Voci
Small is beautiful: il forum delle piccole comunità a Firenze
Particolare della Sinagoga di Firenze

Impressioni dalla partecipazione al Jewish Small Communities Forum, svoltosi nel capoluogo toscano dal 2 al 4 giugno

Le piccole comunità ebraiche: costellazioni composite, con esigenze e fisionomie differenti dalle comunità grandi. Da un lato, il potenziale per essere un luogo vivo, un reale punto di riferimento per chi ne fa parte: piccoli numeri vogliono dire meno barriere, meno pericolo che si sviluppi il senso di alienazione tra istituzione e iscritti che si riscontra invece nelle comunità grandi. Dall’altro, il rischio dell’isolamento, della mancanza di visione e apertura: piccoli numeri vogliono dire anche meno risorse, meno attrattive, più possibilità di scomparire.

Urge allora il confronto, lo scambio, la creazione di reti. Small is beautiful e Being small is not a choice: being isolated is: questi gli slogan del Forum per piccole comunità ebraiche organizzato da ECJC (European Council of Jewish Communities) e JDC (American Jewish Joint Distribution Committee) che si è tenuto dal 2 al 4 giugno a Firenze, in collaborazione con la Comunità Ebraica locale. Due giorni e mezzo di scambio e apprendimento, tema specifico l’accoglienza, l’essere welcoming: come una piccola comunità può conciliare l’apertura e l’accoglienza verso esterni e nuovi arrivati con il bisogno di coesione, appartenenza, sicurezza dei suoi membri?

I partecipanti provengono da diverse parti d’Europa: Polonia, Repubblica Ceca, Germania, Bulgaria, Olanda, Irlanda, Grecia, Finlandia, Spagna… Dall’Italia, sono rappresentate Milano (con JOI), Roma (con il Centro Pitigliani), Firenze, Ferrara, Venezia.

Impariamo che a Cracovia c’è un super festival ebraico ogni anno a fine giugno; che la Germania ospita diverse comunità russofone; che in Bulgaria c’è stato un dibattito sullo status dei residenti non cittadini che non possono iscriversi ufficialmente alla comunità locale; che a Rovaniemi arrivano sempre più israeliani, tanto che la terra di Babbo Natale si sta affermando come uno dei luoghi in Europa per fare più facilmente turismo kosher; che le comunità di Atene e Salonicco sono vive e combattive, malgrado le enormi difficoltà della crisi greca, e che tutti stanno seguendo con interesse le imminenti elezioni locali perché c’è un candidato ebreo: si tratta di Moses Elisaf, che effettivamente di lì a due giorni vincerà a Giannina e diventerà primo sindaco ebreo nella storia della Grecia.

Il lavoro di riflessione sul significato di comunità accogliente si declina in workshop dai diversi format, dai panel in plenaria, alla divisione in coppie, dal world café (piccolo gruppo che discute intorno a un tavolo, proprio nell’atmosfera “bar sotto casa”) allo speed date (pochi minuti per dialogare e arrivare al punto, a tempo scaduto si ruota e si ricomincia con un nuovo interlocutore): si parla della prospettiva ebraica attraverso uno sguardo ai testi della tradizione che trattano del comportamento ideale degli ospiti (in entrambi i sensi di host e guest), si condividono esperienze di benvenuto e rifiuto – di tipo personale o avvenute nella propria comunità – , si prova a tracciare una roadmap di valori e di comportamenti per tradurli in pratica. Si insiste moltissimo sulla strategia dei piccoli passi: non fare chissà che, non tentare di reinventare la ruota per poi lasciarsi sopraffare dalla delusione, ma partire dalla valorizzazione di ciò che si ha. Piccole comunità, piccoli passi.

Il secondo giorno, dopo la formazione ci aspetta un tour di Firenze ebraica, con visita alla Sinagoga – inaugurata nel 1882, simbolo per eccellenza dell’emancipazione dal ghetto – e al Museo Ebraico. Emanuele Viterbo, Segretario della Comunità, ci parla delle sfide da affrontare: età media avanzata degli iscritti, tendenza all’assimilazione o a spostarsi verso comunità più grandi, numerose famiglie miste. Nella fascia generazionale under 45, ad esempio, solo in due famiglie abbiamo entrambi i genitori ebrei. Il tour per la città è guidato da Paola, che ci racconta della sua famiglia e della sua decisione di intraprendere il ghiur, un lungo percorso a ostacoli ma completato con successo (“Nessuno ci credeva, ma alla fine ho vinto io”, scherza).

Si gira, si allacciano conversazioni, si discute dei rispettivi progetti e di come riconoscere una buona gelateria. Diversi ospiti dall’estero si dispiacciono del mancato scambio con la comunità ebraica locale. “A parte la visita alla città e alla sinagoga, avrei voluto parlare di più con le persone, conoscerle, sedermi a tavola con loro”, dice qualcuno, esprimendo ad alta voce il pensiero di molti.

Questo e altro condividiamo al momento della valutazione finale: punti di forza e aggiustamenti necessari per migliorare gli appuntamenti futuri. Per tutto il seminario, come sempre in questo genere di occasioni, mi resta addosso l’impressione che tutto sia bello e utile, che confrontarsi con realtà diverse sia importante, ma che qualcosa potrebbe funzionare meglio, che alla prova dell’operatività una parte di quanto appreso finisca sempre vittima di un lost in translation. Momenti di formazione che si vogliono universali (e fanno del loro meglio per esserlo), ma che in verità si costruiscono a partire da esperienze e contesti culturali precisi, e che approdando in una nuova realtà hanno bisogno di riformulazione. Senza nemmeno menzionare la barriera linguistica (solo sui malintesi che creiamo tra inglese e italiano saltando impropriamente tra comunità e community ci vorrebbe una parentesi a parte!). Proprio all’ultimo, come una linea a unire i pensieri fluttuanti nella mia testa senza forma precisa, sento il ragazzo finlandese dire che dopo questa esperienza parteciperà anche a un forum per le piccole comunità scandinave. Penso così che sarebbe utilissimo, come integrazione a un appuntamento come questo, un forum dedicato alle piccole comunità italiane: stessa impostazione e concetti da sviscerare, ma focus diretto sulla specificità italiana. Alcuni tra quelli che mi siedono vicino e che mi sentono pensare ad alta voce dicono che sarebbe una buona idea. Io non sono sicura di niente, ma lo scrivo nel foglio di valutazione finale alla voce “suggerimenti”. Strategia dei piccoli passi. Cosa ne so, magari l’idea piace. Intanto, prima di riprendere il treno, si finisce in una nuova gelateria e in nuove disquisizioni (direi, quasi talmudiche) su come riconoscere quelle buone. Small sarà pure beautiful, ma intanto il cono ce lo farebbe big, please? Sì, io sono italiana, siamo di diversi Paesi, certo aiuto io a tradurre i gusti. Arrivederci, Firenze.

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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