L’opinione di un educatore e studioso americano
Il magazine The Forward riprende un saggio pubblicato in seguito agli scontri in Israele del 2014 per parlare della situazione attuale. Si tratta di un lavoro condotto da Sivan Zakai, assistente professore di educazione all’American Jewish University, per rispondere ad alcune domande come cosa sentono i bambini ebrei americani riguardo al conflitto? Come dovremmo noi, genitori, nonni e insegnanti, parlarne con loro? Per farlo, nel 2014, lo studioso ha scelto di togliere qualsiasi filtro o pregiudizio circa quanto i bambini capiscono e sono in grao di fare rispetto al conflitto, quindi si è messo a parlare con i suoi giovani interlocutori. Ecco, come dice l’autore, cosa ha imparato da loro.
Cosa sentono i bambini
I bambini di oggi hanno facile accesso alle tecnologie connettive che fanno crollare le distanze. “I bambini ebrei americani sono fisicamente lontani da Israele, ma non sono psicologicamente protetti dal trauma del conflitto israelo-palestinese. Anche guerre geograficamente lontane viste attraverso uno schermo possono sembrare vicine, toccando bambini che non hanno mai sperimentato personalmente la violenza”, scrive Sivan Zakai. Che poi prosegue: “Gli adulti dovrebbero affrontare le conversazioni con i bambini ebrei americani capendo che i bambini sono emotivamente vulnerabili perché anche eventi lontani possono sentirsi vicini al cuore. Questo significa dare loro ampio spazio e opportunità per fare domande, esprimere le loro paure e preoccupazioni”, supportati dagli adulti di fiducia.
Cosa sanno i bambini
“All’età di sette anni, molti bambini ebrei americani capiscono e possono discutere il fatto che Israele è coinvolto in un violento conflitto in corso. Capiscono che il conflitto può essere attribuito a molteplici cause”, spiega Sivan Zakai. “I bambini sanno che ci sono seri disaccordi sulla terra e sui confini, e descrivono il conflitto come una questione di richieste territoriali concorrenti. Spiegano anche che il conflitto è di natura religiosa, discutendo in modo ponderato i modi in cui ebrei e musulmani si sono scontrati, o le ragioni per cui Israele è una calamita per l’antisemitismo globale”. Non solo: ci sono bambini che leggono il conflitto come un problema di concezioni diverse circa ciò che costituisce una società giusta. Queste competenze, secondo l’autore, devono essere riconosciute dagli adulti nel dialogo con i loro giovanissimi interlocutori. Dunque, non va evitata la discussione perché “troppo govani per capire il conflitto” oppure per proteggerli: “i bambini capiscono che il conflitto è spaventoso, complesso, disordinato e instabile”.
Quello che i bambini non sanno
“I bambini ebrei americani non spiegano il conflitto come una questione di nazioni. Questo perché la maggior parte dei bambini sono ignari delle aspirazioni nazionali del popolo palestinese, e anche i bambini che usano parole come “palestinese”, “Hamas” e “Gaza” ammettono di non sapere davvero cosa significhino”, spiega Sivan Zakai. Che poi sottolinea quale deve essere il ruolo degli adulti: accettare l’idea che i bambini abbiano tutte le informazioni necessarie a capire il conflitto. La conclusione? Un invito ad accogliere i bambini, persone emotivamente vulnerabili e intellettualmente capaci esattamente come l’adulto, in modo rassicurante quanto trasparente: “È il momento di abbracciarli forte e parlare con loro di questo mondo spaventoso in cui tutti noi viviamo”.
Sivan Zakai è assistente professore di educazione all’American Jewish University e studioso affiliato al Mandel Center della Brandeis University. Dirige la Teaching Israel Fellowship (AJU) e il Children’s Learning About Israel Project (Brandeis).