Cultura
Addio a Uri Zohar, genio del cinema israeliano

Un grande attore e regista, famoso per aver lasciato tutto all’apice della sua carriera per intraprendere gli studi rabbinici, a cui ha dedicato il resto della sua vita

“Uri era parte integrante dell’israelità in tutte le sue sfumature: un accumulo radicato e spinoso come il suo enorme mondo spirituale e il suo pulsante cuore ebraico. Grande nella recitazione, grande nella cultura e grande nella Torah. Un saggio studente che ha riunito cuori diversi in tempi diversi.”

Sono queste le parole con cui il primo ministro Naftali Bennett ha salutato Uri Zohar, uno dei più grandi attori e registi della storia del cinema israeliano, famoso per aver, all’apice della sua carriera, lasciato tutto per intraprendere gli studi rabbinici, a cui ha dedicato il resto della sua vita, fino al giorno della sua morte, il 1 giugno 2022 – a 86 anni – a causa di un attacco di cuore.

Nel corso dei suoi 12 anni di carriera cinematografica Zohar ha diretto 11 lungometraggi, oltre a numerosi cortometraggi e la celebre serie televisiva Lool. Ha anche recitato in numerosi film di altri registi, oltre ad aver reclutato in molti dei suoi film celebri personaggi del mondo dello spettacolo israeliano, incluso il grande cantante Arik Einstein, che ha più volte recitato al suo fianco.

Proprio per via di questo profilo poliedrico, a salutarlo non è mancato nessuno, dal mondo nello spettacolo, a quello della religione, a quello della politica.

Il presidente Yitzhak Herzog ha scritto su Twitter: “Mi dispiace per la scomparsa di questo grande uomo di cultura e della Torah, il rabbino Uri Zohar. Un grande creatore, uno dei pilastri del cinema israeliano, che ha dato un importante contributo alla cultura e alla spiritualità, patrimonio dello Stato di Israele”.

Il rabbino capo d’Israele, David Lau, ha dichiarato: “Insieme a tutto il popolo d’Israele, piango questa mattina la partenza del mio amato amico rabbino Tzadik Uri Zohar, che è stato una figura esemplare nella nostra generazione. Ha avuto il privilegio di vivere una vita significativa attraverso lo studio e la divulgazione della Torah, vivendo nella modestia e nell’umiltà, per devozione nei confronti Beato Creatore “.

Dori Ben Zeev, noto musicista israeliano, ha dichiarato al quotidiano Haaretz: “Uri è stato un eroe culturale che ha cambiato il volto dello spettacolo e del cinema. Ha lasciato la sua anima a questo Paese. Aveva il sionismo di un uomo di cultura e un’ideologia che ha voluto seguire fino in fondo”. Al punto di rifiutare il Premio Israel, nel 1976, anno precedente alla sua prima comparsa televisiva con la kippah, fino al ritiro definitivo dal mondo laico di Tel Aviv per poi trascorrere il resto della sua vita a Gerusalemme, dedicandosi agli studi biblici.

Sempre su Haarezt, Noam Semel, direttore del teatro nazionale Habima, ha definito Zohar “un motore supersonico di conoscenza, cultura e intrattenimento, con una capacità fenomenale di capire il pubblico“.

Probabilmente anche per questo in Israele, su tutti i social, e toccando le generazioni più trasversali, oggi non si fa che parlare di lui e di questa figura così ambivalente – prima uomo di spettacolo, poi uomo del Libro – che forse, nelle sue sfaccettature, rappresenta, la versione moderna dell’ebreo errante, nel senso di colui che sa errare (e ritrovarsi) non solo di luogo in luogo ma anche di tempo in tempo, da un’identità all’altra e da una comunità all’altra. Dalle colline di Gerusalemme, alle spiagge e l’edonismo di Tel Aviv, sua città natale, magistralmente descritta in molti suoi film tra cui i pluripremiati Metzizim (1972) e Big Eyes (1974), Save the Lifeguard (1977). Fino al deserto del Negev, dove ha girato forse il suo più grande capolavoro, Every Bastard a King (1968), sapiente analisi cinematografica della Guerra dei Sei Giorni. Il film si apre con una delle sue più eloquenti citazioni: “Israele non è uno Stato, è uno stato mentale”.

Con questo stato mentale, salutiamo questo grande Maestro, di cinema, di Torah e di vita.

Buon viaggio Uri, buon viaggio Rav Zohar

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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