Israele
Live Art al museo, una nuova sfida artistica e curatoriale

Ripenasare e ri-immaginare un museo è quanto succede al TAMA, che ora accoglie sei settimane di performance per parlare del corpo. Come mezzo espressivo, come memoria collettiva, come richiamo al tempo presente

Imagine a Museum (or: The Remembering Body): con questo titolo suggestivo il 17 gennaio 2023, presso il Tel Aviv Museum of Art, si da il via alle danze: sei settimane di Live Art, con numerosi artisti sia israeliani che internazionali, tra cui spicca il nome di Tino Sehgal, celebre artista tedesco che nel 2005 ha rappresentato la Germania presso la Biennale di Venezia, conquistando l’intera scena internazionale grazie alla sua arte performativa.
Ospite per la prima volta in Israele, proprio all’ingresso del museo apre quella che “più che una mostra – per usare le parole della curatrice Ruth Direktor – è un Festival”.

Due le opere di Sehgal presenti al TAMA: This is technology? (2002) domanda posta dallo stesso personale del museo che, nel dialogare con il pubblico, si interrompe per domandarci cosa sia la tecnologia, e Kiss (2002) interpretata da due ballerini che si muovono insieme, lentamente, attraverso una serie di posture che rievocano immagini di celebri “baci” della storia dell’arte: dal bacio di Auguste Rodin (1889), a quello di Constantin Brancusi (1908); dal bacio di Gustav Klimt (1907– 08) a Made in Heaven di Jeff Koons (1989).
Come ci spiega la curatrice: “Quest’opera in particolare – una delle prime di Sehgal – è una di quelle che più ricorda una danza, mondo dal quale provienie e si è formato il grande artista tedesco che, attraverso la sua arte performativa, ha cambiato, su scala globale, il modo di percepire l’arte.”

Sehgal descrive le sue opere come “situazioni costruite” in cui sono situazioni animate a costituire l’“oggetto” rappresentato , spesso contaminate da riferimenti alla storia dell’arte, e i “media” non sono solo gli interpreti che usano la drammaturgia per interagire con i visitatori, ma il pubblico stesso, così che il “prodotto” finale dell’opera d’arte sia la frizione che si crea tra di loro.
Proprio questo è uno degli intenti che si propone il TAMA per le prossime sei settimane, aprendo le porte a una mostra interamente basata sul corpo performativo in cui gli artisti prendono parte del “corpo” del museo per “ri -immaginarlo”.

Questa era la domanda che si era posta, e a sua volta ha posto agli artisti la curatrice: “Come possiamo ri-immaginare un museo? Mentre il titolo ‘Imagine a Museum’ guarda in avanti, verso i regni dell’immaginazione e del sogno, il sottotitolo – volutamente tra parentesi – ‘The Remembering Body’ guarda all’indietro, ritorna alle fondamenta del concetto stesso di ‘museo’. La prima istituzione così intitolata – ovvero il mouseion di Alessandria d’Egitto costruito nel III secolo a.C. – era, infatti, un luogo in bilico tra biblioteca e accademia, il cui nome risale alle nove muse mitologiche, figlie di Zeus e Mnemosine, dea personificante la memoria. Assieme, presiedevano le varie arti, nessuna delle quali era arte plastica come la si intende oggi. Quindi al centro della mostra – continua Ruth Direktor – l’idea di un ‘museo dalla memoria’: una memoria lontana, mitologica e rituale, che trova la propria espressione grazie al movimento del corpo. Così il TAMA, ospitando al suo interno altri corpi, si trasforma in un ‘corpo nel corpo’. Un movimento bidirezionale, in avanti e indietro, verso i regni dell’immaginazione e i domini della memoria.”

Questo tipo di attività – inclusi corsi di danza, yoga e sound therapy – avverranno in contemporanea con tutte le altre mostre in corso, essendo incluse nel biglietto d’ingresso. Per tanto, il pubblico arrivato con l’intento di visitare una delle altre esposizioni presenti al TAMA, ignaro di questa programmazione speciale, potrebbe trovarsi spiazzato, confuso, entusiasta.
“Presentare arte dal vivo in un museo mette in campo format opposti: da un lato quello del palcoscenico performativo e dinamico, dall’altro quello statico della ‘scatola nera’, tipica del teatro, e del ‘cubo bianco’, tipico della galleria. In ogni caso – conclude la curatrice – l’intento è quello di alterare il formato classico della ‘mostra’, mettendo in luce il conflitto irrisolto tra il corpo vivente e lo spazio espositivo. Persino il catalogo ricorda quasi quello della programmazione di un festival del cinema o di teatro”.

Il tentativo di scuotere la matrice museale, pur rimanendo al suo interno, porta dunque ad una serie di interrogativi che coinvolgono direttamente il pubblico, in un’esperienza di confine tra arte, terapia e meditazione, che lascia spazio per muoversi tra queste esperienze differenti e complementari tra di loro.
Trenta, in totale, i lavori esposti nel corso di questa suggestiva manifestazione.
Oltre a Tino Sehgal, partecipano a questo ambizioso progetto: Nelly Agassi, Nir Amit, Or Ashkenazi, Bat Sheva Dance Company, Beit Avi Chai, Ofri Cnaani, Creatures of Dance: Yali Nativ & Iris Lana, Noam Holdengreber, Tamar Katz , Alit Kreiz, Dalia Kreid, Tami Lebovitz and the Youth Ensemble, Mor Leedor, Public Movement, Gal Nissim, Ariel Reichman, Tai Rona, Dana Ruttenberg, Michal Samama, Noa Shadur, Shamans of Sound, Niv Sheinfeld & Oren Laor,  Idit Suslik , Merav Svirsky, Vacuum Service,  Yasmeen Godder Company, Sharon Zuckerman Weiser.

“Dopo aver ospitato le più grandi star dell’arte contemporanea tra cui Jeff Kuns e Yayoi Kusama – commenta la Direttrice del museo Tania Coen Uzzielli – oltre ad accogliere un artista straordinario come Tino Sehgal, siamo riusciti a realizzare una mostra davvero unica nel suo genere, con artisti sia locali che internazionali e una programmazione di sei settimane, serratissima, che ha necessitato di uno sforzo enorme sia dal punto di vista della produzione che della coordinazione. L’ennesima sfida del TAMA a cui non potevamo tirarci indietro”.

Ora la vera sfida è quella di riuscire ad assistere a tutte le performance offerte da questa mega-programma. Un giorno non basta. C’è tempo fino al 25 Febbraio 2023.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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