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Ágnes Heller, tre interviste da non dimenticare #1

Un’intervista da (ri) leggere

Cosa scrivere, che in questi giorni non sia già stato scritto, su Ágnes Heller? Cosa aggiungere ai puntuali resoconti della storia e del pensiero della filosofa ungherese pubblicati dai diversi media non appena, venerdì 19 luglio, è stata resa nota la notizia della sua scomparsa?

Noi abbiamo pensato di scavare nell’archivio nel web, con l’intento di offrire ai lettori uno spazio per rivivere le parole di – e non su – Ágnes Heller.

Vi proponiamo tre piccoli tesori, tre interviste rilasciate dalla filosofa in momenti diversi: 2018, 2015, 2013.

La prima intervista è da leggere.

La seconda da guardare.

La terza da ascoltare.

 

L’etnonazionalismo nelle società di massa

Realizzata da Thibaut Sardier per conto del quotidiano francese Libération, è stata pubblicata il 23 novembre 2018, sei mesi prima delle elezioni europee, con il titolo Lo sviluppo della violenza in Europa spiana la strada al nazionalismo etnico.

La filosofa indaga l’attualità politica e sociale europea, cominciando dall’uso delle parole: “Innanzitutto, bisogna insistere sul fatto che la parola “populismo” non è quella giusta. Hugo Chavez era populista. Quelli [i leader europei cosiddetti “populisti”] di cui parliamo qui creano delle oligarchie in cui il povero si impoverisce e il ricco si arricchisce. Dobbiamo piuttosto parlare di nazionalismo etnico o etnonazionalismo. Una forma di governo fondata sulla razza, benché ciò non sia formulato in maniera esplicita. Lo si vede chiaramente in Ungheria, dove Viktor Orbán distingue tra nazionalità e cittadinanza, contrariamente alla Francia in cui i due elementi sono associati”.

Nazionalismo etnico che, secondo Heller, sarebbe un prodotto delle società di massa: “Le nostre vecchie società, dopo il 1968, si sono trasformate in società di massa. Prima, i partiti rappresentavano degli interessi di classe. Nelle società di massa, i partiti tradizionali cessano d’esistere e l’esito delle elezioni è determinato da ideologie, come quella del nazionalismo etnico. […] Certo, ci sono ancora oggi ricchi e poveri, ma da un punto di vista politico o socio-economico, i “poveri” non sono la stessa cosa degli “operai”, sono ben diversi. Lo stesso vale per il loro voto. Per esempio, in Ungheria una bella fetta della popolazione Rom ha votato per Viktor Orbán. In molti Paesi, i sistemi di partito sono divenuti completamente fluidi dal punto di vista sociale e non si sa più se la tale classe darà il suo voto al tale movimento. È in questo contesto che gli etnonazionalisti avanzano: si tratta dunque di sapere come i democratici liberali possono convincere gli elettori con un approccio razionale”.

Perché sì, l’imperfetta democrazia liberale è ancora la migliore prospettiva possibile: “Bisogna tornare alla vecchia idea di Montesquieu di separazione dei poteri e sovranità del popolo. Non si può inventare nulla di meglio. Ma si tratta di un sistema molto vulnerabile, giacché per quanto i suoi fondatori abbiano sempre chiamato in causa l’idea della natura umana per giustificarlo, non è naturale”.

E sui libri da riprendere tra le mani: “Marx? Sulla democrazia è meglio studiare Tocqueville o Montesquieu. In compenso, Marx si può leggere per imparare a essere scandalizzati contro il mondo”.

Potete leggere l’intervista integrale qui.


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