Cultura
Feldenkrais, la disciplina della resilienza

Tra equilibrio, limite, esplorazione e sperimentazione. Conversazione con Valeria Bedon – insegnante di Feldenkrais – sul metodo che insegna a imparare da se stessi

Sulla persona di Moshe Feldenkrais ci sarebbe da scrivere libri interi (e non ne mancano, in effetti). Nasce in un piccolo paese della Russia nel 1904 e soltanto 14 anni dopo emigra nella Palestina mandataria per stabilirsi, con un gruppo di altri ragazzi, in un kibbutz. Si laurea in ingegneria in Germania e in fisica in Francia, dove si appassiona al judo (sarà la prima cintura nera del Paese), fino a quando subisce l’incidente che gli cambierà la vita. Si fa male a un ginocchio e al femore e sceglie di rimanere bloccato a letto per sei mesi. Sono sei mesi di sperimentazione su se stesso e di studio dell’anatomia, le basi di quello che diventerà il metodo Feldenkrais, un’educazione all’apprendimento attraverso il movimento. Ma attenzione: si impara a imparare da se stessi, dai propri limiti e dal proprio corpo. Si impara a usare il pensiero laterale, a considerare il reale come qualcosa che va continuamente interpretato, a far fronte alle situazioni di crisi per trovare strategie adatte a superarle. Un metodo quanto mai utile ai tempi che stiamo vivendo oggi. Ne abbiamo parlato con Valeria Bedon, insegnante di metodo Feldenkrais milanese, che dopo anni di lavoro da avvocato ha scelto di fare della sua passione la propria professione.

Comincio con una domanda che mi appassiona: possiamo definire il Feldenkrais come la disciplina della resilienza?
“Se resilienza è la capacità, a partire da un momento di crisi, di difficoltà, di riorganizzarsi in un modo nuovo per trovare una nuova stabilità in un ordine diverso, allora il Feldenkrais è esattamente questo. Moshe Feldenkrais ha usato il movimento come luogo privilegiato nel quale esercitare la possibilità di modificare e possibilmente uscire dai propri schemi abituali. Si tratta di esplorare il continuo dialogo tra stabilità e instabilità: il movimento in sé presuppone questo passaggio necessario. Anche solo nel camminare bisogna poter perdere per un momento la stabilità iniziale per ritrovarne una nuova nel passo successivo. Si tratta della disponibilità ad abbandonare una posizione confortevole, abituale, sicura, per scoprirne una nuova, magari migliore della precedente. Il Feldenkrais insegna quindi a considerare più possibilità: in quanti modi posso fare quel movimento? Così inizia un’esplorazione inedita, che consente di agire nel modo più libero e funzionale per se stessi. E questo ha molto a che fare con la resilienza. Col passare degli anni i movimenti tendono a ridursi, a ripetersi, a diventare più faticosi. Spesso insorgono, anche in assenza di specifiche patologie, sofferenze e impedimenti motori veri e propri. Si rende quindi necessario modificare questi schemi per adattarli alle nuove esigenze, il che è possibile esplorando diverse alternative”.

Come si insegna a uscire dal proprio schema abituale?
“Le lezioni sono strutturate come spunti per la sperimentazione, per insegnare agli allievi a rompere le abitudini. Non ci sono movimenti o figure, come nello yoga per esempio, che l’allievo deve ottenere in maniera performativa, infatti la stessa lezione va bene sia per un atleta sia per chi ha bisogno di una riabilitazione postoperatoria. L’obiettivo è farsi delle domande, sperimentare diverse vie per arrivare allo scopo che ci si pone attraverso un minore sforzo, una maggiore naturalezza, una modalità più comoda e piacevole. Si ritorna all’idea di resilienza perché è obiettivo del Feldenkrais rendere la casa che è il nostro corpo capace di seguirci nei movimenti che vogliamo fare senza, al contrario, che ci limiti, ostacolandoli. Questo genera un immediato benessere complessivo”.

Ecco, il concetto di limite sembra molto interessante, anche a confronto con le altre discipline sportive a cui forse siamo più abituati: superare il limite è di solito l’obiettivo di un allenamento.
“Dal limite origina la capacità creativa. Per riconoscere il limite bisogna attivare una capacità di ascolto molto profonda. Riconoscere il limite ci aiuta a rispettarlo”.

Perché?
“Riconoscere e rispettare il limite ci permette di trovare strade alternative per fare quello che vogliamo fare senza sentire ogni volta che non riusciamo a farlo. Il limite si supera non toccandolo, diversamente da quanto si fa in altre discipline che propongono di spingere, forzare per andare oltre. L’esperienza che offre il Feldenkrais è dunque quella di aumentare la capacità creativa intorno a un limite (dal limite funzionale a quello psicologico fino anche all’immagine che ognuno ha di se stesso), rispettandolo“.

Less is more?
“Nelle esplorazioni delle varie lezioni si impara non solo a togliere forza ma anche a ridurre i movimenti superflui, riportandosi a una condizione neutra. Pensiamo alla differenza di funzione tra scheletro e muscolo. Il muscolo origina il movimento, ma se si usa il muscolo per sostenere, compito che invece spetta allo scheletro, il movimento è difficoltoso. Il muscolo sa fare una cosa alla volta, dunque o sostiene o muove. Neutro non significa rilassato, anzi, è un modo per essere vigili e sempre pronti all’azione, perché la stabilità del corpo, affidata allo scheletro e alle leve gravitazionali, lascia i muscoli sempre liberi di attivarsi e portarci in qualunque direzione, in qualunque momento”.

Un’attitudine molto ebraica per la capacità di farsi domande su tutto…
“Molto ebraica, ma non molto occidentale! Le persone hanno bisogno di sicurezze, cercano qualcuno che dica loro come fare le cose. Il Feldenkrais lascia gli allievi spaesati quando nella lezione si rendono conto che tutti i modi in cui ognuno sta facendo quel movimento vanno potenzialmente bene. Quello che si impara a fare è affinare la capacità di ascolto perché ognuno capisca quale, tra tutte quelle lecite, sia la modalità più piacevole, la più conveniente, quella che gli consente di usare il corpo in modo integrato, affinando cioè la comprensione di quanto si stia mettendo a disposizione di se stessi in ogni singolo movimento. E qui si arriva a un aspetto nodale del Feldenkrais: imparare a imparare da se stessi. L’insegnante aiuta ad affinare le proprie capacità di ascolto, ma poi ogni allievo è insegnante di se stesso. In questo modo l’esperienza di nuovi schemi genera un cambiamento nel muoversi e nel pensarsi”.

Qual è lo strumento più importante nell’apprendimento? 
“Lo strumento più potente che gli allievi hanno a disposizione è l’attenzione. L’insegnante non insegna alle persone come muoversi, ma insegna loro a prestare attenzione a come fanno quello che fanno. Ogni persona interpreta costantemente la realtà per trovare la soluzione di movimento migliore, cioè la più piacevole e funzionale. I sensi sono il primo e l’ultimo insegnante di ogni individuo. L’apprendimento infatti non è di tipo imitativo, ma somatico, cioè attraverso l’esperienza del corpo e dei sensi”.

Abbiamo accennato alle lezioni, può spiegare come si svolgono?
“Ci sono due tecniche, le lezioni di gruppo e quelle individuali. Le lezioni di gruppo sono quelle in cui l’insegnante  conduce le persone a esplorare un movimento, una funzione attraverso istruzioni verbali. In quelle individuali, invece,  l’insegnante presta all’allievo la propria organizzazione motoria per accompagnarlo nelle esplorazioni dei diversi movimenti e fuzioni. La logica è la stessa: in un caso si conduce il gruppo con le parole, nell’altro con le mani, ma l’allievo fa lo stesso tipo di esperienza“.

Tirando le fila delle diverse definizioni che abbiamo provato a dare di questo metodo allora potrei azzardare una sintesi: il Feldenkreis è una pratica filosofica che sviluppa la resilienza attraverso un approccio ermeneutico che si basa sulla capacità di apprendimento. Corretto?
“Il nucleo è la capacità di apprendimento. Feldenkrais infatti diceva che quella è una capacità che non si perde mai, solo con la morte. Apprendere dunque significa essere vivi. Ogni gesto non sarà mai uguale a un altro, ogni movimento può essere espanso, migliorato, perlustrato, modificato… Più si affinano le capacità di cogliere le differenze, più si diventa capaci di tenere compagnia a se stessi“.

 

Valeria Bedon insegna in vari luoghi tra cui Get Fit a Milano, che ha pubblicato su youtube una lezione a distanza. Da guardare e sperimentare

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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