Cultura
Le cinque identità di Izrail’ Metter

Ebreo russo di Kharkov, oggi Kharkiv in Ucraina: un grande autore del Novecento, capace di restituire di questo secolo breve, ma anche dilatato dal correre sempre più veloce del tempo, l’annientamento sistematico e meticoloso delle migliori energie intellettuali

Se è vero, come diceva Natalia Ginzburg, che gli scrittori si dividono in due categorie, quelli che scrivono ciò che conoscono – cioè che hanno visto di persona, ascoltato e vissuto – e quelli che scrivono ciò che non conoscono – cioè inventano – Izrail’ Metter va posto indubbiamente nel primo gruppo. “Scrivo per così dire ‘dalla vita’”, dice Metter intervistato da Luciana Montagnani. Per la sua traduttrice in italiano Anna Raffetto “Metter non riesce a scrivere senza prototipi”, questo però non significa che non crei. L’osservazione di se stesso e degli altri costituisce la base, l’indispensabile fase della raccolta dati. Tolstoj afferma che lo scrittore deve conoscere tutte le potenzialità insite nell’animo umano, positive e negative, per attivarle al momento opportuno.

Il richiamo a quanto esperito direttamente rimane tanto importante da condurre Metter a utilizzare sistematicamente prototipi, cioè persone e vicende conosciute. “Nella prima stesura mi è più facile conservare i nomi veri”, spiega; solo in ultimo, prima di mandare il testo all’editore, i nomi vengono cambiati. Questo però non è sufficiente a fare uno scrittore, tantomeno uno scrittore grande, perché – l’immagine è di Bachtin – il rapporto tra vita e letteratura è analogo a quello tra l’uva e il vino. Per ottenere il vino o la letteratura è necessario un lungo processo di pigiatura, spremitura e fermentazione, tutte cose che per Metter, seguace in questo del migliore cinema sovietico, corrispondono al momento creativo e inventivo del montaggio. In conclusione al processo con cui lo scrittore monta insieme episodi diversi di vita vissuta emerge la memoria che richiama in vita il passato.

Izrail’ Moiseevič Metter è un ebreo russo di Kharkov, oggi Kharkiv in Ucraina. Il padre poco prima della rivoluzione d’ottobre aveva rilevato una piccola attività per la produzione di maccheroni (il nome: “Italia”); con il senno di poi un errore fatale, visto che porterà il regime comunista a catalogare la famiglia tra i “capitalisti”. Nonostante gli impedimenti Metter, studiando da autodidatta, diventa insegnante di matematica. Sceglie come città di adozione Leningrado – oggi San Pietroburgo – dove lavora alla radio durante i ventotto terribili mesi di assedio nazista. Metter racconta tutto questo, come racconta gli anni del terrore staliniano prima e dopo la guerra. Nel suo romanzo più importante, Il quinto angolo, rievoca il discorso con cui nel 1946 Ždanov, di fronte a una sala gremita di tutti i più importanti scrittori sovietici, appositamente convocati, con linguaggio ripugnante umilia Michail Zoščenko e Anna Achmatova. La platea rimane immobile, muta, agghiacciata dal terrore. Dopo l’atroce spettacolo, racconta Metter, tornando a casa “mi guardavo intorno sul treno e invidiavo quei viaggiatori, perché ancora non sapevano”.

Tra i non molti scrittori a superare incolumi lo stalinismo, Metter vive la breve stagione del disgelo e poi i lunghi anni di stagnazione sotto Brežnev. Dopo l’avvento di Gorbačëv, la glasnost’ e il successivo imprevisto crollo dell’impero sovietico, in breve tempo si sono susseguite riedizioni delle sue opere, la pubblicazione integrale del Quinto angolo apparso precedentemente mutilo e di scritti rimasti per decenni nel cassetto, traduzioni all’estero. Il primo libro ad apparire in Italia è nel 1992 Il quinto angolo (Einaudi), che viene subito premiato con il Grinzane-Cavour. Seguono negli anni novanta altri romanzi e racconti pubblicati ancora da Einaudi e dal Melangolo; nel nostro paese però Metter rimane complessivamente troppo poco conosciuto.

Izrail’ Metter è un grande autore del Novecento, capace di restituire di questo secolo breve ma anche dilatato dal correre sempre più veloce del tempo l’annientamento sistematico e meticoloso delle migliori energie intellettuali, la guerra più distruttiva della storia umana, le difficoltà di un paese enorme dove tutto è lento e farraginoso e dove ogni canto nasconde ombre dimenticate – le ombre degli scomparsi durante le purghe e il terrore. Nel racconto La madre Metter narra il viaggio di una anziana donna di campagna, una figura remota e quasi premoderna che vive con un figlio e la nuora che la disprezzano e la considerano solo un peso; la donna decide allora di andare a trovare l’altro figlio, che si trova in carcere e che raggiungerà dopo un commovente percorso on the road. Nelle poche pagine del Regalo vediamo un anziano vedovo che vuole donare vestiti e costumi della moglie attrice al teatro locale ma trova mille ostacoli. Infine il racconto forse più meraviglioso, contenuto nel piccolo libro Per non dimenticare. Tre racconti (il melangolo), che si intitola Rjabov e Kožin, dal nome dei due protagonisti. Rjabov è il figlio di un uomo arrestato senza motivo dalla polizia politica negli anni delle purghe e come tanti altri scomparso senza lasciare tracce. Molto tempo dopo, quando ormai Stalin è morto, il figlio riesce a ottenere la riabilitazione del padre e a conoscere il nome della persona che condusse l’interrogatorio. Si chiama Kožin. Rjabov cerca Kožin e lo trova, ormai anziano, nella sua dacia in campagna. Si presenta e offre la vodka e il salame che ha portato con sé, non è animato da vendetta ma vuole sapere, conoscere un perché su cui incessantemente si arrovella. La conversazione che segue è struggente, con Rjabov che interroga e Kožin che non ricorda più nulla, anche se non nega – d’altra parte i verbali portano il suo nome. Rjabov vuole almeno capire come sia possibile che un uomo porti il peso di aver decretato la fine di tanti altri mentre lui stesso, figlio di uno scomparso, non riesce a staccarsi da un ricordo che a ogni ora della vita emerge e strozza il respiro in gola. Ma l’anziano Kožin non ascolta più: complice forse il bicchiere di vodka si è addormentato.

Anche i racconti lunghi e i romanzi di Metter prendono forma con il montaggio di nuclei minori. Il quinto angolo nasce nel periodo del disgelo, quei pochi anni immediatamente successivi alla denuncia dei crimini di Stalin da parte di Chruščëv che presto muteranno in un nuovo inverno. Come molti altri intellettuali, Metter vuole raccontare gli anni terribili e anche, a essi intrecciato, un amore. Quando però nel 1967 finisce di scrivere è impensabile pubblicare il libro. Sarebbe stato vietato anche solo pensare un testo del genere, figurarsi scriverlo. “Non avevo avuto neppure il coraggio di farlo battere a macchina dalla mia solita dattilografa. L’aveva battuto tutto, con un dito, mia moglie”, ricorda anni dopo Metter. Così vengono create tre copie, conservate in un nascondiglio spesso cambiato. Tempo dopo il dattiloscritto sarà in realtà pubblicato, ma a costo di tranciare tutti i riferimenti politici e ideologici. Quello che rimane è la sola storia d’amore in meno della metà delle pagine. Era un’amputazione grottesca, ma anche il prezzo senza il quale non sarebbe mai uscito. “La vera letteratura”, spiega però Metter, “si contrappone sempre al potere, in misure diverse, ma sempre”. Per questo solo nel 1990, con la pubblicazione dell’originale, il romanzo è disponibile nella sua versione autentica.

La storia d’amore autobiografica del protagonista-scrittore e di Katja, una donna che viene incarcerata e si suicida, interseca in ogni momento storia e politica. C’è un gioco mostruoso dei carnefici nelle celle quadrangolari della Gpu con cui le vittime sono colpite con spintoni, pugni e calci mentre sghignazzando viene loro ripetuto un ritornello: “Cerca il quinto angolo”. Da qui il titolo del libro, che allude allo stesso tempo anche al quinto paragrafo nei questionari, quello che chiede la nazionalità di appartenenza. E quando questa è ebraica le cose quasi sempre si complicano. C’è infine un richiamo alla categoria di appartenenza, anche questa sugli onnipresenti questionari con cui il regime sovietico incasella la vita dei suoi sudditi. La prima categoria è quella degli operai, la seconda dei contadini, poi vengono intellettuali e impiegati, infine, al quinto posto, “vari”, cioè artigiani e proprietari di attività, i cosiddetti “capitalisti” tra i quali, come abbiamo visto, lo stesso Metter è annoverato.

Ebraica e russa, dice lo scrittore, sono identità da intendere come “le due coordinate fondamentali che esistono nella mia vita”. Nel 1990 Metter osserva il grande esodo ebraico dall’Unione sovietica prossima alla dissoluzione e a ottant’anni non condivide la scelta di andarsene – sarebbe come rinunciare a metà della propria identità, cioè della propria vita – ma capisce i motivi di chi invece lascia il paese. Con Genealogia, il suo libro più ebraico, Metter ancora una volta si appropria degli eventi passati tramite il ricordo personale e li restituisce attraverso il segno scritto. La sua diventa qui un’identità addirittura quintupla – ecco ancora il numero cinque -: russa, ebraica, ucraina, sovietica e di cittadino del mondo. Di queste quella ebraica è però forse la più evidente perché lo scrittore attinge alle storie tramandate di generazione in generazione all’interno della famiglia. Vediamo così evocati bisnonni intrattabili nella zona di residenza in cui lo zar costringeva gli ebrei; socialismo, bolscevismo e rivoluzione; il sionismo vero e quello presunto, entrambi perseguitati dal regime sovietico; il terrore, la guerra, la tragedia di Leningrado e l’ultima ondata di antisemitismo poco prima della morte di Stalin. Ma soprattutto vediamo la vita con i suoi gesti quotidiani, i momenti intimi, il lessico famigliare e i tic di antenati lontani e parenti vicini che affiora come per incanto nella memoria.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

1 Commento:

  1. Bravo Giorgio, complimenti per i tuoi articoli, e questo in particolare, che mi fa scoprire un importante scrittore che non conoscevo affatto. Molto bello anche l’articolo sui libri dei Maccabei (famiglia che mi sta poco simpatica…)
    Un forte abbraccio e auguri di buon anno
    Sandro


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