Cultura
It Sounds Jewish #12

Ernest Bloch, il mago del suono ebraico

Gerald Warburg, chi era costui? Il nostro Don Abbondio musicale potrebbe cominciare così una sua peregrinazione. Peregrinazione in cosa? Per dove? Mah, nell’albero genealogico di una delle più importanti famiglie ebraiche di tutti i tempi, i Warburg. Banchieri e armatori di Altona, origini forse veneziane e sefardite, fra coloro che portarono fisicamente in America innumerevoli immigranti d’ogni specie. Scienziati premi Nobel, geniali rivoluzionari delle teorie sul cancro e sulla classificazione delle piante, ma anche fondatori di imprese d’esplorazione del pensiero e fondatori di scuole che hanno rivoluzionato per sempre la nostra concezione del Rinascimento e di come guardare un’immagine e un dipinto. Va bene, il Jewish è assicurato. Ma che dire del It Sounds? Dov’è il suono dei Warburg?

Lascio la questione aperta. Su, un po’ di curiosità unita ad un pizzico di suspense, male non fanno. E, naturalmente, more hebraico, eccovi un’altra domanda. Sapete qualcosa di Ernest Bloch? No, non il filosofo tedesco, che pure scrisse di musica. Quello, si chiamava Ernst. No, intendo Ernest. Chi è uso a frequentare sale da concerto o bazzicare negozi di dischi, sarà incappato prima o poi in Shelomoh, Rapsodia ebraica per violoncello e orchestra del 1913.

O in Ba‘al Shem, una sorta di sonata, rapsodica anch’essa, ovvero senza schema fisso, in una ricerca apparentemente libera di concatenazioni di idee e ispirazioni, per violino e pianoforte, del 1923.

Ernest, non Ernst, era svizzero. Di Ginevra. Origini palesemente ashkenazite. Padre impegnato nella duplice veste di contabile fra i più stimati della città e di rivenditore in grande di souvenir turistici a tema svizzero. Bloch ebbe una solida formazione musicale, dapprima a Ginevra, poi a Bruxelles, dove fu allievo di Eugène Ysaÿe, forse il più importante violinista di quei tempi; perfezionamenti poi a Monaco di Baviera e Francoforte sul Meno, infine un anno per assorbire le novità musicali di Parigi. Ritorno in Svizzera, matrimonio, lavoro nella ditta del padre, un discreto successo con la sua prima ed unica opera, Macbeth, rappresentata a Parigi nel 1910.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, se ne va negli USA per una tournée con una compagnia di danza. Vi rimarrà praticamente per il resto della sua vita. Dapprima come insegnante al David Mannes College of Music di New York, poi quale fondatore e direttore del Cleveland Institute of Music, successivamente nelle vesti di direttore del Conservatorio di San Francisco e infine in quelle di professore di musica a Berkeley. La sua attività educativa, non sempre apprezzata dai finanziatori delle istituzioni da lui dirette, era volta ad un radicale cambiamento dei programmi e dell’approccio allo studio della musica: niente manuali, niente modelli astratti e teorici, niente esami o corsi preformati, ma piuttosto un forte accento sull’esperienza musicale diretta, sul lavoro quotidiano senza schemi prefissati, tranne quello di studiare continuamente i capolavori del passato.
In America Bloch firma un contratto con l’editore Schirmer di New York e inventa un suo luogo: lo scudo di David con le sue iniziali, EB, iscritte al centro.

Curiosamente, nonostante la fermissima intenzione di scrivere musica di argomento ebraico (molti i lavori, al di là di quelli già nominati), Bloch non ricorre all’utilizzo di temi e motivi tratti dalle infinite e ricchissime tradizioni musicali orali ebraiche, se si fa eccezione per qualche citazione di niggunim chassidici che affiorano raramente qua e là, ma senza particolari funzioni strutturali. Pure la sua musica, nei lavori ebraici soprattutto, è costruita su elementi caratteristici di certe tradizioni musicali ebraiche, ashkenazite in particolare: le trasposizioni dei lunghi melismi (ovvero estensioni di più note su una medesima sillaba) tipici di molto canto sinagogale e della chazanut tedesca e polacca di fine Ottocento, è trasposta nella scrittura strumentale; i ritmi irregolari, apparentemente liberi, con frequenti accenti spostati sul penultimo tempo di ogni battuta, con effetto quasi sincopato; le quarte aumentate (per intenderci, do-fa # al posto di do-fa) con funzione strutturale; nonché, talvolta, il ricorso a certe scale modali (shtayger) così tipiche dei canti ashkenaziti.

Bloch torna frequentemente in Svizzera, dove risiedeva la sua famiglia, moglie e figli innanzitutto: nel 1930, si prende una sorta di lunghissima pausa artistica retribuita, che terminerà nel 1940, per dedicarsi nuovamente alla composizione con rinnovate energie e senza altri impegni. Torna in Svizzera per vari anni, dopo aver conosciuto il chazan Reuben Rinder del Tempio Emanuel di San Francisco, una comunità riformata, ed esserne divenuto amico. Fu Rinder a fornirgli l’ispirazione e i materiali per quella che fu la più grandiosa composizione del secondo periodo di Bloch: Avodath Hakodesh, per baritono, chazan, coro e orchestra, ultimata nel 1930. Un lavoro che Bloch portò trionfalmente in tournée, in Europa e negli USA. Basato sulla tefillà, sul servizio della mattina di Shabbath secondo il rito riformato, è un monumento grandioso e solenne, nel quale quasi non compare alcuna eco di musiche tradizionali ebraiche, e che pure suona inconfondibilmente ebraico, al di là del fatto che i testi siano in lingua ebraica, pronunciata alla ashkenazita.

Avodath Hakodesh è diviso in cinque parti: “Meditation”, “Kedushah (Sanctification)”, “Silent Devotion and Response”, “Returning the Scroll to the Ark”, “Adoration” per un totale di 26 numeri musicali da eseguirsi senza soluzione di continuità. Più che fornire ulteriori spiegazioni, credo valga la pena semplicemente ascoltarlo. I dati per inquadrarlo e comprenderlo li ho già scritti, manca solo – à la Bloch – l’esperienza diretta dell’opera. Enjoy!

P.S. Gerald Warburg, esponente del ramo americano della grande famiglia, era un buon violoncellista e un amico di Ernest Bloch. A lui è dedicato Avodath Hakodesh.

 

 


1 Commento:

  1. ciao caro Massimo, piacere leggerti!
    A presto spero, e grazie per le tue analisi, per ricordare, sollecitare, condividere!
    M


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