Cultura
Ruth Handler e la sua Barbieland, terra promessa dell’uguaglianza e del diritto alla differenza

Ritratto dell’inventrice di Barbie, la bambola ebraica dalle sembianze Wasp che vive nell’America dei sogni

C’è un personaggio che si affaccia solo per qualche sequenza nel film Barbie. Si chiama Ruth, è un’anziana e scopriamo che è l’inventrice della bambola. Sarà lei a fare provare alla Barbie Standard della storia le infinite possibilità di una vita umana, tanto da farle scegliere di essere definitivamente una donna, come si svela dalla battuta finale che è un capolavoro di comicità  ed efficacia al pari della chiusa “nessuno è perfetto” di  A qualcuno piace caldo. È strano che nelle recensioni non venga mai nominata questa signora, così importante per il ruolo che ha avuto nella vicenda. Non un approfondimento, una curiosità;  tutta l’attenzione della critica è riservata alle gags o addirittura alle polemiche che hanno accompagnato il film, reo o di essere un prodotto del capitalismo e di affabulare intorno al simbolo in plastica più detestato dalle femministe; o al contrario di offendere la sensibilità maschile mostrando le pecche del patriarcato. Su Ruth però nessuna parola; eppure la sua funzione narrativa è fondamentale e la sua biografia è molto interessante. Fa capire molte cose anche sulla nascita del giocattolo, Barbie, chiamata con lo stesso nome della figlia.

La famiglia originaria proveniva dalla Polonia dove aveva conosciuto la povertà e la persecuzione, ma Ruth in realtà nacque in America, in Colorado nel 1916. Madre illetterata, padre fabbro. Si innamorò di un giovane artista spiantato, Izzy Handler, e lo sposò nel 1938
A diciannove anni lasciò l’Università di Denver e si recò a Los Angeles dove trovò un lavoro di segretaria alla Paramount.  Izzy la raggiunse e cambiò il suo nome in Elliott, che camuffava l’origine semita in un’America ancora invisa agli ebrei. Fu un consiglio di Ruth, che pure teneva molto alle  proprie radici (aiutò a fondare il Temple Isaiah a Los Angeles e contribuì sempre ad associazioni benefiche). Ma era anche una donna pratica, intraprendente, con i piedi per terra. Era ben consapevole dell’antisemitismo, dei commenti bruschi o sarcastici quando i poliziotti la fermavano e vedevano il suo nome scritto sulla patente.
Cominciò a collaborare con il marito: Eliott; lui realizzava manufatti artistici in plastica e lei li vendeva. Iniziarono a produrre piccoli mobili in legno per case di bambole con un amico Harold “Matt” Matson. Fu un successo. Ruth si rivelò un’imprenditrice coraggiosa che non aveva paura di rischiare. Chiamarono così la compagnia Mattel – dalla sintesi dei due nomi, Matt e Eliott. Nel 1946 Matson vendette la sua parte e la Handler divenne la presidente.
Cominciarono a costruire pupazzetti-giocattolo per ragazzi. Un giorno vedendo giocare la figlia Barbara con bambole di carta trattandole come se fossero donne adulte Ruth ebbe l’idea di creare  una bambola cresciuta; vide un modello in Svizzera e lo copiò. Ma c’erano molte incognite. Le madri avrebbero mai comprato alle loro figlie bambole con il seno? La prima Barbie debuttò alla New York’s Toy Fair nel 1959. Nonostante la disapprovazione dei benpensanti, le bambine la amarono immediatamente.

Barbie andò in televisione nei programmi Disney, rivoluzionò il modo di comprare i giochi, prima proposti dai genitori nei cataloghi e ora scelti in modo autonomo dai bambini che li vedevano in tv. Nel 1961 nacque Kenneth, Ken, come il figlio degli Handler. Odiata dalle femministe, Ruth rispose che anzi Barbie rappresentava possibilità infinite per le donne.
Nel libro di memorie Dream Doll: The Ruth Handler Story affermò: «Barbie ha sempre rappresentato il fatto che le donne potessero avere delle scelte. Anche all’inizio non era stata inventata per essere la fidanzata di Ken o una consumatrice abituale di moda, dedita solo allo shopping. Aveva vestiti legati a lanciare una carriera sia che fossero quelli dell’infermiera, della pilota di aerei o della cantante di night». Una Barbie astronauta apparve già nel 1965, quattro anni prima dell’allunaggio di Neil Armstrong. Ken e Barbie non si sono mai sposati o hanno avuto figli.
Nel 1970 Handler si ammalò di cancro e subì una doppia mastectomia che la portò a brevettare una protesi al seno di silicone che la soddisfacesse. Rilasciò interviste. Questo incoraggiò le donne a risollevarsi da una malattia debilitante in un’epoca in cui nessuno ancora affrontava il problema e parlarne era un tabù. Un altro esempio di quanto alla signora stesse a cuore la solidarietà femminile.

Ci sarebbe un ulteriore aspetto da sottolineare. Ruth creò Barbie nel 1959, l’epoca in cui molti ebrei lottavano con il concetto di assimilazione ed erano divisi tra mantenere una loro unicità e diventare protagonisti attivi della nazione. Nonostante continuassero a provare sulla loro pelle la discriminazione del periodo del dopo guerra, anelavano anche a una nuova sicurezza, a far parte della società americana, fondarla, darle anche loro dei valori. Ruth Handler trovò questo mondo agognato e ideale, questa utopia in Barbieland. Barbie era una bambola ebrea, anche se non aveva l’aspetto di un’ashkenazita ma di una Wasp, che viveva l’America dei sogni. È tuttavia sempre stata considerata un prodotto ebraico dai suoi detrattori. Fu temporaneamente bandita in Sud Arabia come simbolo della decadenza del mondo occidentale pervertito. In Iran le Barbie sono tuttora proibite e anche il film ha avuto nei paesi arabi diversi problemi di distribuzione.

La Handler morì nel 2002, Elliott nel 2011. Non sappiamo se le sarebbe piaciuta la pellicola sceneggiata e diritta da un’altra donna creativa, Greta Gerwig, che ha incassato un miliardo in pochi giorni. Il film è una grande festa colorata, il trionfo delle differenze e pare dire che non devi avere un aspetto particolare per essere una Barbie o un Ken. Ci possono essere Barbie incinte, grasse, magre, nere, orientali, strambe, così come i Ken. E tutti hanno il loro posto e danno il loro contributo in Barbieland, la terra dei sogni, come una volta era l’America per gli immigrati che venivano dal vecchio mondo, in cui tutti sarebbero stati uguali pur nella loro diversità. 

Nel film Ruth alla fine prende le mani di Barbie Stereotipo e le fa sentire cosa sia la vita reale, conducendola in un cammino di progresso e evoluzione, strizzando l’occhio alla speranza che i percorsi di tutti possano essere sempre accettati, anche se includono trasformazioni radicali, e che gli esseri umani – bambole incluse – siano liberi di scegliere in base ai desideri la propria esistenza, la propria felicità.

Laura Forti
collaboratrice
Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021. Con Guanda nel 2022 pubblica Una casa in fiamme.

1 Commento:

  1. Grazie a Laura per questo articolo. Non ne sapevo niente. ho regalato Barbie a mia figlia solo quando ho pensato che non doveva diventare un sogno proibito.
    La biografia è davvero molto interessante e il tuo articolo, Laura rende e spiegs benissimo la complessità di cose che sfuggono all’ideologia. Un carissimo saluto


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