Una semplice domanda: la religione è una cosa positiva o no? Cominciamo con una breve e caustica definizione di Ebraismo: un sistema di valori con molte regole ed una precisa distinzione tra chi ne è vincolato e chi no. Ma forse, non è così semplice.
Quando penso al mio Ebraismo, la mia testa è avvolta da un turbine di emozioni: mille domande, mille risposte, vita e morte racchiuse in una sola parola. Quando ci scavo dentro, capisco che l’indagine su come l’ebraismo dovrebbe influire sulla mia vita personale è basata su una semplice domanda: la religione è una cosa positiva o no? Ora, una domanda del genere è troppo impegnativa perché questo articolo possa rispondervi appieno ma chissà, forse mi riuscirà di chiarire un paio di punti.
Cominciamo dunque con una breve e caustica definizione di religione: un sistema di valori con molte regole ed una precisa distinzione tra chi ne è vincolato e chi no. Molto semplicemente, un sistema che ci consente di strutturare la nostra vita, di credere che stiamo facendo la cosa giusta e che siamo in grado di ottenere di più dalla vita. Al posto di lasciarci bloccati in un ciclo senza fine di tanti “Comma 22“, la religione ci offre un focus e una meta, ci spinge a raggiungerla e ciò porta a risultati splendidi. Quando ti alzi al mattino e reciti ad alta voce il Modeh Ani, la giornata comincia col piede giusto: l’Ebraismo, inteso in senso tradizionale, offre una struttura, con le sue preghiere quotidiane a determinati orari, ci dice cosa mangiare, quando festeggiare, quando essere tristi e quando seri. Non esiste argomento o questione per il quale l’Ebraismo non abbia una soluzione. Contro la mancanza di motivazione e di scopo, il sentimento di inutilità nella vita, la fede può fare molto. Per quanto mi riguarda, quindi, la religione è (o dovrebbe essere) qualcosa di molto positivo.
A volte penso che forse il mondo si è evoluto appositamente per contenere queste divisioni ed è troppo tardi per cambiarle, altre volte desidero con tutte le mie forze un cambiamento repentino.
E questo non solo a livello personale. Nel corso del tempo le comunità ebraiche hanno dato prova di una meravigliosa attenzione nel prendersi cura gli uni degli altri, secondo un sentimento di legame e di destino condiviso capace di mettere in secondo piano tutto il resto. Ovunque nel mondo, queste comunità vantano tradizionalmente strutture forti e vibranti, e un incredibile senso di appartenenza, però al costo di essere autoreferenziali e con barriere all’ingresso, a volte istituzionali, a volte emozionali. Essere Ebreo, Aperto, Inclusivo (come il nome di questa rivista) può dunque essere un paradosso, poiché in fondo la religione è un sistema che pone una serie di aspettative particolari verso i membri di una fede, delegittimando così (intenzionalmente o meno) chi ha un’altra fede o chi non ne ha alcuna.
Trovare un ruolo positivo per l’Ebraismo
Alcuni diranno che una fede convinta nella propria religione non significa il disprezzo delle altre: controbatto dicendo che se uno davvero crede che la sua religione sia quella giusta, ne deriva necessariamente che le altre non lo sono, il che provoca elitismo e risentimento. L’alternativa è credere che la propria religione sia solo un’espressione della fede, e che le altre religioni siano altre espressioni di fede, legittime e vere allo stesso tempo. Però, seguendo questo ragionamento, perché dovrei impedirmi di mangiare formaggio dopo un hamburger, quando c’è un’altra religione che mi assolve da tale impegno e mi permette di continuare a credere in un significato, in un qualcosa di più grande?
Forse il punto più spinoso, guardando alla possibilità dell’Ebraismo di essere aperto ed inclusivo, è quello del matrimonio, se molti ebrei in tutto il mondo desiderano per i loro figli/figlie un coniuge ebreo, poco importa se osservante o meno. È dunque solo una questione di genetica dopotutto? Si tratta di razzismo, o c’è qualcosa di più?
La verità è che mi è difficile trovare delle risposte. Da una parte vedo un mondo assetato di significato, comprensione, tolleranza e pace, che credo fermamente si possano trovare nel pensiero religioso. Dall’altra parte, quando l’Ebraismo (e per estensione, tutte le religioni) che tanto mi è caro provoca divisione tra persone, comunità, paesi e continenti, diventa una forzatura sostenere il suo ruolo positivo.
A volte penso che forse il mondo si è evoluto appositamente per contenere queste divisioni ed è troppo tardi per cambiarle, altre volte desidero con tutte le mie forze un cambiamento repentino. Immagino che l’unico vero modo per conciliare queste emozioni sia considerare la religione come un’entità potente, un potere che può migliorare le vite, ma anche distruggerle se usato nel modo sbagliato. Se siamo abbastanza umili da capire che credere in D-o significa credere che D-o è di tutti, allora forse c’è speranza per un mondo nuovo, dove la religione è senza ombra di dubbio una cosa buona.
Ronni Gurwicz is a Public Speaking Coach and Ecosystem Sciences Student at Lund University, Sweden. He grew up in the UK and has lived and worked in various countries including Israel and the USA in the teaching, religious and environmental fields.
Ronni Gurwicz è un Public Speaking Coach e studente di Ecosystem Sciences all’Università di Lund in Svezia. È cresciuto nel Regno Unito e ha vissuto e lavorato in diversi paesi, tra cui Israele e USA nei campi dell’educazione, della religione e dell’ambiente.
Molto interessanti questi concetti, da approfondire…