Cultura Cinema
“Tre piani”, ovvero la distanza siderale tra Roma e Tel Aviv

Eshkol Nevo e Nanni Moretti, narrazioni a confronto

Tre piani. Tre famiglie i cui destini si incrociano attorno allo stabile in cui vivono, separatamente, le proprie vite. Tre storie diverse, ma dalla portata universale, tanto da aver conquistato il cuore di Nanni Moretti che, per la prima volta nella sua carriera, ha scelto di adattare cinematograficamente un’opera letteraria, Tre Piani, romanzo di Eskhol Nevo, e di trasferirla da un sobborgo di Tel Aviv al centro di Roma.
Come dichiarato dallo scrittore, nel suo pezzo scritto per il Corriere della sera lo scorso 19 settembre, le due opere, per suo stesso volere, godono di una totale autonomia, ragion per cui l’autore israeliano ha deciso di non avere alcun coinvolgimento nella sceneggiatura – scritta insieme a Federica Pontremoli e Valia Santella – lasciando totale indipendenza al cineasta, alle prese con questa versione cinematografica italiana.
Una distanza non solo geografica ma anche culturale che, per chi ben conosce entrambi gli autori, si percepisce e, forse, spiega in parte le critiche che non sono mancate – nonostante gli applausi a Cannes, dove il film è uscito in prima mondiale e al Festival internazionale del Cinema di Haifa – soprattutto tra gli amanti di Moretti. Sia in patria, dove il film esce il 23 settembre, che all’estero, nel corso dei festival citati.
Le ragioni di queste critiche sono diverse, ma tutte, a nostro avviso, girano attorno al perno della distanza siderale tra Tel Aviv e la capitale italiana, che, in quest’ultima opera, non è la classica Roma morettiana in cui, soprattutto i suoi appassionati, non si riconoscono.
“Tre piani non assomiglia a un film di Moretti” ha dichiarato Le Figaro. Maria Rosa Mancuso del Foglio ha sottolineato come un “Moretti senza Moretti” barcolli, poiché perde tutti gli elementi che, da oltre quaranta anni, caratterizzano il suo cinema d’autore e da attore.
Infatti, nonostante reciti anche in questo film, si tratta di un personaggio – un giudice – che nulla ha a che vedere con Nanni o il suo alter ego, che tanto contraddistinguono la sua precedente cinematografia. Quanto al resto del cast, anche la scelta di alcune icone “italianissime” – tra cui Margherita Buy, Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, cliché del cinema italiano – ma poco “romane”, smarrisce lo spettatore, abituato alla dimensione tipicamente local, quasi di quartiere, dei film precedenti. In questo, invece, si trova perso tra una folla di attori alle prese con una trama molto complessa.
Inoltre, a differenza del libro – in cui le vite dei protagonisti si sfiorano, quasi per caso, ma mai si intrecciano – nel film le storie di ciascun protagonista vanno a confluire l’una nell’altra, non lasciando, forse, abbastanza spazio per l’introspezione dei caratteri e certe tematiche “classiche” morettiane.
Tematiche che forse non avrebbero mai avuto lo spazio necessario di emergere in una trasposizione cinematografica fuori sede, perché, nonostante la portata universale, uno dei fili conduttore di Tre piani – il libro – è proprio l’israelianitá. Non quella della Gerusalemme di Amos Oz o della Tel Aviv di Etgar Keret, bensì la provincia: un sobborgo “bene” e, volutamente, non identificato.
Forse, volendo tentare una trasposizione adeguata, questo film, nella sua versione italiana, avrebbe potuto aver luogo a Monza o in una ricca cittadina della Brianza, dove, come nel romanzo, i personaggi principali e le loro storie, più che incontrarsi si scontrano, semplicemente a causa della geografia che li lega: un condominio dove, pur essendo vicinissimi, ognuno, di fatto, si trova rinchiuso tra le proprie mura e nella propria solitudine.
Nella versione di Moretti, invece, le tre storie si amalgamano e, nel farlo, in parte, sembrano forzare quell’equilibrio – tanto precario quanto stabile – raccontato nell’Israele di Nevo. Un’Israele insolita, rispetto alle sue precedenti opere, in cui l’autore cerca quasi di “decontestualizzare” la storia, privandola di quei caratteri, tipicamente “israeliani” – spesso legati all’esperienza militare o al conflitto arabo-israeliano – e costruendo una narrazione che, in teoria, potrebbe avvenire in qualunque altro luogo nel mondo.
Eppure, anche in questo romanzo l’israelianità emerge – eccome – nelle sfumature, con un’ironia ed un sarcasmo che, nell’edizione italiana, Raffaella Scardi è riuscita a restituire attraverso un sapiente lavoro di traduzione non solo linguistica ma anche culturale e che, invece, si perdono quasi completamente in questa trasposizione cinematografica, molto più incentrata sul dolore dei protagonisti.
Così, mentre gli israeliani probabilmente non si riconoscono in questo clima – e pathos – troppo freddo rispetto a quello mediorientale, gli italiani rischiano di non riconoscersi in questa nuova cinematografia morettiana, molto concentrata nell’investigare la fallibilità umana e, per usare le parole di Nevo, la capacità di perdonare e perdonarsi.

Tre piani di Nanni Moretti nelle sale cinematografiche italiane dal 23 settembre
la Festa del libro ebraico, promossa dal Meis di Ferrara si conclude con un appuntamento con Eshkol Nevo e lo scrittore Premio Strega Alessandro Piperno, moderati dalla Direttrice del Circolo dei Lettori di Torino e scrittrice Elena Loewenthal. 25 settembre alle ore 18.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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