Cultura
“Zakhor/ricorda”, arte e memoria in una mostra diffusa tra i musei di Roma

Sei artisti israeliani per sei “video d’inciampo”, in altrettante sedi museali

Ogni anno, in occasione delle celebrazioni per il Giorno della Memoria, ci si pone sempre il quesito di come raccontare e rappresentare non solo la Shoah, ma soprattutto la sua testimonianza, alla luce del fatto che sono sempre meno i sopravvissuti che ancora oggi possono raccontare l’accaduto e che presto il compito di trasmettere la memoria dell’Olocausto spetterà alla cosiddetta “seconda generazione”, i figli dei sopravvissuti, che in Israele, solo a partire dagli anni Ottanta, hanno cominciato a trovare la forza e il linguaggio per esprimere la propria voce, attraverso la letteratura, il cinema e l’arte contemporanea.
Alcuni di loro sono diventati, col tempo, artisti di fama internazionale, e quest’anno, in occasione del Giorno della Memoria, alcuni dei loro lavori più importanti sono stati ospitati in diversi musei di Roma dove Giorgia Calò ha curato una mostra unica nel suo genere: ZAKHOR/RICORDA – I musei civici di Roma e la memoria attraverso l’arte.
Il progetto, inaugurato il 18 gennaio, propone una riflessione sul dramma della Shoah attraverso sei installazioni video, in altrettante sedi del Sistema Musei di Roma Capitale, dedicate a opere realizzate negli anni passati da artisti israeliani che hanno indagato a fondo questo tema così delicato, soprattutto per una generazione come la loro, spartiacque tra I sopravvissuti e le nuove generazioni che a loro volta, un giorno, faranno il passaggio del testimone.

Il titolo della mostra, “zakhor”, in ebraico significa “ricorda”, con l’intento di proporre una riflessione sul passato e sulla sua elaborazione nel presente. Come ci spiega la curatrice “È un imperativo categorico che attraversa l’intera tradizione ebraica, comparendo nella Torah ben 222 volte, nelle sue varie declinazioni. In questa mostra itinerante, attraverso l’evanescenza delle opere – visibili solo in video – quasi un’intrusione rispetto ai luoghi che le ospitano, ci si propone di stimolare nel pubblico una riflessione su quanto il nazismo sia stato un male assoluto per il mondo intero. Essendo le opere non “tangibili”, ma visibili solo attraverso la loro “riproducibilità”, il mezzo stesso diventa messaggio: l’opera, decontestualizzata rispetto alla collezione museale, sarebbe potuta non esistere, se solo fosse stato portato a compimento il piano della “soluzione finale”, che quindi si presenta davanti ai nostri occhi come una sorta di “video d’inciampo”. Attraverso questo gap lo spettatore viene così invitato a domandarsi quanta cultura sia stata sottratta all’umanità”.

Tutti gli artisti scelti si sono misurati, nelle loro diverse opere, con la rappresentazione della memoria, trattandola ciascuno con diversi approcci e punti di vista. Dalla provocazione alla riflessione, dall’accusa alla resilienza, tutti i lavori sembrano gridare lo stesso monito: ricordare per non dimenticare, un imperativo che per altro attraversa l’intera tradizione ebraica. Custodire la memoria, tramandarla di generazione in generazione, non permettendo al tempo e alla morte di farla cadere nell’oblio, è uno dei motivi che muove ciascuno degli artisti nelle loro opere.

Nello specifico, questi gli artisti esposti e le loro sedi:


BOAZ ARAD (Tel Aviv 1956-2018). Pittore, scultore, fotografo e videoartista, da sempre nelle sue opere pervade il tema della memoria e dell’identità, attraversato da una vena ironica e irriverente che cattura lo spettatore nell’elaborare la drammaticità dei temi trattati.
A Roma, la Centrale Montemartini ospita uno sliding show della mostra che si tenne al Center for Contemporary Art di Tel Aviv nel 2007, in occasione della quale l’artista presentò The Nazi Hunters Room.


VARDI KAHANA
(Tel Aviv, 1959) è fotografa di fama internazionale, e gran parte del suo lavoro ruota intorno al messaggio di resilienza. Il Museo dell’Ara Pacis ospita per l’occasione Three Sisters (1992) tratta dal ciclo One Family, uno scatto in bianco e nero in cui l’artista immortala l’immagine della madre, Rivka Kahana, con le sue due sorelle Leah ed Esther e i cui numeri consecutivi sugli avambracci rivelano l’ordine con cui vennero tatuate ad Auschwitz nel 1944.


DANI KARAVAN
(Tel Aviv, 1930-2021), uno dei più grande landscape artist di fama internazionale, è stato autore di numerosi memoriali, tra i quali Passages – Omaggio a Walter Benjamin (Portbou, 1990-1994) e The Sinti & Roma Memorial (Berlino, 1999-2012). In questa occasione il Museo di Roma presso Palazzo Braschi ospita il video Man walking on railways realizzato dall’artista durante la mostra tenutasi a Düsseldorf nel 1989, incentrato sulla camminata di un uomo sui binari ferroviari che per Karavan diviene simbolo della Shoah e del trasporto forzato del popolo ebraico.

SIMCHA SHIRMAN (Germania, 1947) è un fotografo israeliano è noto per connettere la rappresentazione del visibile allo sforzo mentale dell’interpretazione della realtà. Nel corso di queste giornate il Museo di Roma in Trastevere ospita Whose Spoon Is It? (2011). Nell’opera appare solo un cucchiaio, restituito dall’artista come una sorta di natura morta.

MICHA ULLMAN (Tel Aviv, 1939), celebre per le sue installazioni sotterranee e scultoree, ha progettato in Germania, luogo di origine dei suoi genitori, diversi memoriali dedicati alla Shoah, tra cui Library (1995) in Bebelplatz a Berlino, in ricordo del rogo dei libri operato per mano nazista nel 1933. A Roma la Galleria d’Arte Moderna ospita Seconda Casa. Gerusalemme – Roma, scultura ambientale realizzata dall’artista a Roma in occasione del Giorno della Memoria del 2004.

MAYA ZACK (Tel Aviv, 1976), nota per i suoi lavori in bianco e nero, una sorta di cartina al tornasole della memoria, attraverso questo suo lavoro cerca di tracciare una “teoria della memoria”. Il Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco ospita il video Counterlight (2016), incentrato sul rapporto del poeta ebreo rumeno Paul Celan e della sua famiglia per raccontare come il delirio nazi-fascista abbia colpito famiglie, relazioni interpersonali, affetti, amori, con lo scopo di cancellare il concetto stesso di umanità.
Come ci racconta Giorgia Calò, “questo ambizioso progetto espositivo ha permesso di creare sinergie virtuose con tutti i sei musei con cui abbiamo collaborato e potrebbe diventare il pilot di un progetto di più ampio respiro, varcando i confini di Roma e dell’Italia”.

Anche dal punto di vista curatoriale, questo tipo di mostre itineranti puntano a sviluppare un dialogo con le nuove generazioni, offrendo loro uno sguardo alternativo e innovativo: le videoinstallazioni, infatti, sono accompagnate da QR Code da cui si può scaricare la pianta dei musei interessati, e un testo critico che racconta la storia degli artisti, le loro biografie e la loro produzione artistica.
Il progetto è stato realizzato in stretta collaborazione con l’Ambasciata di Israele in Italia grazie alla preziosa collaborazione e vision dell’Attache Culturale Maya Katzir e fa parte di Memoria genera Futuro, il programma di appuntamenti promosso dall’Assessorato alla cultura di Roma Capitale.  ZAKHOR – RICORDA rimane aperta al pubblico fino al 12 febbraio.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.