Hebraica
Il Cantico dei Cantici: il trucco c’è, ma non si vede

Vi sono state nei secoli moltissime interpretazioni del Cantico dei Cantici, di natura rabbinica e mistica. È infatti uno dei passaggi più poetici e apprezzabili della Bibbia, di piacevole lettura ma difficilissima interpretazione. Il Cantico dei Cantici bussa alla porta, e ti ricorda quanto sublime è l’amore disperato, difficile, a volte solo astratto, ma puro. Un po’ come il nostro rapporto con l’Ebraismo.

Come tutti sanno il Cantico dei Cantici, in ebraico Shir Hashirim שיר השירים, è uno dei testi considerati più sacri dalla tradizione ebraica. Proprio questa rappresentazione dell’amore carnale e sensuale sopravviverà infatti alla venuta messianica assieme al rotolo di Ester. Entrambi racconti all’apparenza profondamente umani, dove Dio si nasconde, dove non compare il nome del Signore nemmeno una volta.

Vi sono state nei secoli moltissime interpretazioni del Cantico dei Cantici, di natura rabbinica e mistica. È infatti uno dei passaggi più poetici e apprezzabili della Bibbia, di piacevole lettura ma difficilissima interpretazione. Col tempo, proprio per la sua leggiadra e bucolica bellezza, è diventato uno dei testi più conosciuti, che ci viene ormai propinato – per chi come me ha molti amici anche non ebrei – durante quasi tutti i matrimoni in Chiesa. E proprio quando vedo coppie sfavillanti che con la gioia negli occhi scelgono frasi tratte da questo passaggio per giurarsi amore eterno davanti agli occhi di Dio, mi chiedo sempre come mai. È vero che è il racconto di un amore, è vero che usa espressioni poetiche e commoventi, ma ai miei occhi ha sempre rappresentato un monito alla responsabilità individuale, pesante e solitaria, importante ma forse non così adatta a un giorno di festa. Quell’amore, che è stato letto in mille modi ma di cui sicuramente il più diffuso è il rapporto tra Dio e il popolo ebraico, è un amore che non si consuma e non si avvera mai; i due innamorati del testo non s’incontrano. E allora a me fa pensare all’amore sì, ma a un sentimento difficile e solitario. Il nome di Dio non compare mai nel testo, come abbiamo già detto, sembra quasi una ricerca univoca, un percorso che ognuno di noi intraprende per conto suo, pur circondato da tutti gli affetti possibili. E allora per me diventa l’amore dell’ebreo laico per l’ebraismo, per le sue radici e le sue tradizioni. Un legame che nella diaspora dove viviamo noi diviene ogni giorno più difficile. Perché come nello Shir Hashirim il nome di Dio si nasconde, non è così facile trovare una scintilla di ebraismo nella nostra quotidianità.

 

E allora forse ha un senso anche la fatica che si fa a mantenersi ebrei in un contesto come il nostro, della serie che a essere ebrei in Israele son bravi tutti, prova a conservare il tuo ebraismo quando vivi nella golah, quando la possibilità che incontri un ebreo bellino, intelligente, che ti faccia ridere e che ti faccia sfarfallare lo stomaco sono bassissime, pressoché nulle (non per sfiducia nel glorioso maschio ebreo ma per questioni percentuali).

 

Se siamo tendenzialmente laici, o meglio laico-tradizionalisti-disinistra-machemalinconiasenonaccendolecandeleilvenerdìsera come sono io e come sono molti ebrei italiani la faccenda si complica. I rabbini ci spiegano che l’assenza di Dio nel testo – assenza che poi è sempre solo apparente, perché l’azione divina c’è anche quando non si vede (proprio come i trucchi) e spesso ci salva senza che nemmeno ce ne si accorga, come capita nella Meghillat Ester – eleva l’uomo. Riconoscere Dio quando tutto fila liscio e lui apre mari e manda manne è troppo facile (e anche in quel frangente non ci siamo rivelati esattamente brillanti), bisogna amarlo ancor di più quando fatichi a riconoscerne l’interesse nei tuoi confronti, quando sembra latitare. E allora forse ha un senso anche la fatica che si fa a mantenersi ebrei in un contesto come il nostro, della serie che a essere ebrei in Israele son bravi tutti, prova a conservare il tuo ebraismo quando vivi nella golah, quando la possibilità che incontri un ebreo bellino, intelligente, che ti faccia ridere e che ti faccia sfarfallare lo stomaco sono bassissime, pressoché nulle (non per sfiducia nel glorioso maschio ebreo ma per questioni percentuali). Ancor di più se ti piace studiare e quindi decidi di proseguire oltre il liceo, e ti apri al frenetico mondo libertino dell’Università. Pam. Il gioco è fatto, sei fritto/a.

Ecco io mi sento così, timidamente ma profondamente innamorata del mio ebraismo, che è sempre laico-tradizionalista-disinistra-machemalinconiasenonaccendolecandeleilvenerdìsera, ma se lo penso come l’amore tra i due innamorati del Cantico dei Cantici ci trovo un senso, quello della fatica e dell’impegno, del lavoro in un certo senso, che da sempre nobilita l’uomo.

Ma ecco che proprio ora il Cantico dei Cantici bussa alla porta, e ti ricorda quanto sublime è l’amore disperato, difficile, a volte solo astratto, ma puro. Ecco io mi sento così, timidamente ma profondamente innamorata del mio ebraismo, che è sempre laico-tradizionalista-disinistra-machemalinconiasenonaccendolecandeleilvenerdìsera, ma se lo penso come l’amore tra i due innamorati del Cantico dei Cantici ci trovo un senso, quello della fatica e dell’impegno, del lavoro in un certo senso, che da sempre nobilita l’uomo.

Questo solo per consolarmi, per consolarci, per ridare dignità all’ebraismo della diaspora, a quello laico e a quello religioso. Per non dimenticare che fuori da Israele, e il nostro paese ne è  stato un tempo un esempio meraviglioso, si è fatta per secoli la storia ebraica, la cultura ebraica, la religione ebraica e anche la lingua ebraica, impiegata in raffinatissima poesia che s’ispirava nientepopodimeno che alla terzina dantesca.

Questo è il mio augurio per tutti noi e per l’avventura di JOI, di tornare a essere profondamente ebrei qui, dove viviamo.

Rachele Jesurum
Collaboratrice

Nata a Milano nel 1988, un cursus honorum composto da scuola ebraica, a liceo classico Alessandro Manzoni e Università di Bologna, dove studia  Islamistica e Arabo. Tra corsi di lingua in Marocco ed esami di Antropologia culturale, capisce che il suo  cuore batteva ancora e sempre più forte per la Storia e la Cultura ebraica. Sceglierà di fare un dottorato di ricerca sul movimento sabbatiano, collaborando al contempo con la redazione umanistica della scuola online Oilproject. Ora vive spostandosi tra Milano, Parigi e Bologna. Fra un treno e l’altro, si è sposata e ha avuto una bambina, Anna Searà.

 


3 Commenti:

  1. È stato pubblicato di recente un libro interessante e molto profondo che analizza il Cantico dei Cantici secondo una visione kabbalistica.
    “ Shir ha Shirim. Riflessioni cabalistiche sul Cantico dei cantici” di Nadav Hadar Crivelli (edizioni Psiche2).

  2. Cara Rachele, sono molto interessata agli studi sul movimento sabbatiano (di cui ho parlato, rifacendomi alle indagini di Scholem, in un mio scritto che le posso segnalare in privato). Se vuole può mettersi in contatto con me, mi piacerebbe conoscere gli sviluppi delle sue ricerche. Cordiali saluti, M.F.


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