Israele
Mamma, ho fatto un brutto sogno

Paure, angosce e sofferenze di bambini e adulti di Israele nel giorno della liberazione di tredici ostaggi

“Mamma ho fatto un brutto sogno”,  mi sussurra mio figlio di sette anni facendo fatica ad addormentarsi. Gli chiedo di raccontarmelo. “Qualcuno mi prendeva e mi portava in luogo lontano e buio”, dice dandomi la manina per sentire la mia. L’ho rassicurato promettendogli che nessuno l’avrebbe rapito. Era protetto, nel suo lettino, accanto alla sua mamma. Abbiamo calmato le nostre paure pronunciando lo “Shema Israel”- Ascolta Israele, la preghiera portante dell’ebraismo, che le mamme ebree trasmettono ai loro figli per generazioni.

Il suo respiro in pochi attimi si è trasformato in quello ritmico del sonno. Il mio intanto si è fermato. Ho mentito a mio figlio sapendo che sarà lui, fra una manciata di anni, a proteggermi e difendermi quando sarà richiamato dall’esercito israeliano. Non posso promettergli di riuscire a proteggerlo dai razzi che i nostri nemici lanciano senza tregua. Dall’odio e dalla sete di sangue ebraico con cui crescono i loro coetanei palestinesi ai confini di Israele. Non posso nemmeno aiutarlo a comprendere il consenso dilagante che grida il motto “dalle rive del Giordano al mare” dalle piazze del mondo occidentale. Non posso farlo come non l’hanno potuto fare le madri d’Israele di Nir oz, di Kfar Haza e degli altri kibbutzim pacifisti decimati nel pogrom del 7 ottobre, e prima d’allora, tutte quelle che da 75 anni, piangono i propri figli caduti in guerra o per mano del terrorismo islamico nel giorno del ricordo, Yom hazikaron, che si commemora il giorno prima della festa dell’Indipendenza e della proclamazione dello Stato di Israele, Yom Hazmaut.

Mentre accarezzo la fronte di mio figlio, penso ai lettini vuoti (the Empty Beds) l’installazione dell’artista Eran Webber nella piazza Habima di Tel Aviv. Vuoti da 49 giorni. Con i loro pupazzi, le lenzuola colorate e i ritratti e i nomi dei bambini tenuti al buio e in un luogo lontano da Hamas, dalla Jihad, e dai clan palestinesi. Piango con le loro mamme. Quelle torturate, stuprate, sventrate dei loro feti e uccise dai terroristi di Hamas davanti ai loro figli, e quelle più fortunate, rapite insieme ai loro bambini senza lasciarli soli. Poteva capitare a me, come a ognuna delle madri d’Israele.

Si è fatto giorno. È un giorno speciale.  Attendo trepidante insieme a tutto il popolo ebraico il primo scambio degli ostaggi tra Hamas e il governo israeliano in questo breve intervallo di guerra. Tredici innocenti civili i primi salvati tra i sommersi: 4 Bambini, 2 mamme e 7 anziane barattati con 39 terroristi palestinesi. Cerco di scoprire i loro nomi e riconoscere i loro volti, fra i duecento e oltre, che sono appesi su tutti i muri del paese. Poi arrivano le prime immagini filmate: i terroristi di Hamas a volto coperto li caricano sulle camionette della croce rossa. Sembrano persino premurosi per farsi buoni agli occhi dei media. Le due mamme, Daniel Aloni, 45 anni e Doron Katz 34 anni rapite assieme ai loro bambini, Emilia Aloni 5 anni, Aviv Asher Kaz 4 e Raz Asher Katz 2, riabbracciano le loro famiglie. Le loro case, e i loro lettini non ci sono più. Ciò che resta, è la speranza di tornare a farli addormentare senza paura. Pensare per un momento che sia stato solo un brutto incubo. Ma sappiamo che non lo è. Quando tutti gli altri ostaggi torneranno a casa, forse, riusciremo a sognare che il 7 ottobre non si ripeterà mai più.

Manuela Jael Procaccia
collaboratrice
LAureata in filosofia, è sceneggiatrice per commedie cinematografiche come Malati di sesso (2018), Feisbum (2009); ha lavorato come script editor in prodotti di lunga serialità, tra i quali Vivere e Centovetrine e come autrice televisiva in diversi reality e talent tra cui Il grande fratello e Amici di Maria de Filippi.
Ha firmato e realizzato documentari, tra cui Covid-19, il virus della paura (2020).
Per il suo cortometraggio La Cura (2022), presentato in anteprima alla 79° Mostra di Venezia, ha vinto il premio miglior corto sociale Starlight International Cinema Award.
Roller Coaster (2019), ha vinto il premio Miglior Sorriso nascente (regia opera prima) alla 13a edizione del Festival Internazionale di Cinematografia Sociale Tulipani di seta nera, Roma. Tra i progetti in sviluppo, sta lavorando come co-creatore insieme ad Ori Sivan (In Treatment) al TV drama Venti Mesi, coproduzione tra Israele e Italia.
Vive a Tel Aviv, ma è nata a Milano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.