Cultura
Vita, morte e identità di popolo

Perché Yom ha-zikkaron precede Yom ha-atzmaut?

La sera del 4 maggio in Israele, nel giro di pochi minuti, lo stato d’animo del Paese è completamente cambiato: le bandiere a mezz’asta sono state issate completamente, i fiori di quella specie particolare di elicriso che in ebraico si chiama dam ha-maccabim, il sangue dei Maccabei, sono spariti, insomma si è passati da Yom ha-zikkaron a Yom ha-atzmaut. Il Giorno dell’Indipendenza, che si commemora il 5 Yiar, è una festa gioiosa in cui dal 1948 si ricorda la nascita dello Stato ebraico. Ma perché si è sentita l’esigenza di fissare per il giorno precedente la ricorrenza di Yom ha-zikkaron, ossia della “Giornata commemorativa dei soldati caduti nelle guerre di Israele e delle vittime delle azioni di terrorismo”?

Le cose non sono sempre state così. Nei primi due anni dopo la nascita dello Stato, i soldati caduti nella Guerra di Indipendenza venivano commemorati durante Yom ha-atzmaut, ma le famiglie di questi soldati iniziarono a chiedere che venisse istituito un giorno specifico per ricordare il sacrificio di chi aveva perso la vita per permettere che lo Stato esistesse e continuasse ad esistere. Fu David Ben Gurion, che all’epoca era Primo Ministro ma anche Ministro della Difesa, ad avviare il processo che nel 1963 portò all’istituzione di Yom ha-zikkaron, che di fatto però venne celebrato già a partire dal 1951 il giorno precedente Yom ha-atzmaut, cioè il 4 Yiar (a meno che una delle due ricorrenze non cada di Shabbat).
La connessione tra Yom ha-zikkaron a Yom ha-atzmaut ha molto a che fare con la costruzione di una identità ebraica (israeliana) collettiva, in cui il ricordo del passato si fa memoria e memoria pubblica. Uno dei più grandi storici ebrei del secolo scorso, Yosef Hayim Yerushalmi, ripercorre la propensione del popolo ebraico al ricordo memoriale, una propensione che affonda le proprie radici nel Tanakh e nel comando di ricordare, che ricorre ben 169 nel testo biblico. Tuttavia «la memoria è per sua natura selettiva, e l’invito a ricordare rivolto a Israele non costituisce eccezione (…). Non solo Israele non ha nessun obbligo di ricordare tutto il passato, ma i suoi principi di selezione sono unici e particolarissimi». È però anche vero che «solo il gruppo può trasmettere un’eredità sia linguistica sia di ricordi transpersonali. (…) la memoria collettiva non è una metafora ma una realtà sociale tramandata e tenuta in vita dallo sforzo consapevole e istituzionalizzato della comunità».

Così Yerushalmi annota che i saggi, in vista della continuazione della vita comunitaria, non hanno trasmesso la cronistoria del periodo del Secondo Tempio, ma hanno conservato i dettagli delle cerimonie religiose del Tempio stesso; non hanno tramandato tutta la storia romana, ma hanno narrato le persecuzioni avvenute sotto Adriano ed il martirio degli studiosi; hanno ignorato gran parte delle battaglie dei Maccabei, ma hanno privilegiato il dettaglio dell’ampollina di olio da cui scaturisce il miracolo – e dunque la festa – di Hannukkah. E proprio il ricordo della riconquista del Tempio da parte dei Maccabei, che diventa miracolo e rito religioso nella festa di Hannukkah, ci aiuta a comprendere, di nuovo con Yerushalmi, che per il popolo ebraico «l’ingiunzione a ricordare è sentita come comandamento religioso per un intero popolo» e che «la memoria collettiva viene trasmessa in modo più efficace dal rituale che dalle cronache [storiche]».

Ma cosa c’entra tutto questo con Yom ha-zikkaron, che peraltro è una festa nazionale e non religiosa?
Anche in questo caso, come nel caso della festa di Hannukkah, occorre decidere che cosa vada ricordato collettivamente, al fine di costruire con tale ricordo l’identità storica del popolo. Ecco che allora nasce il collegamento tra Yom ha-zikkaron e Yom ha-atzmaut, perché diventa fondamentale collegare la gioia per la conquista dell’indipendenza con il dolore per il sangue versato da chi ha reso possibile questa indipendenza, così come risulta imprescindibile tenere stretto tale collegamento (due giorni consecutivi) in un modo che può apparire quasi straniante e dissacrante. Dal dolore si passa alla gioia, dopo il Giorno del Ricordo si torna esattamente negli stessi luoghi in cui i soldati sono morti e laddove le vittime di attentati terroristici hanno perso la vita: si continua cioè a vivere, ma lo si fa facendo memoria di coloro che con la loro morte hanno lasciato in eredità la vita.
E l’identità nazionale israeliana diventa, anche grazie a Yom ha-zikkaron, pure identità religiosa, se è vero, per citare ancora Yerushalmi, che «gli ebrei offrono nella loro storia un esempio pressoché unico di fusione fra religione e coesione nazionale, che non può essere compreso a fondo ove si prescinda da uno dei due aspetti di questo binomio»: Israele si definisce infatti come uno Stato ebraico. È per questo che, secondo rav Moshe Taragin, gli ebrei religiosi che non festeggiano Yom ha-atzmaut lo fanno perché considerano tale giornata una festa ideologica; gli stessi celebrano però Yom ha-zikkaron, esattamente come celebrano altre feste religiose che commemorano episodi di morte o distruzione (ad esempio Tisha b’av). Yom ha-zikkaron ha infatti una componente di kedushà, intesa non tanto come “santità” pura e semplice, bensì come “trascendenza” dall’individualismo e capacità di considerarsi anzitutto parte di un popolo. Qualcosa che, secondo l’opinione del rabbino, si percepisce con la stessa forza solo a Yom kippur.

A questo link potete trovare un approfondimento sul tema


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