Cultura
Peggy, l’ultima dogaressa

Ritratto dell’avanguardia, con una signora dell’arte davvero speciale, Peggy Guggenheim

Peggy Guggenheim non ha bisogno di presentazioni. Così come non occorre raccontare quale fosse il suo amore per Venezia, la città che ha scelto come luogo dell’anima, in cui vivere la sua esistenza da mecenate e appassionata dell’arte. Basta solo il fatto che tutto questo le è valso il titolo, giunto al suo 80esimo compleanno, di Ultima Dogaressa. Proprio con questo appellativo infatti si inaugura una mostra a lei dedicata a Palazzo Venier dei leoni, oggi sede della fondazione Guggenheim, a 40 anni dalla sua scomparsa.

L’occasione ha permesso alla direttrice della Fondazione Guggenheim Karole P. B. Vail di mettere a punto un’esposizione dedicata alle passioni: non si celebra un mito, piuttosto è un racconto attraverso le opere. Quelle acquistate nel 1938 a Londra, dove Peggy aprì la sua prima galleria, Guggenheim Jeune, e quelle comprate appena si stabilì a Venezia, nel 1947.

Emilio Vedova, “Immagine del tempo – Sbarramento”, 1951. Courtesy Fondazione Emilio e Annabianca Vedova

L’inizio è storico: Peggy viene invitata a esporre, nel 1948, alla 24esima Biennale d’arte. Per lei è la prima mostra in Europa dopo la chiusura della sua galleria newyorkese. Si parte da qui, perché quella esposizione, allestita nel padiglione della Grecia, fu dirompente. Era la più contemporanea di tutta la biennale, per la presenza di opere dell’Espressionismo astratto americano, in assoluto la più grande novità della rassegna. Ma c’erano anche Jackson Pollock, al suo debutto in Europa e la prima presentazione fuori dagli Stati Uniti di una nuova generazione di giovani artisti americani che, negli anni a venire, avrebbero dominato la scena artistica internazionale. E poi, Venezia stessa e l’Italia, con una selezione di artisti attivi alla fine degli anni ’40, a cominciare da Emilio Vedova, il primo artista a entrare nella collezione di Peggy al suo arrivo in Laguna.

Si procede lungo un percorso artistico che approda al 1979 attraverso circa 60 opere tra dipinti, sculture e lavori su carta della collezione. Il mix è ancora oggi molto attuale e stimolante, perché il cocktail è composto da artisti del calibro di Mark Rothko, Robert Motherwell, Jean Arp, Willem de Kooning, Alberto Giacometti, Costantin Brancusi e altri meno noti tra cui Kenzo Okada, Corneille, Franco Costalonga, Heinz Mack, insieme a tre meraviglie: L’impero della luce di René Magritte, Autunno a Courgeron di René Brô, lo Studio per scimpanzé di Francis Bacon.

Renée Magritte, L’impero della luce, 1953/54.
Francis Bacon, Studio per scimpanzé, 1957, Courtesy The Estate of Francis Bacon
René Brô, Autunno a Courgeron, 1960

 

Anticonformista la scelta dell’allestimento e del percorso espositivo, proprio come la collezionista mecenate cui è dedicata. Una donna spiritosa, “Al quarto matrimonio ho preferito l’arte”, aveva dichiarato. Ma l’arte l’ha guidata sempre, in ogni scelta della sua vita. Giovanissima, lavora a New York alla libreria Sunswise Turn e comincia a frequentare i salotti letterari. Si appassiona dei movimenti d’avanguardia e presto sposa Laurence Vail, squattrinato pittore dadaista, da cui avrà due figli. Si separa e parte per l’Europa con i figli, tra Parigi e Londra. Ad aprire la galleria londinese sarà con lei Jean Cocteau. Diventa il luogo delle avanguardie europee e presto Peggy, incurante della guerra, decide di trasformarla in un vero e proprio museo, comprando opere di artisti già importanti, come Picasso, Braque, Moore. Nel 1941 però l’esercito tedesco avanza verso Parigi e lei è costretta a lasciare l’Europa e tornare a New York, dove inaugura la galleria Art of this century. Si era appena sposata con il pittore surrealista Maz Ernst, da cui divorzierà solo due anni dopo. Appena finita la Guerra, lascia nuovamente gli Stati Uniti per stabilirsi a Venezia. Compra Palazzo Venier dei Leoni dove stabilisce la sua collezione, oggi donata, insieme all’edificio, alla Fondazione Solomon Gugenheim.

Così in mostra compaiono per la prima volta i privatissimi e preziosi scrapbooks, album in cui Peggy raccolse con meticolosa attenzione articoli di giornali, fotografie, lettere, inviti delle sue mostre. Ma anche l’opera Scatola in una valigia realizzata da Marcel Duchamp nel 1941 proprio per Peggy e raramente visibile al grande pubblico per la sua delicatezza, eccezionalmente esposta dopo un importante intervento di studio e restauro all’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze. Un aspetto pù intimo, personale della Guggenheim che completa il ritratto di una delle donne più appassionate, intraprendenti e geniali del secolo scorso.

La mostra è stata resa possibile da Fondazione Lavazza, Global Partner della Fondazione Solomon R. Guggenheim e da EFG, Institutional Patron del museo.

Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa, Guggenheim, Venezia, fino al 27 gennaio

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.