Diritti umani
Cosa significa per una donna diventare rabbino?

Dell’uguaglianza, di ebraismo e dei diritti umani

Non so se la facoltà di diventare rabbino possa essere annoverata fra i diritti fondamentali dell’uomo (e della donna: in questo caso la precisazione è d’obbligo, per tutto ciò che seguirà). Quel che è certo è che nell’ebraismo tutto ciò che non è espressamente vietato è permesso e diventare rabbino non è proibito a una donna da alcuna fonte normativa ebraica ortodossa. Semplicemente, nessuno ci aveva pensato prima, così come a una donna fino a meno di cento anni fa non veniva in mente di essere presidente degli Stati Uniti, oppure poliziotta o primario ospedaliero, preside di facoltà e così via. E dunque, che cosa è cambiato? Semplicemente, le donne studiano, eccome, e chi studia sovente aspira a un titolo, a una certificazione. Non solo: il titolo e il ruolo di “rabbino”, nei secoli, ha significato cose molto diverse a seconda dei luoghi e dei tempi. Essere Rabbino significa aver compiuto un percorso di studi apposito, che può variare a seconda delle istituzioni e delle comunità, che lo renda capace di fornire risposte di natura normativa su tutto ciò che riguarda lo Shabbat e le Feste, la kashrut (norme alimentari), la purità familiare, ossia le norme riguardanti la separazione all’interno della coppia durante il periodo mestruale della donna, il bagno rituale che conclude questo periodo e – in generale – tutto ciò che regola la sfera sessuale. Inoltre, un Rabbino deve essere un Maestro, insegnare ai ragazzi e agli adulti, saper accompagnare le persone a lui affidate nei momenti delicati – gioiosi e tristi – della vita con saggezza ed empatia.

La voce femminile

Essere rabbino invece non significa necessariamente – equivoco spesso verificato – essere colui che officia le tefillot (preghiere) e la funzione liturgica in generale. A questo proposito la halkhà (normativa ebraica) è molto precisa e rigorosa. Il primo problema riguarda un principio fondamentale della halkhà: per poter compiere una mitzvà (precetto) per qualcun altro (cioè per esempio recitare una tefillà che faccia “uscire d’obbligo” chi ascolta anche se questi non la recita autonomamente) la persona incaricata deve avere un obbligo uguale o superiore a quello della persona che fa uscire d’obbligo. Essendo le donne esentate da tutti i precetti positivi che sono “causati dal tempo” (il mio obbligo di recitare la preghiera del mattino deriva dal fatto che è mattino, se non lo fosse, l’obbligo non sussisterebbe) una donna, in quanto non obbligata alla preghiera, che però può recitare se ne ha piacere, non può – con la sua preghiera pubblica – far uscire d’obbligo un uomo, che ad essa è invece obbligato, mentre può compiere la mitzvà a beneficio di altre donne. Vi è poi un secondo problema, più spinoso e faticoso da accettare nel 2018 quasi 2019: secondo le fonti rabbiniche (Talmud, Trattato Sotà) la voce della donna è nudità, come le parti del corpo che non deve mostrare ad altri che al proprio marito e come i capelli. Tralasciamo per questa volta di occuparci di questi ultimi due punti – altrettanto problematici – e concentriamoci sulla voce. La voce della donna è considerata, e non posso che concordare, strumento di seduzione. La vera domanda a questo punto è se essa sia necessariamente seduttiva o solo potenzialmente: una donna che svolge una tefillà pubblica, o che legge da un rotolo della Torà o di una Meghillà, sarà necessariamente distraente o si può decidere assieme – uomini e donne di una comunità dedita allo studio e alla preghiera – di non lasciarsi distrarre, ma solo condurre, magari affascinare, e godere in maniera positiva e costruttiva della piacevolezza di una voce bella?

Partnership minianim

Il sommo sacerdote del Tempio di Gerusalemme doveva essere “bello” e privo di difetti fisici, il re di Israele doveva essere “bello”, secondo la Bibbia. Perché la bellezza maschile è “utile”, mentre quella femminile è temuta? I Maestri della halakhà hanno stabilito che una donna che officia una preghiera sicuramente non utilizzerà la sua voce a fini seduttivi, che se la donna che canta è al di là della tradizionale mechitzà (separazione) e quindi non visibile agli uomini la voce non costituisce distrazione, e ancora che – poiché solitamente in una sinagoga il cantore conduce solamente la tefillà, ma tutta la congregazione canta assieme – non sussiste il “pericolo” di distinguere unicamente la voce di una donna. Con questi tre argomenti, in molte comunità anche ortodosse (moderne) nel mondo da più di dieci anni ormai, esistono e fioriscono i cosiddetti partenership minianim (comunità di preghiera egalitarie) in cui solitamente un uomo conduce la tefillà obbligatoria (per il problema illustrato sopra) mentre a una donna è affidata la conduzione di momenti non obbligatori ma di grande impatto emotivo, quali la kabalat Shabat (raccolta di Salmi e di altre composizioni poetiche che celebra festivamente l’entrata del Sabato) e altri momenti musicalmente appaganti. Per quel che riguarda la lettura della Torà il sabato mattina e in altri momenti, l’obbligo della lettura pubblica ricade unicamente laddove si trovi un minian – tradizionalmente, un gruppo di dieci maschi adulti: nel momento in cui una comunità stabilisce che i suoi membri sono invece uomini e donne assieme, automaticamente l’obbligo ricade anche su queste ultime e una donna può, con la sua lettura, compiere la mitzvà a beneficio di chiunque ascolti, anche di un uomo.

Dare il meglio di sé, un diritto inalienabile

È questa, io credo, una stazione di transito verso una più completa uguaglianza di ruoli fra donne e uomini nello spazio – tempo della preghiera e della lettura pubblica della Torà, ma è un passaggio fondamentale che può avvicinare sempre più donne allo studio e al canto.
Come si ricollega tutto ciò alla domanda sulle donne rabbino? Sono due questioni in realtà distinte, ma che vengono molto spesso poste in dialogo l’una con l’altra, poiché – soprattutto nelle comunità più piccole – capita spesso che il rabbino sia colui che conduce le preghiere e legge la Torà.
Alla luce di tutte queste riflessioni, i tempi sono maturi perché anche il mondo ortodosso inizi a formare e riconoscere donne rabbino. Questo sta succedendo da alcuni anni – principalmente in Israele e negli Stati Uniti – dove alcune donne hanno concordato un programma privato con rabbini leader della ortodossia moderna, hanno studiato e superato gli esami prescritti e sono state nominate rabbino a tutti gli effetti. Rav Landes, direttore della yeshiva mista (aperta a donne e uomini) Pardes Institute di Gerusalemme ha nominato nell’estate 2016 le prime otto donne rabbino, molte sue ex allieve e alcune anche insegnanti a Pardes. L’evento ha destato il prevedibile sconcerto nel mondo ebraico ortodosso e anche nella società “laica”, dove ancora, quandunque si parli di donna rabbino si riceve l’immancabile reazione: “Ah, ma.. Riformata?”. Intervistato a riguardo, Rav Landes ha dichiarato: “Molti anni fa, da giovane, ero contrario alle donne rabbino.. Perché … (pausa) non me lo ricordo più!”.
Il passo successivo è stato l’apertura da parte di due autorità dell’ortodossia moderna israeliana, Rav Daniel Sperber (Università di Bar Ilan) e Rav Herzl Hefter (Yeshiva University, Yeshivat Har Zion) del Beit Midrash (letteralmente: casa di studio) Har’El a Gerusalemme sud, un programma di studi “misto”, aperto a uomini e donne assieme, che accoglie ogni anno 15 studenti interessati alla ordinazione rabbinica (in ebraico semichà) a fronte di un programma intenso di studio tradizionale (Mishna, Talmud, Shulchan Aruch e tutte le fonti normative). Chi scrive è la prima donna iscritta dall’Italia, il percorso è appena iniziato, ma una cosa la può già dire: raggiungere i propri traguardi, poter essere nella posizione di aiutare il prossimo nel ruolo in cui si può dare il meglio di sé è indubbiamente un diritto umano fondamentale e inalienabile.

 

Miriam Camerini
collaboratrice
È nata a Gerusalemme la sera della festa ebraica di Purim (quando ci si maschera, ubriaca e fa del teatro) del 1983.

Regista teatrale, autrice, attrice, cantante e studiosa di ebraismo, si dedica all’allestimento di spettacoli teatrali e
musicali, festival e rassegne attorno e all’interno della cultura ebraica in Italia e nel mondo. Tra i suoi spettacoli: Il Processo
di Shamgorod, Golem, Un grembo due nazioni molte anime, Il Mare in valigia, Caffè Odessa, Chouchani, Messia e Rivoluzione, Miriàm e le altre.  Il suo ultimo libro Ricette e Precetti (Giuntina, 2019), illustrato da Jean Blanchaert, con prefazione di Paolo Rumiz e ricette di labna.it, racconta il rapporto intricato fra cibo e norme religiose ebraiche, cristiane e islamiche. Sta studiando per diventare rabbino alla scuola Har’El di Gerusalemme, una delle prime accademie rabbiniche ortodosse aperte anche alle donne.

 


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