Cultura
Moï Ver, Moshe Raviv, all’anagrafe Moshe Vorobeichic. Omaggio a un artista sorprendente

Una grande retrospettiva al Centre Pompidou dedicata al fotografo lituano che fu anche pittore, incisore e grafico. Un viaggio lungo la sua vita, le sue diverse identità e le sue multiformi espressioni artistiche

Se Moï Ver non è un artista noto al grande pubblico non è certo per i limiti della sua opera. Semmai, il suo percorso umano e artistico è stato talmente ricco e complesso da farne confondere le tracce. Nato nel 1901 a Vilnius, la Gerusalemme lituana, Moshe Vorobeichic è stato negli anni Trenta uno dei più significativi rappresentanti della fotografia d’avanguardia. Nello stesso periodo è stato anche un importante testimone di una delle più grandi comunità ebraiche dell’Est Europa, quella del suo paese natale, così come, nei decenni successivi, ha registrato con il suo obiettivo i primi passi del futuro Stato d’Israele. Pittore e grafico oltre che fotografo, nella Palestina mandataria avrebbe poi affiancato ai suoi scatti collage, fotomontaggi e poster di propaganda, tornando infine al suo primo amore, la pittura, una volta trasferitosi a Safed, nel Nord di Israele, dove sarebbe morto nel 1995.

A questo straordinario artista dedica una grande mostra con oltre trecento opere il  Centre Pompidou , visitabile nella capitale francese fino al 28 agosto prima di passare, a ottobre, a Varsavia e, dal marzo del prossimo anno, a Tel Aviv. Le tappe indicate ricalcano quelle esistenziali e artistiche di Moï Ver, passato dagli studi e i primi lavori a Parigi al ritorno a Vilnius, ai tempi annessa alla Polonia, per poi approdare in Israele. Lo stesso percorso espositivo si sviluppa seguendo gli spostamenti dell’uomo e dedicando a ciascuna delle sue fasi artistiche e di vita una sezione con una nutrita raccolta di opere.
Andando in ordine cronologico, l’esposizione parte dai primi anni del giovane allora conosciuto come Moshe Vorobeichic nella capitale storica della Lituania. Dopo aver studiato al Joseph Epstein Hebrew Gymnasium, aveva frequentato la nuova Scuola di disegno della Società degli artisti di Vilnius, studiando quindi pittura, architettura e fotografia presso il dipartimento di Belle Arti dell’Università Stefan Báthory. Già diventato una figura importante dell’avanguardia yiddish della città, Moshe vi aveva esposto le sue prime opere in stile modernista prima di trasferirsi nell’ottobre del 1927 a Dessau, dove si era iscritto alla Bauhaus. Nella nota scuola di arte e design tedesca aveva seguito per due semestri i corsi di Josef Albers, László Moholy-Nagy, Paul Klee e Wassily Kandinsky oltre a frequentare il laboratorio di pittura murale di Hinnerk Scheper.

Crépuscule, 1928-1929, serie quartiere ebraico di Vilnius.

Gli insegnamenti dei suoi maestri segneranno le opere del Vorobeichic fotografo. Rientrato a casa, nel 1928 realizzerà un reportage del vecchio quartiere ebraico di Vilnius. Accanto ai ritratti delle persone che vi abitano dedicherà così diversi scatti ai suoi edifici, con fotografie rigorosamente costruite con vedute dall’alto. Queste foto, in mostra ora a Parigi, erano state esposte prima a Vilnius, presso l’Unione degli artisti ebrei, e poi al XVI Congresso sionista di Zurigo. In questa occasione era anche nata l’idea di un libro che le raccogliesse, The Ghetto Lane in Wilna, pubblicato nel 1931. Nello stesso anno aveva visto la luce un altro e più monumentale libro di Moï Ver: Paris. A cavallo tra gli anni Venti e Trenta, Moshe si era trasferito nella capitale francese, centro internazionale della fotografia d’avanguardia dove avrebbe vissuto fino al 1933, abitando nel quartiere di Montparnasse e frequentando personaggi come André Malraux e Fernand Léger.

Barbes, 1933-1934 Serie I volti di ieri – gli ebrei in Polonia 1929-1939

Le opere in mostra di questo periodo sono frutto dei corsi serali dell’Académie Moderne di Fernand Léger e della Scuola Tecnica di Fotografia e Cinematografia, spesso pubblicate come fotografo freelance o per l’agenzia Photo Globe in riviste come Arts et métiers graphiques, Plans, Bifur e VU. Gli studi sulla città porteranno alla raccolta pubblicata dalle edizioni Jeanne Walter: Paris. 80 photographies de Moï Ver. Con un’introduzione dell’amico Léger, il volume aveva consacrato il fotografo lituano come importante artista d’avanguardia. Con una tiratura di mille copie, il volume sarebbe diventato un oggetto di culto, tanto più dopo che un’alluvione della Senna ne aveva fatto scomparire il 95% delle copie, con appena una quarantina rimaste in circolazione. Di queste, ne girano ancora dei preziosissimi esemplari, ma sono disponibili anche delle relativamente più abbordabili ristampe numerate.

Madre e figlio nel giorno del mercato, 1937, serie Volti di ieri – gli ebrei in Polonia 1929-1939

Tornando all’ormai lanciatissimo Moï Ver, l’artista coglierà l’occasione per cambiare un’altra volta il proprio nome, mutandone questa volta l’ortografia in moï Wer. Inizierà anche a progettare un nuovo libro con opere sperimentali, intitolato Ci-contre, che il professore e critico d’arte tedesco Franz Roh avrebbe voluto pubblicare nel 1934. L’ascesa del nazismo renderà impossibile la realizzazione del progetto e il libro sarà pubblicato postumo, nel 2004, grazie all’impegno di Ann e Jürgen Wilde. Questa coppia di collezionisti tedeschi alla fine degli anni Sessanta si era messa sulle tracce di Moi Ver, all’epoca già da tempo trasferitosi a Safed e dal 1951 noto con il nome di Moshe Raviv.

Autoritratto. Due scatti di me stesso. Yport, Seine-Maritime, sulla spiaggia, 1931

Prima del suo trasferimento definitivo in Israele, però, Moshe aveva continuato la sua esplorazione nella cultura ebraica della Polonia. Scattate tra il 1929 e il 1939, le opere di questo periodo documentano la vita popolare nelle città e nelle campagne, con primi piani di volti, scorci di vicoli e scene di strada. Accanto al reportage sulle comunità tradizionali e agli scatti sperimentali più concentrati sull’architettura compare anche quello iniziato nel 1937 sulle fattorie agricole destinate alla formazione dei giovani sionisti che si preparavano a emigrare in Palestina. Dal canto suo, Moshe vi si sarebbe stabilito nel 1934 dopo una prima incursione come inviato dall’agenzia Photo Globe di due anni prima. Iniziando tra Gerusalemme e Tel Aviv l’ennesima fase della sua vita.

 

senza titolo, 1934-35

 

Manifesto per l’Histadrout, 1941

Al Centre Pompidou la selezione dei lavori appartenenti a questa ulteriore nuova fase si dividono tra immagini della vita quotidiana dei pionieri nei kibbutzim, i lavori agricoli e la costruzione di nuove infrastrutture e altre di ricerca, in stile modernista. Compaiono anche manifesti, collage e fotomontaggi di propaganda pubblicati su opuscoli e pubblicazioni sioniste.

Senza titolo, 1930 circa

Il passaggio ad altre forme espressive sarebbe diventato definitivo con l’ennesimo trasferimento dell’artista ormai conosciuto come Raviv. Agli anni nella città sacra di Safed, compresi il 1953 e il 1995, quello della morte, la mostra dedica la sua ultima sezione. Vi si possono ammirare le opere a olio, i disegni e le incisioni realizzate da un Moshe ormai più interessato alla pittura che alla fotografia. Le creazioni di questi anni si dividono tra gli omaggi ai propri studi e allo stile modernista e i riferimenti alla religione e alla spiritualità. Da una parte opere astratte, come gli omaggi a Klee alla Bauhaus, dall’altra richiami alla letteratura popolare yiddish e alla tradizione esoterica cabalistica, con riferimenti figurativi come paesaggi, immagini religiose e luoghi di studio.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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