Diritti umani
Giuliano Turone, tra toga e palco

Conversazione con Giuliano Turone, magistrato e attore di teatro, per un’educazione alla buona cittadinanza.

È con un certo senso di reverenza che vado a incontrare Giuliano Turone. La sua casa si trova nella vecchia Milano, quella di Jannacci e dei Gufi. Zone che raccontano la storia della città: architettura fascista che si alterna a palazzi più vecchi. Casa popolari che spuntano tra un edificio e l’altro. Le avventure della mala, quella mitizzata nei canti popolari, e le vicende quotidiane di persone con provenienze diverse, lingue diverse. L’indirizzo è perfetto, perché anche la sua storia è emblematica degli ultimi cinquant’anni d’Italia. Nasce magistrato e si evolve in attore. Da magistrato ha lavorato su inchieste di criminalità mafiosa, è in prima linea nei processi a Luciano Liggio e Michele Sindona, presta servizio come Pubblico Ministero presso il Tribunale dell’Aja per l’ex Juguslavia e come giudice presso la Corte Suprema di Cassazione. Dimessa la toga, gira le scuole d’Italia con spettacoli di teatro civile. Una vita, la sua, lungo carriere, decenni, Italie diverse.

 

Luciano Liggio
Luciano Liggio

Due vite giuridiche: da Sindona all’ex Juguslavia

Perfino nella sua “sola” carriera giuridica ha dovuto cambiare ruolo più volte dall’inizio della propria attività lavorativa. “Ho svolto investigazioni giudiziarie di ampio respiro quando ero Giudice Istruttore, figura che appartiene al sistema giudiziario dell’Europa continentale: è un giudice che ha la competenza specifica di istruire i processi penali di maggiore impegno (quelli meno impegnativi li gestisce il solo Pubblico Ministero). “Col vecchio codice [in vigore fino al 1989, ndr], chi ricopriva questo ruolo prendeva in carico l’incartamento quando l’istruttoria si prospettava essere più complessa rispetto al solito. Si trattava di reati diversi ovviamente, non tutti procedimenti esorbitanti, per cui il giudice istruttore poteva anche avere più pratiche nello stesso momento, ma occupandosi solo della fase istruttoria poteva comunque essere più incisivo del Pubblico Ministero. In questo ruolo ho avuto quindi la possibilità di occuparmi di casi interessanti: uno dei primi, quando ero giovane, è stata l’inchiesta su Luciano Liggio, a capo di una delle prime cosche mafiose scoperte a Milano. All’epoca si pensava che Mafia, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, fossero una questione esclusivamente del Sud. Oggi sappiamo che non è così. Ecco, questo già si avvicinava a quello che è un crimine contro l’umanità: la criminalità organizzata in un certo senso lede singole persone, ma lede anche gli interessi sociali. Inquina il tessuto sociale di un Paese. Allo stesso modo, il caso Sindona. Con l’uccisione di Giorgio Ambrosoli, si può parlare di un crimine che colpisce la comunità tutta: il delitto colpisce in primis la vittima e la sua famiglia, ma le sue propaggini colpiscono la società intera. Abbiamo già quindi dei delitti che aprono la rosa delle persone colpite. E se i delitti ledono gruppi di persone, siamo di fronte a un crimine contro l’umanità. Il genocidio, i crimini di guerra, sono violazioni dei diritti umani, nel senso che è l’intera umanità ad essere offesa, non la singola persona. Quando ho lavorato per due anni come Pubblico Ministero presso il Tribunale dell’Aja per l’ex Juguslavia, ho preso parte ad un’inchiesta che analizzava i comportamenti delittuosi verificatesi in quegli anni: così gravi e diffusi, anche al di là del diritto di guerra, cioè quella crudeltà legittimata all’interno delle situazioni belliche, da poter essere qualificati come crimini di guerra”.

 

Guliano Turone a teatro
Giuliano Turone a teatro

La seconda vita di Giuliano Turone

Difficile pensare che una persona così al centro dei maggiori casi giudiziari di quegli anni potesse buttarsi in un mondo apparentemente così lontano dal proprio, come quello del teatro. “Quando nel 1989 è cambiato il Codice di Procedura Penale, hanno abolito la figura di Giudice Istruttore, e ho dovuto quindi cambiare ufficio, nonostante il mio lavoro fosse proprio quello. Sono arrivato in corte d’appello: stranamente avevo tanto tempo libero, ero annoiato e anche un po’ depresso. Questo fino al momento in cui un’amica attrice mi propose di andare a prendere lezioni dal capocomico della sua compagnia indipendente. E così cominciata la mia carriera da attore. Ma vede, niente parte all’improvviso: io ho sempre avuto grande passione per le lingue, per Dante, di cui ho iniziato una collezione quando avevo vent’anni. Ho creato un sito, Dante poliglotta in cui raccogliere i miei scritti e le mie attività. Nel 2010 ho scritto una pièce sulla Costituzione, nello specifico sulla prima parte, intitolata la La diritta via: si trattava allora di difendere la Costituzione da parte degli attacchi della compagine politica al governo in quel periodo. Ora invece sto portando in giro una pièce sulla violenza contro le donne, E ‘l modo ancor m’offende, in cui ritrovo Dante [verso 102 del canto V, Inferno, Divina Commedia, ndr] perché la violenza sulle donne parte già da Francesca da Rimini [il canto V dell’Inferno racconta la storia di Paolo e Francesca, ndr].”.

 

Abbiamo il dovere di sentirci parte di un popolo di cittadini.

Abbiamo il dovere di educarci

 

A questo punto della conversazione inizia a farsi sera, probabilmente la cosa educata da fare sarebbe porre un’ultima domanda e andarsene. Eppure no, Giuliano continua a parlare, vi è una passione nel suo racconto che è quasi contagiosa. “Andando a parlare con i ragazzi, nella mia attività teatrale e non, l’esigenza che colgo non è solo quella di far prendere coscienza circa questi argomenti [diritti, parità di genere, etc. ndr], ma anche di considerare la Storia. Non quella del secolo scorso, nel programma di Storia se va bene si arriva alla Seconda Guerra Mondiale. Dobbiamo insegnare cosa è accaduto venti, trenta, quarant’anni fa, ciò che i ragazzi non hanno vissuto, non viene affrontato. Subentra quindi un’ignoranza dannosissima. E a questo possiamo porre rimedio solo attraverso un’educazione civica: che va a toccare la storia recente, l’educazione ai diritti umani. Se i giovani non sanno bene cosa sia la Shoà, quali siano stati gli altri genocidi, cosa siano i crimini di guerra, è più difficile educarli alla conoscenza e al rispetto dei diritti umani.”

 

Una carta dei doveri

Il rispetto dei diritti altrui, oltre che propri, è però possibile solo nel momento in cui tutti ci assumiamo contemporaneamente dei doveri. “Il dovere principale del cittadino oggi è quello di non essere attento solo ai propri interessi immediati. Se dovessi scrivere una Carta dei Doveri partirei proprio da qua. Abbiamo il dovere di sentirci parte di un popolo di cittadini. Abbiamo il dovere di educarci. Basta guardare alla condizione femminile, caratterizzata ancora oggi da un imperio del maschio sulla donna, e che trova le sue origini nell’educazione dei bambini, che non fanno altro che perpetrare schemi comportamentali che permettono questa situazione. Quando portiamo in scena E ‘l modo ancor m’offende una delle protagoniste è una signora che vuole riformare l’educazione sentimentale: se una bambina, o un bambino, si abituano all’idea, suggerita dai genitori, che per dimostrare affetto il bambino tira le trecce alla bambina, entrambi saranno portati a pensare che la violenza del maschietto sia una cosa bella, segno di interesse. È un esempio spiccio, ma dà il senso di quello che è stato il modo di interpretare il rapporto tra generi. Vi è un romanzo del III secolo d.C., di Longo Sofista, autore di cui non sappiamo nulla, che si intitola Gli amori pastorali di Dafni e Cloe. Lo conosce?”. Sì – gli rispondo – in effetti la mia professoressa di greco e latino al liceo ce lo ha assegnato un’estate. L’entusiasmo che si legge nei suoi occhi davanti al fatto che la lettura di questo testo, solitamente snobbato, è stata invece consigliata, è tale per cui vien voglia di riprenderlo e rileggerlo. “Ma che bello! Allora, nel romanzo, uno dei primi romanzi della storia, accade che dopo una lunga conoscenza Cloe all’improvviso, quando vede Dafni fare il bagno, si accorge che Dafni è bello. Si interroga, si chiede perché, e si risponde che deve essere il fatto che stesse facendo il bagno. Lo bacia, e scatena in Dafni, che non ha mai preso in considerazione un rapporto, turbamento. Questo primo incontro con la propria sessualità viene raccontato in maniera ironica, divertente, ma dipinge una verità decisamente attuale: l’assoluta mancanza di educazione sentimentale, senza la quale da grandi non ci si riesce a rapportare in maniera equilibrata con il prossimo. Bisognerebbe stampare la storia di Dafni e Cloe in tutte le lingue, distribuirla nelle scuole.” Cos’altro andrebbe letto? “Farei leggere Calamandrei, Bobbio, Jemolo, maestri della nostra democrazia.”

Talia Bidussa
Collaboratrice

Classe 1991, attiva per anni in ambito comunitario, tra Hashomer Hatzair, UGEI e European Union of Jewish Students. “Political junky”, qualsiasi cosa nerd è bene accetta, libri e concerti ancora meglio. Lavora come responsabile eventi e mostre al Memoriale della Shoah di Milano.


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