Cultura
Mandorle, cantucci e mandelbrot

Onnipresenti nei ricettari ebraici dei luoghi più lontani e apparentemente diversi, nelle preparazioni dolci come in quelle salate, le mandorle sono molto più che semplici ingredienti di cucina

Si parla di cantucci e il pensiero corre in Toscana, a Prato. Poi, però, si addenta un croccante mandelbrot e qualche dubbio viene. Come ci sono arrivati i biscottini toscani nel Centro Europa? E soprattutto, chi è venuto prima? A differenza di altre preparazioni attestate con precisione da una o l’altra tradizione, per i cookies alle mandorle non esisterebbe una linea del tempo sicura. Gli stessi studiosi della storia del cibo ebraico non sembrano così certi su chi per primo abbia iniziato a preparare questi dolcetti.

Lo storico statunitense Gil Marks pare propendere per le ascendenze italiane. Nell’Encyclopedia of Jewish Food parla dell’abitudine nell’Italia del Trecento di cucinare dei pani che, cotti prima parzialmente in forno, sarebbero poi stati affettati e quindi infornati di nuovo fino a doratura. Fin qui, niente di dolce e, soprattutto, niente mandorle. Per dare ai pani bi-scottati le sembianze attuali si sarebbe dovuto aspettare la diffusione dello zucchero (ai tempi solo di canna) nonché delle mandorle. Per il resto, che di grassi non se ne parlasse quasi, così come di lievito, niente di grave, anzi.

Sempre secondo Marks sarebbero stati i toscani, in particolare gli abitanti di Prato, a dare forma a quelli che in Italia sono conosciuti come cantucci, anche se lo storico non esclude che un contributo a questa forma definitiva lo abbiano dato anche i cuochi del ghetto di Venezia. Chissà. Quel che è certo è che questi biscotti prenderanno poi la strada per l’Europa centrale, perfezionandosi nell’impasto con l’aggiunta di aromi e, per un tocco di gusto più intenso, di mandorle amare. Affermatisi presso le comunità ashkenazite, acquisiranno il nome di mandelbrot, termine composto da brot, che in tedesco significa pane, e da mandel, mandorla. Non è difficile capire il successo di questi biscotti fuori e dentro la comunità ebraica. Semplicissimi e veloci da preparare, richiedono pochissimi ingredienti, economici e di facile reperibilità. A base di olio vegetale, senza latte né burro, sono inoltre perfetti per accompagnare anche i pasti di carne senza contravvenire ad alcun precetto. Inoltre, essendo per definizione secchi, sono l’ideale da conservare a lungo, dolcetto perfetto per Shabbat così come per accogliere gli ospiti non annunciati.

C’è però un altro elemento fondamentale che rende questi cookies, chiunque sia stato il primo a realizzarli, un dolce rappresentativo della cultura ebraica. Parliamo delle mandorle, eventualmente assenti da alcune versioni dei mandelbrot, ma indissolubilmente legate alla loro natura, tanto da comporne, come si è visto, il nome.

Onnipresenti nei ricettari ebraici dei luoghi più lontani e apparentemente diversi, nelle preparazioni dolci come in quelle salate, questi semi sono molto più che semplici ingredienti di cucina. Estratti dal cuore del frutto non commestibile di un albero originario dell’Asia Centrale, appartenente alla famiglia delle Rosacee, erano noti fin nella preistoria. Che cosa si raccogliesse a quei tempi non è dato sapere, ma è certo che se si è continuato a coltivarne l’albero e a ricavarne il frutto, qualche intervento deve essere stato fatto. In origine, infatti, pare che i semi del mandorlo fossero prevalentemente della tipologia amara, quella attualmente dichiarata illegale in diversi Paesi (Stati Uniti in primis) e comunque utilizzata solo in piccolissime dosi o come estratto per pasticceria e liquoristica. Il motivo di tale limitazione va ricercato nella presenza di una sostanza tossica, l’amigdalina, capace di liberare cianuro se assunta al naturale e in dosi consistenti. La cottura ne limiterebbe la pericolosità, ma è comunque meglio evitare di lanciarsi in rischiosi esperimenti e rispettare le regole.

Tornando alle mandorle dolci e al loro albero, comunque, già almeno 3.000 anni fa erano conosciute e usate in gran parte delle zone del Mediterraneo e del Medio Oriente. Prova dell’importanza di questa pianta la si ritrova in diversi punti delle Scritture. Tra i più noti, l’episodio biblico del bastone di Aronne, dal Libro dei Numeri. Qui, per mettere pace agli scontri tra le tribù di Israele e in particolare alle rimostranze di Core, che mal digeriva la proclamazione di Mosè come sacerdote, Dio avrebbe chiesto che ogni rappresentante delle tribù consegnasse un bastone. Solo quello che nottetempo fosse germogliato avrebbe indicato chi meritava sacerdozio. Depositata a nome dei Levi, la verga di Aronne “aveva prodotto germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle”. A rendere doppiamente miracoloso il prodigio c’è qui anche un dettaglio squisitamente botanico e cioè la presenza contemporanea, sul ramo, di foglie, fiori e semi. Tra le caratteristiche del mandorlo, infatti, vi è quella di fiorire prima di quasi tutti gli altri alberi, già sul finire dell’inverno, ma anche di perdere velocemente i suoi petali e di cedere presto il posto alle foglie, con la maturazione dei frutti, in compenso, relativamente tardiva. Questo aspetto del fiore è un altro dei motivi che fanno del mandorlo una pianta dall’importante simbologia. Immagine del ciclo della vita, ne esemplifica al tempo stesso anche la caducità, vista la velocità con cui i petali passano dal delicato rosa del bocciolo al bianco della corolla aperta per poi disperdersi velocemente.

Restando in tema di simboli, la forma dell’albero del mandorlo avrebbe anche fornito il modello per la Menorah del Tempio. Secondo le indicazioni riportate da Mosè, il candelabro a sette bracci avrebbe dovuto riprodurne i rami, i frutti e i fiori alternati, quale immagine della rinascita. Sempre alle mandorle farebbe poi riferimento la tradizione talmudica quando parla di Luz, il nocciolo dell’immortalità. Si tratterebbe della parte di noi più nascosta e insieme resistente, al punto da superare la morte, collocata alla base della spina dorsale e dalla forma, appunto, di mandorla. E di Luz, ma questa volta in termini di città degli immortali, si parla nelle Scritture nell’episodio della scala di Giacobbe. Nel luogo in cui il profeta si era addormentato, sognando le porte del Cielo e gli angeli che vi salivano, ci sarebbe stato infatti un albero di mandorlo, luz in ebraico. Altre interpretazioni vedono infine nelle cavità di un mandorlo posto alle porte della città di Luz un passaggio segreto per accedervi.

Impossibile sapere quanto la simbologia legata alla mandorla abbia contribuito alla sua affermazione nelle abitudini alimentari e quanto la sua enorme diffusione abbia facilitato (o complicato) le interpretazioni dei Libri. Di sicuro, insieme al pistacchio questo frutto è il seme oleoso più importante tra gli ebrei fin dall’antichità, presente in una miriade di piatti della tradizione, a cominciare dallo charoset per passare alle celebrazioni del Capodanno degli alberi appena trascorso.

Diffusissimi nella Penisola Iberica, i mandorli hanno fornito la materia prima per gran parte dei piatti della tradizione sefardita, sia delle feste sia della cucina di tutti i giorni. Non c’è da stupirsi, quindi, che anche nella vicina Italia e nelle altre regioni affacciate sul Mediterraneo la mandorla si sia imposta facilmente in ogni ricettario, dai piatti di pollo alle verdure e le zuppe, dalle salse ai dolci. Per quanto riguarda la tradizione ashkenazita, i mandelbrot da cui eravamo partiti possono essere visti come uno dei tanti anelli che legano gli ebrei del Centro Europa con quelli del Sud. È probabile, infatti, che non siano state solo le mandorle a essere importate dalla Provenza e dall’Italia, ma anche alcuni dei modi per impiegarle. E se il loro uso nel salato non ha mai attecchito granché nella cucina esteuropea, in compenso nei dolci hanno trovato tutto il successo che si meritano, diventando anche qui uno dei modi più golosi per simboleggiare e augurare fecondità e buona fortuna.

Biscottini di Prato (o cantucci)

Ingredienti:

250 g di farina

200 g di zucchero

100 g di mandorle

2 uova

lievito in polvere per dolci

vanillina

sale

Scottare le mandorle in acqua bollente, spellarle e farle asciugare per 5 minuti in forno caldo a 180°. Lasciarle raffreddare e affettarle o tritarle grossolanamente (in questo caso senza prima spellarle).

Setacciare la farina sul piano di lavoro, unirvi un pizzico di sale, mezza bustina di vanillina e lo zucchero. Mescolare con cura, formare la fontana e versarvi al centro le uova. Lavorare con cura l’impasto sul piano infarinato, poi incorporarvi un cucchiaino raso di lievito e le mandorle.

Ricavare dall’impasto tre filoncini di 3-4 cm di larghezza, disporli su una placca foderata con carta da forno, ben distanziati, e passarli in forno già caldo a 180° per circa 30 minuti. Sfornare quindi la placca e tagliare i filoncini in diagonale in modo da ottenere delle fettine dello spessore di circa 1 cm.

Disporre le fettine nuovamente sulla placca, posandole sul dorso, quindi passarle di nuovo in forno per 10 minuti, rigirandole a metà cottura. Sfornare i biscottini quando sono ben coloriti.

Mandelbrot (o mandelbroit) 

 Ingredienti:

280 g di farina

150 g di zucchero

2 uova

120 ml di olio vegetale

vanillina

200 g di mandorle (tritate grossolanamente, meglio se prima leggermente tostate)

lievito in polvere per dolci

sale

Setacciare la farina con un pizzico di sale e 1 cucchiaino e ½ di lievito. Mescolare lo zucchero in una ciotola con l’olio e sbatterlo con una frusta fino a ottenere un composto gonfio e spumoso. Aggiungere quindi le uova, uno alla volta e senza unire il seguente prima che il precedente sia stato bene incorporato. Unire ¾ di bustina di vanillina e la farina mescolando fino a ottenere un composto omogeneo, poi aggiungere le mandorle.

Modellare l’impasto formando uno sfilatino di 5 cm di larghezza, 2,5 cm di altezza e 30 cm di lunghezza, adagiarlo su una placca foderata con carta da forno e cuocerlo nel forno già caldo a 180° per circa 30 minuti o, comunque, fino a quando appare dorato e sodo.

Sfornare lo sfilatino, toglierlo dalla placca e lasciarlo raffreddare per circa 15 minuti, poi tagliarlo a fette trasversali di circa 2 cm di spessore e adagiarle sulla placca, sul lato del taglio. Mettere di nuovo in forno alla temperatura di 150° e cuocere per circa 20 minuti, fino a quando i mandelbrot appaiono croccanti e dorati. Sfornarli e lasciarli raffreddare.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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