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Da rampollo di famiglia chassidica ad attivista Trans – Intervista ad Abby Stein

Abby Stein si definisce una donna ebrea di esperienza trans. E spiega perché

Abby Stein, erede venticinquenne di una dinastia rabbinica chassidica, si definisce una donna ebrea di esperienza trans. Ha iniziato il processo di transizione nel 2015, tre anni dopo aver lasciato la sua comunità ultra-Ortodossa a New York. Padre divorziato con un figlio quando se n’è andata, parlava fluentemente lo yiddish, ma non ancora l’inglese.
Adesso studia scienze politiche e studi di genere alla Columbia University e sta lavorando a un’autobiografia. Da quando ha fatto coming out sul suo blog a Novembre del 2015 ha già tenuto più di cento presentazioni e conferenze, creato un gruppo Facebook di supporto per le persone transgender provenienti dalla comunità ultra-Ortodossa ed è stata nominata tra le 36 personalità under 36 dal New York Jewish Week due anni fa. 

Il tuo blog si chiama The Second Transition (la seconda transizione). La prima transizione ha reso più semplice la seconda?

Da un certo punto di vista, lasciare la comunità è stato molto più difficile, perché c’era un fattore ignoto maggiore. Conoscevo a malapena l’esistenza di Footsteps (organizzazione di New York che supporta le persone che stanno lasciando la comunità ultra-Ortodossa). Quando ho iniziato la mia transizione di genere, sapevo esattamento a cosa andavo incontro. Ma esistono ancora moltissime persone nel mondo laico – e con ciò intendo il mondo ebraico non ultra-Ortodosso – che odiano le persone trans, e quella è stata una sfida maggiore.

Abby Stein. FACEBOOK

Quali sono state le difficoltà maggiori nel lasciare la comunità chassidica?

La difficoltà era solo quella di sopravvivere, essere capace di vivere nel mondo esterno. Imparare come vestirsi, come parlare alle persone. Mi sono fatta il culo, come si dice, per imparare l’inglese.

Dove sei andata quando hai lasciato la comunità?

Non me ne sono andata da un giorno all’altro. Dopo che ho divorziato, sono tornata  dai miei genitori. Ho trovato un lavoro fuori dalla comunità e iniziato a prepararmi per il college. Solo una volta iniziato il college mi sono trasferita a Manhattan. Ma credo che unirmi a Footsteps nel 2012 sia stata la vera pietra miliare.

Come sei venuta a conoscenza di Footsteps, dato che non avevi facilmente accesso al mondo esterno?

Attraverso Israele, credeteci o no. Non parlavo ancora inglese, così partecipavo a dei forum online israeliani. Le persone mi hanno indirizzato verso Hillel, un’organizzazione in Israele simile a Footsteps, poi qualcuno di Hillel mi ha parlato di Footsteps.

Come navigavi online quando vivevi ancora nella comunità ultra-Ortodossa?

Sapevo dell’esistenza di Internet, perché la comunità lo combatteva. Sapevo dell’esistenza del Wi-Fi, perché la comunità lo combatteva. Conoscevo un amico che aveva un tablet, benché non potesse accedere a Internet. Un giorno ho trovato un bagno pubblico che aveva Wi-Fi e pochi giorni dopo mi sono comprata uno smartphone. Nessuno nella comunità ne era a conoscenza.

Cosa ti ha convinto a diventare un’attivista?

Ho aperto il mio blog nell’agosto del 2015 inizialmente anonimamente, e le persone mi contattavano per dirmi che avevano difficoltà simili. Non c’è nessuno della comunità chassidica che abbia fatto coming out e nessuno ne parla.
Ho postato il mio coming out alle 11 di sera dell’11 novembre 2015. Quando mi sono svegliata, aveva 20.000 visualizzazioni. Quella mattina qualcuno mi ha contattato dallo Yiddish Forward e chiesto un’intervista. Mi sono resa conto che potevo provare a rimanere completamente nella sfera privata, ma molto probabilmente non ce l’avrei fatta. Al contempo, accettandolo pubblicamente, potevo aiutare molte persone.

Sei in contatto con qualcuno della comunità precedente?

C’è anche qualcun altro che se n’è andato. Ci sono pure alcune persone che stanno per farlo, persone che hanno Internet per esempio.

Tra le persone che hanno lasciato la tua comunità, ce ne sono alcune che sono anche della comunità LGBT?

Footsteps ha una percentuale molto alta di persone LGBT, per il semplice motivo che le persone LGBT sono quelle che vengono spinte fuori.

Quanto influente è stato il tuo essere transgender nella scelta di lasciare la tua comunità?

Non me ne sono andata perché ero trans. Me ne sono andata perché ero arrivata al punto in cui non credevo più nello stile di vita della comunità. Ero in conflitto con l’identità, così ho iniziato a esplorare l’identità religiosa. Se non mi fossi trovata in conflitto con quello, è possibile che avrei iniziato più tardi a esplorare. Avrei potuto andarmene quando avevo 10 figli invece di uno solo.

Qual è il tuo messaggio per la comunità ultra-Ortodossa?

Non penso vogliano ascoltarmi; ad ogni modo dovrebbero sapere che le persone transgender esistono, che ignorarci non ci farà andare via e che molte persone sono in difficoltà.

Hai un messaggio per il resto della comunità?

Innanzitutto voglio dirvi grazie. Penso che il più grande supporto che ho ricevuto in questi anni è venuto dalla comunità ebraica. C’è ancora molto lavoro da fare e penso che il nostro scopo finale non sia solo quello di rendere visibili le persone LGBT, ma che le persone LGBT, e soprattutto quelle trans, siano completamente integrate. Credo che le persone trans rimangano sempre un passo indietro, perché è un cambio molto più visibile e le persone hanno problemi maggiori con questo.

Come descriveresti la tua identità ebraica adesso?

Non mi piace dare delle etichette al mio Ebraismo, ma sono molto vicina al movimento “Rinnovamento Ebraico”. Non mi definirei osservante, ma sono coinvolta culturalmente e spiritualmente con la vita ebraica. Ritengo che l’Ebraismo abbia un sacco di messaggi formidabili da trasmettere se siamo in grado di guardarli sotto una lente moderna.


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