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Bayonne, gli ebrei e le meraviglie dal Nuovo Mondo

Viaggio nella piccola comunità francese lungo un percorso suggestivo sulla costa dei Paesi Baschi francesi

Si racconta che la prima ebrea ad aver messo piede in Canada si chiamasse Esther Brandeau e che fosse originaria di Bayonne, per la precisione di un suo sobborgo, Saint-Esprit. Correva l’anno 1738 e la giovane, travestita da ragazzo e sotto il falso nome di Jacques La Fargue, sarebbe stata subito arrestata dalle autorità, che l’avrebbero sottoposta a un pressante interrogatorio. Dagli atti giunti a noi risulta che la fanciulla, all’incirca ventenne e figlia di un mercante di nome David, fosse stata imbarcata dalla famiglia cinque anni prima su una nave olandese alla volta di Amsterdam, città dove ci sarebbe stata una zia ad accoglierla.
Un naufragio avrebbe stravolto i piani, con Esther salvata da uno dei membri dell’equipaggio, portata a Biarritz e qui ospitata da una certa Catherine Churiau. Insofferente alla vita nella nuova casa (dove tra l’altro, secondo le sue dichiarazioni, pare le facessero mangiare carne di maiale), la fanciulla avrebbe deciso di togliere il disturbo. Travestita da uomo.

Pur trovandosi relativamente vicina a Bayonne, anziché tornarsene a casa, pare che la ragazza avesse preferito (o dovuto, non si sa) girovagare negli anni successivi tra diversi centri della Francia occidentale. Svolgendo i mestieri più diversi, dal fattorino all’aiuto fornaio, Esther sarebbe passata da Bordeaux a Rennes e da Saint-Malo a Nantes, finendo quindi nel porto de La Rochelle. Qui, si sarebbe imbarcata come garzone sulla nave Saint-Malo diretta in Quebec. Giunta sul suolo canadese, dopo il fermo e un primo maldestro tentativo di integrazione, sarebbe stata rispedita in patria con tanto di intervento del re, occupatosi personalmente di caricare la giovane sulla nave Comte de Matignon. All’origine del rimpatrio pare ci fosse il rifiuto della ragazza di convertirsi al cattolicesimo.
Le circostanze dell’arrivo di Esther nella Nuova Francia sono degne di un feuilleton, ma non sono così intricate se paragonate alle vicissitudini dei suoi concittadini e correligionari. Parliamo di un’epoca, l’inizio del Settecento, in cui gli ebrei erano già piuttosto numerosi nel comune aquitano di Bayonne. Avevano da poco ricevuto l’autorizzazione ufficiale a professare la propria religione, ma soprattutto erano da sempre grandi esperti in navigazioni e commerci con le terre lontane. Del loro arrivo nella cittadina del Sud Ovest francese, capoluogo dei Paesi Baschi, non si conosce la data precisa, ma si sa che intorno al 1520 già diversi ebrei abitavano nel sobborgo di Saint-Esprit, a Saint-Jean-de-Luz e a Biarritz. Inoltre, pare che diverse famiglie appena stabilitesi a Bordeaux fossero state da qui espulse nel 1597 trasferendosi quindi a Saint-Esprit e nei vicini centri di Peyrehorade, Bidache e La Bastide-Clairence.

Si trattava, in tutti i casi, di ebrei giunti dalla Spagna, in particolare dalla vicinissima Navarra, e dal Portogallo, cacciati prima dai decreti del 1492 e del 1496 e poi in fuga dall’Inquisizione. I cosiddetti “nuovi cristiani”, sbarcati nel primo porto oltreconfine del Golfo di Biscaglia, si sarebbero trovati anche in Francia a dover nascondere la propria vera fede, celebrandone i riti solo nel chiuso delle abitazioni. Questa condizione di segretezza, indicata come cripto ebraismo, avrebbe impedito per lungo tempo di edificare luoghi di culto nonché di sepoltura. Lo stesso diritto di residenza a Saint-Esprit come appunto “nuovi cristiani” sarebbe stato concesso loro solo nel 1550 e comunque con notevoli limitazioni sulle proprietà e le attività lavorative. Una su tutte, il commercio al dettaglio, ostacolato dalle corporazioni locali, già sufficientemente urtate dalla brillante concorrenza.

Impegnati in una delle attività che avrebbe fatto grande Bayonne in tutta la Francia, cioè la produzione del cioccolato, gli ebrei di Saint-Esprit pare avessero sviluppato le proprie arti grazie ai contatti con il Nuovo Mondo. Sembra che questi scambi fossero iniziati nel vicino porto spagnolo di San Sebastian, centro con il quale non avrebbero mai interrotto i rapporti. Dalle Americhe, poi, oltre alle fave di cacao pare che provenissero anche i segreti per lavorarle e renderle gradite ai palati del Vecchio Mondo.
L’arte della cioccolateria sarebbe dunque partita da questa cittadina per conquistare l’intera Francia e, come oggi ormai tutti riconoscono, il merito sarebbe stato proprio degli “ebrei portoghesi”. All’epoca, tanta riconoscenza non era di casa, in quel di Bayonne, anzi.
Tanto per cominciare, pare che gli artisti del cioccolato fossero costretti a risiedere nel piccolo borgo di Saint-Esprit, sulla riva destra dell’Adour, ai tempi ancora non annesso alla città. Così, anche se il lavoro si svolgeva a Bayonne, al calar del sole gli artigiani dovevano lasciare il centro per tornarsene nel villaggio al di là del fiume. Come se non bastasse, pare che dopo aver imparato a trattare il “cibo degli Dei”, la corporazione dei cioccolatieri locali avesse espulso i propri maestri, proibendo loro di lavorare.
Nonostante questo, sembra che nei primi decenni del XVII secolo il potere economico e politico della comunità fosse comunque piuttosto forte. Tra le prove che ne attestano l’importanza, ci sarebbe la brutta fine fatta da un emissario dell’Inquisizione. Giunto a Bayonne nel 1632 con intenzioni si presume poco benevole, sarebbe stato fatto arrestare e imprigionare dagli ebrei locali con l’accusa di essere una spia spagnola.
Nel frattempo, anche sul fronte religioso le cose pare andassero un po’ meglio. Con l’inizio del Seicento si era affermata un po’ di libertà nella pratica religiosa e, oltre a non dovere più battezzare i propri figli o celebrare i matrimoni in chiesa, nella seconda metà del Seicento la comunità di Saint-Esprit avrebbe finalmente cominciato a seppellire i propri morti in un cimitero non cattolico.

Risalirebbe al 1654 l’acquisto di un sepolcreto, mentre nel 1689 sarebbe stato fondato il cimitero, tra i più antichi della storia ebraica francese. Situato a nord della città, sull’altura di Saint-Etienne, all’angolo di avenue des Foix con avenue du 14 Avril, il Cimetère Israélite de Bayonne avrebbe poi subito ampliamenti nel XVIII e XIX secolo, con la costruzione nel 1862 di un deposito dalla struttura di un tempio antico. Iscritto nell’elenco dei monumenti storici nazionali, si presenta oggi come una distesa sterminata di lapidi risalenti perlopiù al XVII secolo, la cui importanza archeologica lo avvicina ai più noti cimiteri ebraici di Amsterdam e Amburgo.

Per quanto riguarda invece i luoghi di preghiera, se l’iniziale segretezza imponeva che le cerimonie fossero celebrate in case private, con il riconoscimento ufficiale del 1723 si sarebbero aperti finalmente oratori e sinagoghe, mentre l’arrivo di eruditi chiamati a studiare e a insegnare nelle sue scuole avrebbe imposto Bayonne tra i principali centri di espressione del giudaismo europeo.
Nel 1755 le sinagoghe in città erano ben tredici, a fronte di una comunità di circa 3.500 anime, tutte concentrate a Saint-Esprit, di cui rappresentavano i tre quarti della popolazione. Qui, gli ebrei avrebbero continuato a risiedere anche dopo la concessione del 1787 di abitare finalmente anche a Bayonne. Dei tanti luoghi di culto, però, già a fine Settecento sarebbero rimaste solo quattro sinagoghe. Il motivo andrebbe ricercato da una parte nel desiderio dei capi locali di evitare dispersioni all’interno della comunità e dall’altra nella diminuzione dei suoi stessi componenti. Con il declino economico di Bayonne, infatti, si era verificata una massiccia emigrazione verso le più promettenti Bordeaux, Parigi e Pau.

Nonostante questo, nel 1835 la comunità avrebbe chiesto al Concistoro di Bordeaux, da cui ormai dipendeva, e alle autorità amministrative della città l’autorizzazione a costruire una sinagoga per 300 persone e i locali da adibire alla preparazione della matzah, al mikveh e a una scuola per poveri. Come sede fu scelta una casa situata in rue Maubec, all’attuale numero 36, dov’era già presente una piccola sinagoga frequentata dai capi della comunità, in parte distrutta durante la Rivoluzione. Da questa erano stati comunque salvati l’Aron con i rotoli della Torah, messi al sicuro dal fuoco rivoluzionario dall’arguzia del Rabbino.
Inaugurata il 26 settembre 1837, la nuova Sinagoga di Bayonne avrebbe da allora subito poche modifiche, a parte l’installazione nel 1871 di vetrate e dipinti policromi. Nelle intenzioni della comunità, avrebbe dovuto essere un edificio imponente ma senza ostentazioni e, in effetti, ancora oggi si presenta come una costruzione discreta, dalla posizione arretrata rispetto alla strada e affacciata su un cortile. Oltre al corpo principale, comprende due padiglioni a un piano esposti sulla strada, ai due lati del cancello di accesso. Tra le sue particolarità, quella di avere il portale d’ingresso sul lato orientale, con l’Arca sulla parete occidentale, in direzione opposta rispetto alla stragrande maggioranza delle sinagoghe, che guardano invece a Gerusalemme. Sviluppata su due piani, conserva un’elegante facciata neoclassica, con un portale rettangolare suddiviso in tre parti da due pilastri. Nella sala interna, rettangolare, spicca l’abside, dove è conservato l’Aron realizzato in legno in stile Rococò Luigi XVI e risalente alla fine del Settecento.
Iscritta nell’elenco dei monumenti storici di Francia, la sinagoga di Bayonne non è aperta al pubblico, ma solo alle funzioni religiose. Anche se capita che non si raggiunga il minyan, rimane un punto di riferimento e centro di preghiera per le circa 200 famiglie che oggi compongono la comunità, dislocate in un territorio che va dal comune di Dax, a nord-est di Bayonne, alla cittadina costiera di Hendaye, ai confini con la Spagna.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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