Breve dialogo con l’autore e piccola recensione del libro “Non è facile essere ebreo. L’ebraismo spiegato ai non ebrei”
“Che cos’è un ebreo? È uno che quando gli racconti una storiella ebraica ti risponde che la sapeva già e te la ripete migliorandola”, scrive Riccardo Calimani nella nota di metodo introduttiva al suo libro Non è facile essere ebreo. L’ebraismo spiegato ai non ebrei, uscito per La nave di Teseo. Dunque, se siete ebrei lasciate perdere. In caso contrario, proseguite: sarà un viaggio tanto profondo quanto esilarante.
“Com’è noto” scrive poco più avanti, “in fisica esistono due approcci che vengono utilizzati efficacemente: o sei sulla riva del fiume e guardi passare la zattera, o sei sulla zattera e guardi scorrere la riva del fiume. Gli ebrei, nel corso dei secoli, sono sempre stati sulla zattera che passa sul fiume, ma sono convinti di essersi trovati anche sulla riva e di essere i migliori interpreti di quanto è accaduto“. L’essenza del problema è esattamente questa. E coerentemente a questo tratto irrisolvibile dell’ebraicità, Calimani avvisa: qui troverete l’analisi di alcuni concetti, informazioni storiche e religiose, ma nessuna risposta esaustiva, solo la visione personale di un ebreo italiano, né ashkenazita né sefardita.
Ad aprire la narrazione infatti è un episodio personale accaduto negli Stati Uniti, dove il commesso di un negozio capisce di avere a che fare con una coppia di ebrei e si svela in quanto correligionario, per chiedere un secondo dopo: “Ashkenaziti o sefarditi?”. “Italiani”, rispondono i nostri, gettando il commesso nello sconforto più totale. “Una parte degli ebrei italiani è arrivata da Israele dopo la caduta di Gerusalemme e si è stanziata fondamentalmente a Roma”, spiega Calimani, “Poi sono giunti quelli di origine greca e romaniota del Sacro romano impero e infine gli ebrei ashkenaziti e sefarditi. La mia famiglia probabilmente ha origini greche e si era stabilita a Lucca, è stata poi portata da Carlo Magno in Germania, sulle valli del Reno ed è raccontata dai hassidei (quindi ashkenaziti). In un libro si racconta che a causa della peste nera i Calonimos vennero cacciati, arrivarono in Italia e si stabilirono a Venezia nel 1500”.
Perché ha scritto questo libro?
“Lo dichiaro nel libro stesso: il mio editore, Ferrari, voleva un libro, con imperiosa cortesia, che fosse sintetico, serio, divertente e che spiegasse ai non ebrei chi sono gli ebrei. In effetti c’è molta ignoranza. Ha provato a chiedere cosa sia il Natale? La risposta è la nascita di Gesù. Quella è una data convenzionale, la festa è pagana e riguarda il sol invictus perché da quel momento le giornate cominciano ad allungarsi. Però guarda caso la festa di capodanno è esattamente 8 giorni dopo: è la circoncisione. Ma non basta. L’altro dato interessante è che per i non ebrei, gli ebrei sono tantissimi. Sergio Zavoli una volta disse che sono numerosissimi, intorno al milione. Beh, erano 40mila nel 1938!
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Mettere le persone davant ai numeri reali significa lasciarle esterrefatte. Ma la conosce quella legge della fisica per cui se ci sono tante palline bianche e una sola nera, la percezione è quella di vedere palline bianche e nere?”.
E per lei, cosa significa essere ebreo?
“Non smettere mai di interrogarsi, essere anti-idolatri in tutti i campi e guardare alla propria, lunga, singolare storia come causa della nostra inquietudine. Alla fine del libro cerco di rispondere a questa domanda, per concludere che non esiste una risposta univoca”.
Non senza ironia, naturalmente: “Essere ebrei?”, scrive sul finire del volume, “Secondo me significa avere un piede nel particolare e uno nell’universale, un piede sul pontile e uno sul vaporetto. Di solito, quando ci si trova in posizioni del genere, si finisce in acqua…”.
Breve recensione del libro “Non è facile essere ebreo” in cinque punti.
Intelligenza
Una storiella di poche parole, ma efficace quanto un trattato per sconfiggere il pregiudizio seondo cui gli ebrei sono tutti intelligenti: “Se ci sono quattro ebrei, ci sono sette partiti. Domanderete: perché non otto? Perché c’è sempre l’ebreo deficiente che ha un’idea politica sola”.
Il Talmud
Dopo una lunga spiegazione sul Tanak, sul Talmud e la Mishnah, Calimani riporta un’altra storiella per spiegare che cosa sia il metodo talmudico. O perlomeno quali sono i possibili effetti collaterali per chi intenda avvicinarsi a quello studio. In questo caso, un giovane studente disperato chiede aiuto per aver perso Dio. Si sente un miscredente, dice al rabbino. Il quale, senza scomporsi, risponde: “Quanto tempo è che studi il Talmud?”. “Cinque anni”, risponde il ragazzo. “Soltanto cinque anni? – incalza il rabbino – E pretendi già di essere un miscredente?”.
Il popolo eletto
Questione delle questioni, tema che suscita e ha suscitato innumerevoli discussioni, incomprensioni e una serie di pregiudizi alla base dell’antisemitismo. “Popolo eletto significa scelto (da Dio) per affidargli una grande responsabilità, quella di seguire le leggi del Signore, non una pretesa di superiorità, ma un senso del dovere”, scrive Calimani, ma poi aggiunge: “Sull’elezione e su Dio si può e si deve scherzare”. Le storielle sul tema abbondano, ma non possiamo esimerci dal citare Woody Allen: “Dio non esiste e… noi siamo il suo popolo”.
Le leggi di Noè
Sette i comandamenti che Dio, stando al Talmud, aveva impartito a Noè subito dopo il diluvio. Dunque, si assiste a una doppia rivelazione e a una tendenza universalistica della legge ebraica. In effetti queste sette leggi sono alla base di qualsiasi convivenza umana che non voglia scadere nella violenza: oltre ai divieti di idolatria e blasfemia, è vietato uccidere, sposarsi tra parrenti stretti, rubare, prelevare un membro di un animale vivente. E poi c’è un obbligo: istituire tribunali per amministrare la giustizia.
L’umorismo ebraico
Secondo Vladimir Jankélévitch, “l’umorismo pretende dall’uomo che egli si prenda gioco di sé per il fatto che l’idolo sbugiardato non viene sostituito da un altro idolo” E l’umorismo ebraico? Per il professor Avner Ziv di Tel Aviv, “è quello creato da ebrei, si riferisce per lo più a ebrei e riflette un aspetto della condizione ebraica” ma, semre secondo Ziv, ha la capacità di trasformare la realtà. E poi, è fondato sull’autoironia “che è anche una azione di autodifesa”, scrive Calimani, “Previene gli attacchi degli altri, perché chi scherza su se stesso lo sta facendo meglio degli altri”. Et voilà, il cerchio è chiuso: Cos’è un ebreo? abbiamo chiesto all’inizio, rispondendo che è qualcuno a cui non si possono raccontare le storielle ebraiche. Perché le conosce già e soprattutto, perché saprà raccontarle meglio…