Cultura
La vera storia di “Rapsodia in Blu”, capolavoro del genio di Gershwin

Ecco come è nato uno dei brani più noti di sempre

Nato a New York il 26 settembre 1898, George Gershwin, all’anagrafe Jacob Bruskin Gershowitz, è stato uno dei più grandi compositori del Novecento. Autore di centinaia di brani entrati nel repertorio degli standard, utilizzati sia sui palcoscenici di Broadway che nei film di Hollywood, comincia a suonare il pianoforte all’età di dieci anni, senza metodo e da autodidatta. La musica sembra parte integrante della vita di questa famiglia, giunta a New York dalla Russia (il padre Moishé poi americanizzato in Morris, era di San Pietroburgo, così come la moglie Rosa “Rose” Bruskin, conosciuta però già a Brooklyn): la sorella Frances è stata una buona interprete (poi abbandonò il mondo dello spettacolo in favore della famigia) e il fratello, Ira Gershwin è stato ottimo paroliere, spesso in tandem con George.
Ma lui, George, a quindici anni lascia la scuola e trova lavoro: per quindici dollari a settimana, doveva eseguire al pianoforte gli spartiti di nuova pubblicazione per i clienti della Jerome H. Remick and Co., un’azienda della fiorente industria musicale newyorkese, allora nota come Tin Pan Alley. E qui comincia l’avventura. Dopo un primo brano di scarso successo, a 18 anni compone canzoni per Broadway e intanto registra alcune sue composizioni al pianoforte, quindi compone un’operetta dal titolo Blue Monday: gli vale l’attenzione di Paul Whiteman. Che presto gli commissiona una canzone di jazz sinfonico da eseguire all’Aeolian Hall di New York. Era il 1924 e si dice che Gershiwin tre settimane dopo gli presentò la sua Rapsodia in Blu.
Aveva solo venticinque anni e fu lui stesso ad eseguirla al pianoforte per la prima volta il 12 febbraio dello stesso anno all’Aeolian Hall di New York. Rhapsody in Blue è una straordinaria sintesi di musica popolare e colta, un caleidoscopio di generi che rappresenta la molteplicità delle culture che convivevano nelle metropoli americane degli anni Venti.
Orchestrata da Fred Grofé, Rapsodia in Blu nacque originariamente dal nucleo di un brano intitolato American Rhapsody. Concepita all’inizio per soli due pianoforti, fu poi orchestrata per pianoforte e big band e solo un anno dopo il suo debutto fu trascritta nuovamente per pianoforte e orchestra.
Gershwin riuscì a dimostrare che il jazz, genere popolare e prevalentemente da ballo, poteva essere apprezzato dalle platee colte ed esigenti, anche grazie alla natura sinfonica da lui stesso conferita al pezzo, un autentico e originale prodotto musicale americano.
La composizione nacque come una rivelazione improvvisa a bordo di un treno, come ha confidato lui stesso: «È stato sul treno, con i suoi ritmi d’acciaio, il suo rumore secco e violento che è così spesso stimolante per un compositore (mi capita frequentemente di sentire la musica proprio quando sono immerso nel rumore) che all’improvviso ho sentito – persino visto sul foglio – l’intera Rhapsody, dall’inizio alla fine».
Tutti i temi, complessivamente cinque, sono presentati nelle prime 14 misure ed evidenziano la straordinaria fantasia del compositore, che riuscì ad alternare magnificamente vivacità ritmica afroamericana a momenti malinconici, tipicamente blues, un perfetto mix tra speranza e sofferenza.
Una rapsodia in un unico movimento, che si dipana in alcuni temi ricorrenti, progressivamente arricchiti nel corso dello svolgimento musicale. Il tema principale, introdotto in apertura con il famoso glissando di clarinetto, poi rielaborato dal pianoforte e successivamente affidato all’orchestra, riemerge, a volte trasformato attraverso variazioni ritmiche e dinamiche, in vari punti della composizione, alternandosi con altri temi, per riproporsi nell’indimenticabile finale.
Un amalgama sonoro perfetto, sostenuto dai timbri bruniti degli ottoni (trombe e corni) seguiti da quelli più delicati dei “legni”, come flauti, oboi, fagotti.
La prima storica esecuzione del 12 febbraio 1924 all’Aeolian Concert Hall, a cui erano presenti importanti esponenti del mondo culturale di New York, come Heifetz, Kresler, Sousa, Stravinskij e Rachmaninov, fu un successo enorme per il giovanissimo compositore/pianista, che da quel momento si impose nel panorama musicale mondiale. Nelle locandine il concerto era annunciato come “an experiment in modern music” e lo stesso Gershwin lo definì “una sorta di multicroma fantasia, un caleidoscopio musicale dell’America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio nazionale, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana”.
Il critico musicale Olin Downes scrisse sul «New York Times», all’indomani della prima esecuzione della Rhapsody in Blue, un giudizio estremamente positivo: “Questa composizione mostra uno straordinario talento, poiché mostra un compositore giovane con obiettivi che vanno al di là di quelli del suo genere, lottando con una forma di cui egli è lontano dall’essere padrone. Nonostante tutto ciò egli si è espresso in una forma significativa e, nel complesso, altamente originale“.
Nell’estate del 1929 Gershwin debuttò anche come direttore d’orchestra in un concerto al Lewisohn Stadium di New York, un enorme anfiteatro all’aperto, dove di fronte a ben 15.000 spettatori diresse la New York Philharmonic con An American in Paris e la Rhapsody in Blue, eseguendo egli stesso la parte pianistica.
Il tema di Rapsodia in Blu è famoso al grande pubblico perché è stato utilizzato come incipit di due film assai fortunati: Fantasia 2000 della Disney e Manhattan di Woody Allen, dove è ricorre anche come brano di chiusura.
Un giorno dopo la morte del grande compositore di Brooklyn, avvenuta l’11 giugno del 1937, il suo amico e collega Arnold Schönberg dichiarò: “George Gershwin era uno di quei rari tipi di musicisti per i quali la musica non è più una questione di maggiore o minore abilità. La musica, per lui, era l’aria che respirava, il cibo che lo nutriva, la bevanda che lo ristorava. La musica era ciò che lo faceva sentire e la musica era la sensazione che esprimeva. Un’immediatezza di questo genere è data solo ai grandi uomini”.
Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


2 Commenti:

  1. Comprato a Londra Lp, con tutti i suoi dischi in vinile. Ignorante in merito, in qualsiasi genere di musica.
    In Inghilterra, ho testato questi generi di componimenti, come arte.
    Stupenda musica, improponibile in Italia.


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