Se il nome “Israele” indica una persona, un intero popolo e allo stesso tempo il regno del nord dopo la secessione di Geroboamo, dobbiamo porci una domanda: quale significato dipende dall’altro?
“Terra di Israele”, “figli di Israele”, “popolo di Israele” sono espressioni che ciascun lettore della Torà comprende facilmente in riferimento alla civiltà ebraica antica, alla regione su cui era stanziata e ai suoi abitanti. Israele nella Torà è anche il nuovo nome dato al terzo dei patriarchi Yaakov (Giacobbe) dopo la lotta notturna presso il fiume Yabbok con un individuo misterioso, forse un angelo. Il nuovo nome non sostituisce una volta per tutte quello precedente – come era invece successo con il nonno Abram divenuto Abraham – ma da questo momento si alterna ad esso.
Nella Torà però il nome Israele compare anche con un significato diverso, quello del regno del nord, il regno di Israele appunto, una delle due entità in cui si divide la monarchia unita dopo la morte di Salomone sotto la guida di Geroboamo. L’altro regno, come noto, è quello di Giuda a sud con capitale Gerusalemme. Israele, infine, indica il popolo ebraico della sua unità: le dodici tribù nel racconto biblico hanno origine da un unico padre, Yaakov/Israele, perciò gli ebrei sono detti benè Israel, “figli di Israele”. Proviamo a soffermarci sul nome “Israele”. Se indica una persona, un intero popolo e allo stesso tempo il regno del nord dopo la secessione di Geroboamo, dobbiamo porci una domanda tanto naturale quanto raramente sollevata: quale significato dipende dall’altro? In altre parole, qual è il significato primo del termine e quali quelli derivati? Come avviene l’espansione da un significato a più significati? Per provare a rispondere occorrerà scomodare la storia e l’archeologia.
Partiamo dalla fine, cioè dall’inizio. Dalla fine del regno di Israele e dall’inizio dell’idea di Israele. Nel 722-720 la città di Samària è conquistata dagli assiri, la sua classe dirigente o almeno una parte di essa deportata in Mesopotamia e gruppi di popolazioni non locali vengono insediati nella regione dai nuovi dominatori. Su questo la cronologia biblica e gli archeologi concordano, su quanto seguirà invece no. Come spiegano Israel Finkelstein e Neil A. Silberman nelle Tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito (Carocci), nel periodo in cui il regno del nord è un’entità politica importante nel mediterraneo orientale, Gerusalemme a sud rimane una città molto piccola e il suo modesto regno ha un ruolo politico ed economico trascurabile su base regionale. Tutto cambia con la caduta del regno di Israele per mano assira. Negli anni immediatamente successivi, infatti, l’archeologia ha attestato a Gerusalemme un rapido sviluppo. La sensazionale crescita demografica avviene in pochi decenni, gli ultimi dell’VIII secolo. In questo breve lasso di tempo la popolazione di Giuda raddoppia e forse triplica, un fatto che in qualsiasi società preindustriale non può essere spiegato come esito di crescita dovuta esclusivamente a fattori interni. Grazie alle decisive campagne di scavo che si sono svolte negli ultimi trent’anni sappiamo inoltre che negli stessi anni in cui Giuda cresce impetuosamente, nella parte meridionale dell’ormai scomparso regno di Israele, grossomodo il territorio tra le odierne Ramallah e Nablus (l’antica Shechem), si verifica un netto calo demografico. Ancora nello stesso ristretto periodo sono stati rinvenuti nel regno di Giuda oggetti di ceramica, usi funerari e frantoi tipici del regno del nord. L’unica spiegazione possibile secondo Finkelstein (Il regno dimenticato. Israele e le origini nascoste della Bibbia, Carocci) è l’insediarsi in Giuda di numerosi gruppi di popolazione provenienti da nord dopo la caduta del regno di Israele. Profughi il cui arrivo in massa avrebbe avuto conseguenze determinanti.
La massiccia emigrazione da nord provoca dunque a Gerusalemme e dintorni una immediata ascesa demografica. Ma non solo. Con i profughi del nord scatta un repentino sviluppo economico con cui Giuda si affaccia per la prima volta da protagonista sul palcoscenico della storia. Da piccolo territorio povero, isolato e scarsamente abitato, Giuda diventa un piccolo regno in ascesa che tra le altre cose non deve più competere con un ingombrante e più potente vicino come era stato Israele, ma può trattare direttamente con l’impero assiro, anche se da posizione di subalternità. Lo sviluppo del regno del sud è quindi immediatamente anche politico. Altra conseguenza decisiva di queste trasformazioni è lo sviluppo della pratica scribale, in precedenza a Giuda scarsamente attestata, mentre era relativamente diffusa nel nord più sviluppato già nella prima metà dell’VIII secolo. La più rilevante conseguenza della diffusione della scrittura a Giuda è l’avvio del processo di stesura dei testi biblici. Un fatto, inutile sottolinearlo, che avrà conseguenze di incalcolabile rilievo nella storia dell’umanità.
In questa fase di tumultuoso sviluppo avviene anche un’altra cosa decisiva, un fatto che riguarda la storia delle idee. La nascita di una nuova ideologia che vede negli abitanti dell’intera regione di Israele e Giuda i membri di un’unica nazione. È a questa altezza che con ogni probabilità comincia a svilupparsi l’idea di un antico regno unito e potente sotto David e Salomone, idea alla base di una narrazione straordinaria alla quale però non corrisponde una situazione storica. Il regno unito solidamente incentrato a Gerusalemme è la raffigurazione di una mitica epoca aurea che serve a legittimare le ambizioni egemoniche di Giuda tra VIII e VII secolo. Secondo questa idea panisraelitica, cioè che riguarda l’intero territorio che verrà in seguito chiamato Israele, Giuda e Israele sono le due parti di un unico insieme artatamente diviso da governanti tirannici e ambiziosi. Se è corretto il ragionamento fatto fino a qui, sul luogo di origine di questa nuova dottrina, Gerusalemme, non possono sussistere dubbi.
I suoi cardini sono infatti la centralità per tutti gli ebrei di una sola dinastia legittima, quella davidica, e di un solo tempio legittimo, quello di Gerusalemme. Le altre dinastie, come quella omride che ha regnato nel nord nel IX secolo, e gli altri templi, per esempio Bethel e Penuel ancora a nord, sono illegittimi e perciò da cancellare. Ma a Giuda con gli emigrati dallo scomparso regno del nord arriva anche una serie di narrazioni. Sono racconti che vengono inglobati nei testi biblici, come vedremo a breve, anche se in questi ultimi il punto di vista di gran lunga dominante è quello di Giuda e della sua capitale Gerusalemme. Un esempio è rappresentato dalle tradizioni ostili a David confluite nei libri di Samuele, i quali trattano lungamente dei regni di Saul e David. Nel racconto biblico di Samuele il punto di vista prevalente rimane certamente quello ostile a Saul e vicino a David – tanto da portare uno studioso come Baruch Halpern, in un’opera affascinante ma a parere di chi scrive non priva di debolezze intitolata I demoni segreti di David. Messia, assassino, traditore, re (Paideia), a considerare l’insieme dei testi il risultato di un’opera apologetica tesa a legittimare David, avventuriero senza scrupoli legato ai filistei, e la successione salomonica. Eppure questo non è l’unico punto di vista nei libri di Samuele. Sussistono tracce evidenti risalenti a una fonte vicina a Saul, cosa che spiega tra le altre cose la ripetizione due volte di numerosi episodi non senza significative differenze. Perché in un’opera redatta in Giuda e che si propone di esaltare il ruolo di Giuda vengono conservate tradizioni del nord antigiudaite?
Una risposta plausibile – l’unica plausibile per Finkelstein – è che queste tradizioni nordiche abbiano una loro funzione, siano cioè indispensabili per l’ideologia dei redattori, certamente giudaiti gerosolimitani. E quale può essere questa funzione, se non la configurazione dell’idea che tutti gli ebrei, del sud e del nord, appartengono a una sola nazione nel remoto passato floridamente unita, in seguito divisa e declinante? Gli emigrati del nord che sul finire dell’VIII secolo si trasferiscono a Giuda portano con sé tradizioni locali, probabilmente già in forma scritta. Tra queste tradizioni va citato almeno il ciclo di Yaakov che finirà nel libro di Bereshit/Genesi, considerato tra le parti più antiche (anche se più volte in seguito ritoccate) dell’intero corpus biblico. Yaakov/Israele è un eroe eponimo del nord e nordest: tutti i luoghi menzionati nelle sue avventurose vicende non fanno che confermarlo. Un altro ciclo di tradizioni del nord che giunge a Giuda con la grande emigrazione dopo il 722 è quello che riguarda Saul, di cui si è già fatto cenno, e che è ovviamente ostile a David.
Queste tradizioni vengono rifiutate nella loro interezza, non però del tutto, e finiscono per confluire in parte nel nuovo racconto che Giuda fa di sé. I due sforzi principali dei redattori giudaiti consistono nell’assolvere David da qualsiasi accusa e mostrare la centralità di Giuda e di Gerusalemme con il tempio salomonico su tutta la regione, da una parte. Dall’altra, nel presentare la dinastia davidica come l’unica legittimata a regnare non sul sud soltanto ma sull’intero popolo di Giuda e Israele. Così entra nell’uso l’espressione “figli di Israele” per indicare non solo la popolazione di provenienza dal nord ma la totalità degli ebrei. In questa prima fase alla fine dell’VIII secolo il disegno ideologico di costruzione di una nuova identità riguarda soltanto il territorio di Giuda di cui cerca di cementare la popolazione mista – autoctona e di origine nordica – in una unità con al centro Gerusalemme. Circa un secolo più tardi, al tempo del ritiro assiro dalla regione e del re Giosia, avverrà una seconda fase con l’ambiziosa estensione del progetto ideologico-identitario anche ai territori del nord e alla popolazione là residente. Negli strati redazionali e nei nuovi testi (come Devarim/Deuteronomio) prodotti al tempo di Giosia l’importanza del regno del nord viene naturalmente sminuita a tutto vantaggio di Gerusalemme, capitale unica in cui si ritiene che un tempo abbiano splendidamente regnato David e Salomone.
Entrambe le fasi sono successive al crollo del regno di Israele nel nord e in buona misura proprio da questo crollo determinate. Tra l’una e l’altra, nel corso di un secolo, l’ideologia panisraelitica si allarga fino a comprendere tutti i territori un tempo appartenuti al regno del nord oltre naturalmente a quelli del regno del sud con le rispettive popolazioni. Strumento necessario di questa ambiziosa ideologia è l’idea che gli abitanti del sud e del nord pensino sé stessi non tanto come appartenenti a una certa tribù o clan, ma come figli di un unico antico progenitore, figli di Israele dunque. Così il nome Israele, giustificato a sua volta dai racconti dell’eroe eponimo Yaakov/Israele, si trasforma da nome di un regno potente per breve tempo e poi sconfitto a quello di un popolo con un unico Dio, un’unica capitale in Gerusalemme, un’unica dinastia regnante della linea davidica. In questo senso il popolo di Israele e la terra di Israele sono dunque, paradossalmente ma logicamente, una conseguenza della caduta del regno di Israele.