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L’ultimo ebreo di Kabul e il mistero della Torah scomparsa

Vita e miracoli di Zabulon Simentov: la sua famiglia si è trasferita in Israele da decenni…

A Kabul, capitale dell’Afghanistan, è rimasto un solo ebreo. Si chiama Zabulon Simentov, ha 66 anni e vive nell’unica sinagoga ancora in piedi di tutto il Paese. Nel quartiere lo conoscono tutti: “È un tipo che si fa notare, a volte è molto irascibile. Ma ci fa divertire”, dice un vicino. La sua famiglia si è trasferita in Israele da decenni. Lui invece, allo Stato ebraico ha concesso solo una breve visita. Appena due mesi, poi è tornato indietro. Nel 1996, quando i Talebani avevano appena preso Kabul: “L’Afghanistan è la mia patria”, dice. La sua storia è stata raccontata in passato diverse volte, ma l’ultimo ritratto, scritto da Emran Feroz per Foreign Policy  si distingue come particolarmente appassionante. L’articolo intreccia abilmente la storia personale di Simentov alla Storia difficile dell’Afghanistan, dall’invasione sovietica, al regime talebano, fino al presente.

La storia ebraica dell’Afghanistan”, scrive Feroz, “è sconosciuta ai più. Decenni fa gli ebrei erano un’importante parte della società e vivevano in diverse zone, soprattutto quelle occidentali e settentrionali. Probabilmente la città ebraica più importante dell’Afghanistan era Herat, luogo di nascita di Simentov, che si trova vicino al confine iraniano.  A Herat vivevano centinaia di famiglie ebraiche ed esistevano numerose sinagoghe: una di queste è stata restaurata dall’Aga Khan Foundation alcuni anni fa”.

Dopo l’excursus storico, Feroz si sofferma sulla storia personale di Simentov e – particolare che ha fatto guadagnare all’articolo numerose menzioni su varie testate ebraiche – sulla tragicomica, esilarante vicenda della sua guerra senza quartiere con Isaac Levy, l’unico altro ebreo rimasto in città (fino alla sua morte, nel 2005).

Perché andare d’accordo quando si può litigare? Due ebrei, tre opinioni, e il regime talebano.Entrambi si denunciavano a vicenda regolarmente. Come ricordano i vicini, Levy disse più volte che si era convertito all’Islam e che Simentov non voleva accettarlo. Disse anche che Simentov era proprietario di un bordello segreto dove si vendeva alcool. In cambio, Simentov accusò Levy di praticare la magia nera, che è proibita sia nell’ebraismo che nell’islam. Alla fine i Talebani, infastiditi questa continua faida, li misero in prigione. E quando videro che nemmeno la galera li faceva smettere, li buttarono fuori pure da lì”.

Khairullah Khairkhwa, membro dei Talebani e Ministro degli Interni durante quel periodo, alle domande di Feroz “non è riuscito a trattenere un sorriso: “E chi se li scorda, quei due. Mi hanno causato un sacco di problemi””. A legare Khairkhwa e Simentov c’è ancora un’altra storia: la sparizione di una preziosa Torah del quindicesimo secolo, rubata dalla sinagoga proprio quando Simentov e Levy erano in prigione. Simentov ritiene Khairkhwa responsabile, ma quest’ultimo assicura di non saperne nulla. La cosa più probabile, sostiene l’articolo, è che la preziosa Torah sia finita in vendita sul mercato nero. Gli sforzi dei ricercatori – tra cui molti israeliani – di trovarla si sono rivelati infruttuosi. Simentov, scrive Feroz, è convinto che quella Torah risalterà fuori, prima o poi. E continua ad aspettarla, insieme alla pace per il suo Paese: “Sono un uomo senza paura. Non lascerò mai l’Afganistan, né a causa dei Talebani né di nessun altro. Gli ebrei afghani amano il loro Paese e molti di loro vorrebbero tornare e investire per ricostruirlo. Siamo il cuore dell’Asia, abbiamo così tante risorse inutilizzate. Ma prima serve la pace”.


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