Cultura
“Sotto l’albero delle giuggiole” secondo romanzo di Gila Almagor

Incontro con l’autrice in occasione dell’arrivo del titolo in traduzione italiana

«Ho sempre avuto un legame speciale con l’Italia – esclama sorridendo Gila Almagor, mentre mostra con orgoglio le foto, appese alle pareti della sua casa di Tel Aviv, di Anna Magnani. – Lei è stata la mia musa a cui mi sono sempre ispirata nel mio lavoro. Un’altra figura fondamentale è stato Gilberto Tofano, regista italiano eccezionale, ma anche un grande amico. Lo ricorderò sempre con affetto per aver descritto in modo unico Israele durante la Guerra dei Sei Giorni, nel meraviglioso film The Siege (presentato al Festival di Cannes del 1969, ndr) di cui sono stata anche protagonista. Vedere il mio secondo libro pubblicato in italiano è per me un grande onore e un omaggio a un Paese che amo così tanto».
Si è conquistata la fama internazionale di “Sophia Loren israeliana” grazie ai settant’anni di carriera tra palcoscenico e grande schermo, con oltre una cinquantina di film, tra i quali Life according to Agfa, di Asaf Dayan, figlio del celeberrimo Generale Moshe Dayan e Munich, del grande Steven Spielberg.

Gila Almagor nel 1969

First Lady del teatro e del cinema israeliano, solo a carriera avanzata Gila Almagor avverte la necessità di raccontare al pubblico la sua storia personale, che è al tempo stesso la storia di un intero Paese.
Così, nel 1985, trova la forza e il coraggio di scrivere e pubblicare il suo primo romanzo: L’estate di Aviha, che diventa subito un best seller, tradotto in più di venti lingue e in Israele ancora oggi presente a pieno titolo nei programmi scolastici.
Il successo immediato la porta a trarne un monologo teatrale con cui gira i teatri di tutto il mondo, fino a produrre, in collaborazione con il celebre regista israeliano Eli Cohen, il film omonimo, vincitore dell’Orso d’argento al Festival di Berlino nel 1989, a cui nel 1994 segue il sequel, Sotto l’albero delle giuggiole, diretto dallo stesso regista e ispirato al libro omonimo, pubblicato dalla Almagor nel 1992, il proseguimento della storia di Aviha, una volta adolescente: due momenti diversi della vita della Almagor, raccontati attraverso lo sguardo del suo alterego, Aviha. I primi descritti attraverso gli occhi di una bambina, i secondi attraverso quelli di un’adolescente.

Come ci racconta la stessa autrice: «ho scritto il primo libro di getto, come un fiume in piena che non potevo controllare. Ci sono voluti poi anni per digerirlo, metabolizzarlo, fino ad arrivare alla scritturo del secondo che, a differenza del primo, è stato il frutto di un processo di riflessione molto più lungo e articolato».
Oggi in Israele vengono pubblicati assieme, come se uno non potesse esistere senza l’altro: due racconti carichi di pathos e humor che lasciano senza respiro, disponibili, finalmente in italiano, grazie alla splendida traduzione di Paola M.Rubini editi dalla piccola casa editrice indipendente Acquario, che ha pubblicato il primo nel gennaio 2021 e Sotto l’albero delle giuggiole, che esce oram sempre intorno alla data dei giorno della Memoria, vera protagonista di questa piccola grande saga.

Sotto quest’albero, collocato in cima alla collina dell’orfanotrofio in cui Aviha è cresciuta, la vita va avanti, ma il racconto, in questo secondo volume, si fa meno intimo, e più corale. Se il primo è una storia famigliare, il dramma di una bambina rimasta orfana di padre e con una madre distrutta psicologicamente dal conflitto della Seconda guerra mondiale, in questo secondo volume la storia cambia e Aviha, come una cantastorie, narra le vicissitudini dei suoi compagni di istituto, orfani come lei, figli di quella “seconda generazione” di sopravvissuti alla Shoah, che per anni ha tardato a scavare nella memoria per via del troppo dolore.

«Faccio parte della ‘seconda generazione’ – ci spiega Gila, facendo riferimento ai suoi compagni di istituto e di vita. – Con molti di loro sono cresciuta, anche dopo l’esperienza di Hadassim – Udim nel romanzo – una delle tante case di accoglienza per orfani che negli anni Cinquanta, in Israele, hanno accolto gli orfani della Shoah. Ma a differenza dei miei compagni di infanzia io, almeno, una madre ce l’avevo, e per questo mi sono sempre sentita molto fortunata, anche se era malata mentalmente, a causa dei traumi subiti in Polonia. Io però non avevo dei segreti da portarmi dietro come loro, a cui non è bastata una vita intera per trovare il coraggio di raccontare cosa gli era successo. Forse scrivere per me è stato un modo per dare voce a tutti loro. Da ragazza non avrei mai immaginato di poter scrivere e, soprattutto, di pubblicare un romanzo. L’estate di Aviha è cominciato come un processo catartico, che ho completato con Sotto l’albero delle giuggiole».

Con queste due opere, dunque, questa grande autrice rappresenta quello spartiacque di scrittori israeliani che sono riusciti, a cominciare dagli anni Ottanta, ad affrontare ed indagare questo dolore, attraverso un processo che non è solo di restituzione della memoria ma anche di catarsi, come la catarsi collettiva che vivono Aviha e i suoi compagni di istituto nel corso delle avventure e disavventure raccontate in questa storia che lascia senza fiato dalla prima all’ultima pagina.
Fin dall’inizio, troviamo due parole che percorreranno tutto il testo: “qui” e “là”, metafora del mondo da cui i protagonisti sono scappati, in Europa, e il mondo che stanno creando nel neo-nato Stato di Israele. “Qui” e “là” diventano il filo conduttore dell’intero romanzo che, pur se con gli occhi di un’adolescente alle prese con il primo amore, non risparmia argomenti di cui ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, si discute animatamente: dall’accettare – o meno – gli indennizzi provenienti dalla Germania per i sopravvissuti, alla censura di opere d’arte tra cui una sonata di Richard Strauss, interpretata dal grande violinista ebreo Jasha Hefetz, aggredito di fronte al suo albergo a Gerusalemme per aver omaggiato il compositore tedesco dalle dichiarate simpatie nei confronti del regime nazista.

Un volume che si lascia leggere come un diario scritto da un’adolescente in crisi di identità ma che ci interroga sulle grandi questioni irrisolte non solo in Israele ma per l’intero popolo ebraico.
Questa seconda tappa nella vita e nella storia di Gila Almagor risulta dunque la chiusura del cerchio di un microcosmo, l’orfanotrofio di Aviha, che sintetizza il macrocosmo dell’intero Paese: adolescenti intensi e complicati che rappresentano la brillante giovinezza di Israele, nonostante molti di loro siano sopravvissuti traumatizzati.
È il 1953, e questi studenti sono tra le migliaia di giovani resi orfani dall’Olocausto che il movimento Youth Aliyah ha trasferito in Israele in piccoli villaggi dal modello kibbutz, come quello di Udim, descritto nel romanzo. Mentre cercano di costruire le fondamenta dell’emergente Stato israeliano, al di là della loro speranza condivisa e il loro forte idealismo, si nascondono ricordi offuscati e domande ossessionanti che potrebbero non trovare mai risposta.
Un volume che non poteva mancare nella versione in italiano. Da oggi in libreria grazie al lavoro di una piccola casa editrice, capace di selezionare titoli dal respiro universale.


Gila Almagor, Sotto l’albero delle giuggiole, Acquario, 15 euro

 

 

 

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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