Una retrospettiva al Centro di Arte Contemporanea di Tel Aviv
Rumena di nascita ma francese di adozione.
Una formazione accademica transdisciplinare tra Israele e Italia.
Una vita nel triangolo Roma – Parigi – Milano, fino alla scelta della piccola e confortevole provincia italiana di Gallarate, nel Varesotto, dove vive e lavora ancora oggi, a 94 anni compiuti.
Per celebrare i settanta anni di lavoro di questa pioniera dell’arte contemporanea, il 15 settembre presso il CCA (Centro di Arte Contemporanea) di Tel Aviv apre “Marion Baruch: Bomba” una retrospettiva dell’opera di questa grande artista transdisciplinare, curata da Noah Stolz e Nicola Trezzi, con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura, per riflettere sulle importanti tematiche esplorate da questa prolifica artista a tutto tondo.
Tutto comincia quando, a soli 20 anni, ha la possibilità di fuggire dalla Romania stalinista, assieme alla madre, in Israele. A Gerusalemme, presso la Scuola di Belle Arti Bezalel, comincia a seguire i corsi del rinomato pittore Mordecai Ardon, prestigioso artista del Bauhaus, e, a soli 24 anni, espone la sua prima mostra personale presso lo Studio Micra di Tel Aviv.
Nel 1955 riceve una borsa di studio per continuare gli studi in Italia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Qui comincia la sua avventura nel triangolo Roma – Milano – Parigi, dove vive dal 1993 al 2007 fino a quando, a causa di una parziale perdita della vista, si trasferisce a Gallarate, cominciando a lavorare su formati di più piccola scala, pur senza mai interrompere la sua immensa attività artistica.
Nel corso della sua carriera sperimenta linguaggi e tecniche diverse. Anche dal punto di vista commerciale, negli anni parigini, mostra la sua la visione avanguardistica con la scelta di utilizzare il marchio-pseudonimo “Name Diffusion”, per staccarsi dalla sua identità individuale riunendo, sotto lo stesso ombrello concettuale, giovani artisti e persone appartenenti a diversi ambiti, tra cui la sociologa Dana Diminescu, l’attivista femminista Ginette Lemaître, la direttrice di Synesthésie Anne-Marie Morice, il graphic designer Serge Combaud, assieme a molti altri artisti e “sans-papiers” – immigrati illegali – provenienti da tutto il mondo, con i quali la Baruch si confronta e identifica, dialogando con i diversi linguaggi della moda, del design, dell’architettura, sperimentando pratiche commerciali inedite con l’obiettivo di esplorare e decostruire la catena di produzione dell’opera d’arte.
Tanto che, oltre a musei, gallerie e istituzioni strettamente legate al mondo dell’arte, Baruch si rivela all’avanguardia anche nell’utilizzare, fin dai suoi albori, le reti digitali della Internet Art per diffondere e creare nuovi progetti, riflettendo, proprio attraverso l’arte, su importanti tematiche del contemporaneo, spesso legate ai temi della mobilità, della globalizzazione migratoria, dell’esilio e della necessità di rivisitare i propri punti di riferimento culturali, fisici e mentali.
All’interno di questa affascinante cornice transdisciplinare il CCA propone una retrospettiva di un arco temporale di oltre settant’anni, costruita sul principio, tanto caro all’artista, della contaminazione: dalla pittura espressiva all’arte grafica; dalle grandi sculture in metallo alle sue opere performative; dalla fase più recente, caratterizzata dal riuso di scarti tessili dall’industria del prêt-à-porter – un recupero rituale di ritagli di tessuto scartati dagli atelier di moda, per restituire loro una rinnovata dignità lasciando che dai materiali di scarto affiorino nuove forme – a “Bomba” (2022), un’opera site-specific, creata appositamente per questa mostra: un’inedita composizione monocromatica di “lembi” di stoffa, abiti una volta appartenuti alla Baruch, utilizzati come lessico intimistico dell’artista al tempo stesso universale.
“Quest’opera – ci racconta Maria Sica, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura – prosegue la pratica di Marion Baruch con il tessuto e la narrazione di quelli che lei stessa chiama i miti tessili, come Aracne, le Parche, Arianna: una consuetudine che segna tutta la sua biografia e che si presenta come linguaggio specifico in un luogo, Tel Aviv, che ha avuto un’industria tessile molto fiorente negli anni ’60-‘70 e che ancora oggi si rinnova sia nella manodopera femminile legata al tessile, quanto anche nelle forme di una pratica artistica da sempre legata all’universo femminile”.
Per concludere con le parole di Maria Sica: “Rimanendo nel tema del ‘tessile’, possiamo dire che questa mostra, assieme a una delle prossime, in programmazione per il 2023, dedicata a Ghitta Carell – altra rinomata artista che ha vissuto gran parte della sua vita tra Italia e Israele, ndr. – si colloca all’interno di uno degli obbiettivi, da parte dell’Istituto Italiano di Cultura, di riposizionre il ruolo delle donne nella storia. Per quanto riguarda la creatività femminile, in relazione ai movimenti artistici, è in corso un approfondimento che intende riconoscerne il peso delle donne nell’arte non più e non solo come muse, ma riconoscendo pienamente il loro ruolo di artiste. Grandi artiste, proprio come Marion Baruch, cui bisogna restituire lo spazio che si meritano. Queste mostre fanno parte di un’operazione che vuole riannodare i fili della storia e continuare a tessere legami e relazioni tra questi due Paesi, da sempre eccellenti incubatori di arte e cultura.”
La mostra Marion Baruch: Bomba è visitabile dal 15 settembre al 25 ottobre 2022