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Viaggio a Odessa

Da Isaac Babel a oggi, un itinerario nella città dell’Ucraina

Orientarsi a Odessa può rivelarsi un bel problema. E non solo per problemi di traduzione e traslitterazione dei cartelli stradali, ma anche perché molte delle vie hanno cambiato nome dopo la rivoluzione del 2014. Per non tradire l’identità di questa città dall’aura letteraria può essere così di aiuto lasciarsi guidare dal testo di uno dei suoi autori più citati, Isaac Babel.
Nato a Odessa nel 1894, esattamente un secolo dopo la fondazione di questa città sul Mar Nero sotto l’Impero russo, Babel ha descritto in una delle sue opere più note, Racconti di Odessa, il quartiere dove è nato e cresciuto, Moldavanka.
Ex insediamento moldavo, esterno ai confini della città ucraina e precedente di almeno trent’anni la sua nascita, questa enorme sobborgo era stato uno dei centri più vivaci della vita ebraica cittadina fino alla rivoluzione del 1917. Quartiere popolare, sede di fabbriche e di stabilimenti, era anche il luogo in cui abitavano gli appartenenti alle classi più umili e si estendeva dal centro fino ai sobborghi occidentali e settentrionali della città. Usata da Babel, che vi aveva vissuto in via Dalnitskaya 23, per ambientarvi drammi e intrighi dei suoi coloriti personaggi, Moldavanka aveva come cuore il mercato Privoz. Ancora oggi, chi desidera respirare le sue antiche atmosfere può fare un salto in via Pryvozna 14 e perdersi tra i profumi e i colori di questo gigantesco mercato che ha in parte mantenuto le originarie caratteristiche ruspanti.
Sempre alla ricerca di un passato ebraico letterario, il viaggiatore potrà anche recarsi all’incrocio tra le vie Dalnitskaya e Bankoskaya, vicino all’attuale via Isaac Babel (un tempo Vinogradnaya). Qui si trovava l’attività dell’ostessa Ljubka, detta il Cosacco per i suoi modi rudi e protagonista dell’omonimo racconto di Babel.
Tra cortili e palazzi dagli intonaci scrostati e basse case dal sapore campestre, non troppo diverse da quelle di uno shtetl, si può immaginare la prima giovinezza dell’autore, circondato da personaggi spesso poco raccomandabili puntualmente riportati nella finzione dei libri. Intorno a loro, nei racconti si muove un mondo, quello della comunità ebraica odessita, che di lì a due decenni sarebbe stato spazzato via drammaticamente. Siamo in una città, va ricordato, che dal 1880 al 1920 poteva vantare la seconda comunità ebraica più grande di tutta la Russia, con più di 200mila ebrei a rappresentare nel 1939 un terzo della popolazione totale. E non si trattava solo dei pittoreschi personaggi del suo forse più noto autore.

Aperta sul mare, Odessa vedeva gli ebrei distinguersi nell’esportazione del grano attraverso il porto, nel commercio all’ingrosso e nelle attività bancarie e industriali. Molti erano impegnati nelle libere professioni, affiancati dal vasto proletariato (circa un terzo della comunità) occupato negli impieghi più disparati. Negli anni Quaranta dell’Ottocento, la maggior parte dei banchieri e cambiavalute di Odessa erano ebrei e all’inizio del Novecento il 70 per cento delle banche erano amministrate da appartenenti alla comunità. Percentuali simili si trovavano tra coloro che si occupavano nello stesso periodo di medicina, così come erano ebrei oltre la metà di quanti esercitavano la professione legale.
Al peso economico, sociale e culturale della comunità di Odessa corrispondeva una diffusione capillare di centri di studio e di luoghi di preghiera, pur considerando che la città ucraina si distingueva per un carattere spiritualmente “all’occidentale”. Provenienti da un po’ tutte le regioni della Russia, gli ebrei odessiti non brillavano per il rispetto delle tradizioni e anzi propendevano per l’assimilazione linguistica e culturale alla Russia.
Le istituzioni educative di Odessa divennero in compenso esempio e modello anche per le altre comunità: dalla fondazione, nel 1826, della prima scuola pubblica ebraica, con tanto di insegnamento della letteratura moderna, a quella di orfanotrofi, di aziende agricole di formazione, di campi estivi per bambini invalidi e di ospedali.
Tra i centri più significativi della vita religiosa figura la sinagoga di Brodsky, così chiamata perché voluta dagli immigrati di Brody, città della Galizia, visti come i più ricchi, istruiti e liberali della comunità. Fondata nel 1840 e trasferita in un maestoso edificio costruito nel 1860, la sinagoga più grande della città sarebbe diventata a cavallo del XIX e XX secolo anche un centro dell’attività sionista. Odessa, infatti, si era nel frattempo meritata il nome di Porta di Sion per l’intenso lavoro di educazione, finanziamento e organizzazione di quanti da qui volevano raggiungere la Palestina.
Delle sette sinagoghe e dei 49 luoghi di preghiera presenti nella città ucraina fino alla prima guerra mondiale oggi è rimasto molto poco. Già duramente colpita da una serie di pogrom, iniziati negli anni Venti dell’Ottocento e culminati in quelli gravissimi del 1905, dove oltre 300 ebrei persero la vita e migliaia di famiglie rimasero ferite, la comunità odessita subì pure la rivoluzione del 1917 perdendo tra l’altro nel 1920 tutti i suoi luoghi di preghiera.

La sinagoga Brosky

Tra le sinagoghe sottratte ci fu anche quella di Brosky (o Corale), che fu prima trasformata in Club dei lavoratori Rosa Luxemburg e poi in archivio durante l’occupazione dell’esercito romeno, affiancato dalle truppe tedesche. Solo nel 2016 è stata restituita alla comunità ebraica e ora è in attesa di essere restaurata per poter ospitare la Congregazione di Chabad Lubavitch e l’Odessa Jewish Museum and Tolerance Center. Nel frattempo, se ne può ammirare la comunque magnifica struttura a quattro cupole all’intersezione tra le strade Pushkin e Jukovysky.

L’nterno della sinagoga di via Evreyskaya

Tra le sinagoghe oggi in servizio troviamo invece quella di Glavnaya, in via Evreyskaya 25, e quella chassidica, in Osipova Street 21.
Chi volesse poi ripercorrere il passato attraverso i vecchi luoghi di preghiera, potrà recarsi in via Uspenoskaja 29, dove ora è attiva una scuola, antica sede della cosiddetta sinagoga dei fornai, o in Malaya Arnautskaya 46, dove invece si trovava quella dei macellai, chiusa nel 1925 e restituita alla comunità solo nel 1991.
L’elenco potrebbe continuare con gli innumerevoli luoghi sottratti o distrutti nel corso delle due guerre e dal regime sovietico, ma nonostante gli atroci colpi subiti dalla sua comunità, l’Odessa ebraica non si rassegna a vivere nel solo ricordo e rimpianto del proprio passato. Anche se oggi gli ebrei rappresentano solo circa il 3% della popolazione complessiva, i suoi rappresentanti sono comunque ben decisi a esprimere la propria ebraicità, dai giovani che aprono ristoranti hipster-ortodossi e locali con un occhio alla movida di Tel Aviv (in fondo, siamo pur sempre anche qui sul mare), alla fondazione di asili infantili, scuole e università. Tra le istituzioni, si può ricordare la casa di accoglienza per bambini orfani o provenienti da situazioni familiari difficili Mishpacha di Chabad  e il centro comunitario accolto nella già citata sinagoga dove un tempo pregavano i macellai kosher. Sede della più grande biblioteca ebraica della città, il Community center for Odessa Jews  ospita anche corsi ebraici di teatro, danza, arte e letteratura e gruppi per adolescenti e genitori. Lo gestisce l’organizzazione no profit Migdal, responsabile tra l’altro anche di un altro luogo da visitare per meglio comprendere l’essenza ebraica di Odessa, il Jewish Museum of Odessa .
Piccolo e semi nascosto dietro a un arco di una bella palazzina a tre piani del centro, questo museo occupa gli appena 160 metri quadri di un appartamento d’epoca in via Nizhyns’ka 66. Lo si può visitare autonomamente o, meglio, accompagnati da una delle sue guide, generose di informazioni e di dettagli sui circa 7000 oggetti esposti, comprendenti documenti, fotografie, libri, giornali, cartoline, indumenti religiosi, articoli per la casa, strumenti musicali e opere d’arte legati alla storia della comunità odessita.

Per non dimenticare le pagine più buie della storia di Odessa, infine, merita una visita anche l’Holocaust Museum memory of victims of fascism, in Mala Arnauts’ka 111. Ideato nel 1995 da due sopravvissuti dell’Olocausto e aperto ufficialmente solo 14 anni dopo, nel 2009, il museo è dedicato principalmente al genocidio della popolazione ebraica nei territori che dal 1941 al 1943 furono sotto la giurisdizione della Romania, la Transnistria.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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