorama (Mondadori). Conduttore dii talk show per Panorama d’Italia Tour, con interviste “live” ai protagonisti della musica italiana e di dibattiti tra scienza ed intrattenimento nell’ambito di Focus Live, ha pubblicato per Electa Mondadori il libro “Ferdinando Arno Entrainment”


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