Hebraica
Giosuè e il tempo sospeso: quando il sole e la luna si fermarono

Storia di un miracolo (o forse erano tre?) dalla Bibbia a Melville

 

Sette furono le meraviglie senza pari nel mondo dal giorno in cui furono creati il cielo e la terra […] la sesta meraviglia fu l’arresto del sole a Ghivon.

Così i Pirkè di rabbi Eliezer evocano l’episodio straordinario raccontato nel libro di Giosuè nel contesto della guerra contro i re amorrei. Si tratta a prima vista di un miracolo che altera i fondamenti stessi della creazione. Giosuè chiede infatti a Dio di fermare il sole e la luna fino a quando i nemici non saranno sconfitti. “Sole, fermati su Ghivon e tu, luna, sulla valle di Ajalon”. E subito, riporta il testo biblico, sole e luna si arrestano, “rimase il sole nel mezzo del cielo e non si affrettò a tramontare quasi per un giorno intero. Mai né prima né dopo si è dato un giorno simile a quello, nel quale il Signore abbia ascoltato la voce di un uomo, poiché il Signore combatteva per Israele”.

Un midrash contenuto nella raccolta Bereshit rabbà riprende l’episodio di Giosuè che ferma sole e luna, i due grandi luminari che dominano dall’alto il mondo dal quarto giorno della creazione. Vediamo qui Giosuè che non si separa mai da un libro, il Deuteronomio, il cui testo contenente le precise indicazioni di Mosè il condottiero rende pubblico facendolo addirittura riprodurre sui propri vessilli, in modo che l’intero popolo lo abbia continuamente di fronte agli occhi. E infatti quando, subito prima della battaglia contro gli amorrei, Dio si rivela a Giosuè, lo trova assorto nella lettura. Allora Giosuè mostra il libro al sole esclamando: “Poiché io non mi sono fermato con questo, così tu fermati di fronte a me”. E il sole si fermò.

Nel trattato Taanit del Talmud si legge invece il racconto di rabbi Nakdimon che con la preghiera provoca uno squarcio nelle nuvole attraverso cui si manifesta il sole, che non è ancora tramontato. Il testo aggiunge che secondo i maestri il sole ha brillato a un’ora insolita per tre uomini soltanto: Mosè, Giosuè e appunto Nakdimon ben Gurion. Un terzo midrash racconta che la battaglia si svolse di venerdì. Stava ormai scendendo la sera, e con essa lo Shabbat, e la vittoria appariva ancora lontana; allora Giosuè, temendo di profanare la festa e non potendo d’altra parte interrompere la battaglia si rivolge a Dio e sole, luna e stelle si fermano fino alla vittoria finale. Il sole da principio rifiuta di obbedire, sostenendo di essere stato creato due giorni prima dell’uomo e di non meritare quindi di porsi al suo servizio. Giosuè risponde che cielo e terra, pur creati prima, sono stati messi da Dio al servizio di Abramo, e aggiunge che il sole stesso si prostrò nel sogno di fronte a Giuseppe nel racconto di Genesi. E il sole: se io taccio chi esalterà il Signore? Tu taci, ribatte Giosuè, sarò io a intonare un canto di lode. E così si mette a cantare.

Il Talmud espone un’articolata discussione tra rabbini a proposito di quante ore il sole rimase fermo su Ghivon durante la battaglia. Ma è nel medioevo che assistiamo a una vera e propria disputa della durata di circa quattro secoli tra rabbini, nella maggior parte dei casi imbevuti di studi filosofici, a proposito dell’episodio. La disputa diventa presto confronto serrato con i contemporanei ma anche dialogo a distanza con chi ha già affrontato la questione in passato e non di rado tracima in polemica. Contrappone razionalisti e antirazionalisti, ma produce di fatto anche una pluralità di posizioni intermedie originali. Ci si chiede, tra le altre cose, se l’evento raccontato nel libro di Giosuè sia stato un miracolo superiore a quelli attribuiti a Mosè, se sia stato o no pubblico, se soprattutto vada riconosciuto come prodigio che sospende le leggi della creazione oppure come semplice fenomeno naturale. Ci si interroga sul rapporto tra il fatto e il racconto del fatto, sul valore letterale e allegorico della scrittura biblica, sulla percezione umana di fatti a prima vista inspiegabili.

Alcune voci tra le molte che emergono. Moshe ibn Giqatilla ritiene impossibile l’infrazione del moto eterno dei luminari, stabilito una volta per sempre da Dio al momento della creazione. Se alla creazione divina va riconosciuto il carattere della perfezione, non è possibile pensare che Dio abbia voluto sostituire, anche temporaneamente, a qualcosa di perfetto qualcos’altro di imperfetto o comunque meno perfetto. Il sole dunque non si arrestò, fu invece la sua ombra a non scendere sulla terra affinché le ore di luce venissero prolungate. Moshe ibn Balam risponde criticando la posizione di Giqatilla perché in contraddizione con il significato letterale del libro di Giosuè. Per Shemuel ben Chofni Gaon non va posto alcun limite alla potenza di Dio e di conseguenza nulla, neanche l’ordinamento della creazione, gli impedisce di intervenire con eventi miracolosi. Vediamo così il principio dell’onnipotenza contrapposto a quello della completezza e perfezione dell’opera divina, cioè della creazione.

Per Avraham ibn Ezra “non si dovrà considerare problematico l’arresto del sole”, fatto questo che non sarebbe in contraddizione con la predeterminazione, dal momento della creazione, delle leggi naturali. Il commento di Ibn Ezra però rimane ambiguo. Il significato secondo Dov Schwartz è forse che il miracolo sia effettivamente avvenuto, ma che sia stato temporaneo e non avrebbe infranto le leggi della natura. Ma è possibile che Ibn Ezra consideri al contrario l’evento spiegabile solo sul piano psicologico – il miracolo sarebbe stato tale agli occhi dei combattenti – o addirittura che il testo esprima in modo poetico l’intervento divino a favore dell’esercito di Israele. Da parte sua Maimonide sottolinea come soltanto Mosè abbia operato miracoli con una dimensione pubblica, mentre ai miracoli degli altri profeti avrebbero assistito soltanto poche persone. Ma anche i passi di Maimonide sull’episodio di Ghivon, come quelli di Ibn Ezra, sono interpretabili in più direzioni. Ed è esattamente quello che succederà dopo la morte del filosofo andaluso, diventando terreno di scontro tra razionalisti e conservatori.

Ad accendere la miccia che porta alla fase più calda del confronto è Gersonide con una spiegazione intellettuale radicale semplice e chiara: il sole non si fermò e il miracolo fu tale esclusivamente nella percezione degli uomini presenti. Tra gli argomenti utilizzati dal filosofo, quello secondo cui il moto dei corpi celesti, ordinato sulla base di principi naturali, non può essere modificato; inoltre non c’era alcun motivo perché il sole si arrestasse, e le conseguenze negative per la vita sulla terra di un fatto simile avrebbero superato di gran lunga quelle positive per Giosuè. Nella stessa direzione si pone Shlomo Franco, secondo cui Dio non muta il suo operato e se avesse fermato il moto del sole anche solo per un istante l’universo intero sarebbe stato annientato. Al contrario, sembrò ai combattenti impegnati nel duro scontro che il sole si fermasse fino allo spuntare della luna mentre continuava a muoversi. La rapidità con cui Giosuè sconfigge gli amorrei avrebbe infine favorito l’affermarsi della spiegazione miracolosa. Bollate come “vanità” da Shemtov ibn Mayor, le posizioni di Franco subiscono l’offensiva di Avraham Al-Tabib. Quest’ultimo ribadisce la natura miracolosa dell’evento, aggiungendo però che soltanto una sfera celeste, il primo mobile, sarebbe rimasta ferma mentre le altre sfere avrebbero continuato il proprio regolare movimento. Al-Tabib, in altre parole, sembra voler ridurre al minimo il danno fatto agli ordinamenti prestabiliti del mondo celeste ma non è disposto a rinunciare alla dimensione prodigiosa. Questa almeno l’interpretazione della sua lettura nella risposta di Franco, il quale ribadisce che “la cessazione del movimento di qualsiasi sfera è contro natura: se anche la più piccola di esse interrompesse il suo corso, sarebbe come se si fermassero tutte”. Per Ezra ben Shlomo Gattigno vi fu un’eclisse di sole che fece pensare alla maggior parte del popolo di Israele, ma non a Giosuè e ad alcuni suoi compagni, che il sole fosse tramontato. Yosef ben Eliezer, che preferisce alla spiegazione fisica di Gattigno un’interpretazione di ordine psicologico, sostiene che la battaglia durò ventiquattr’ore e fu tanto intensa da provocare nei combattenti l’impressione che il sole non fosse mai tramontato. Secondo il radicale Yosef ibn Caspi, infine, l’evento ha portata allegorica e alla scrittura divina va riconosciuto un significato duplice: la massa ne afferra il solo significato letterale, mentre i dotti capiranno che l’evento fu perfettamente naturale. La sua descrizione come miracolo è quindi frutto di immaginazione.

Numerosi commentatori si rivolsero ai passi di Ibn Ezra e soprattutto Maimonide per cercare di sostenere o attaccare le posizioni di Gersonide, Franco e dei razionalisti. Tra le opinioni intermedie merita menzione quella di Shemuel di Carcassonne, secondo cui l’aumento di luce solare e lunare conseguente al miracolo si riferisce a una luce non reale ma apparsa soltanto ai presenti a Ghivon in quel preciso momento. Per Asher Crescas e altri avversari del razionalismo invece il sole si fermò effettivamente. Alla corrente antirazionalista aderisce anche Yitzhak Arama, che lamenta le numerose interpretazioni che piegano il commento di Maimonide e lo stesso testo biblico e ne adduce a motivo il concetto di creatura infima e spregevole che dell’uomo si farebbero quei presunti saggi che negano il miracolo in nome della superiorità intangibile del mondo celeste. Anche per Shemtov ben Shemtov la causa dello sviluppo di empie tendenze intellettuali tra i pensatori ebrei va individuata nell’uso fatto dei commenti di Ibn Ezra e Maimonide, piegati al pensiero razionalistico che non accetta di arrestarsi di fronte al miracolo. Shemtov, risponde il razionalista Moshe Al-Ashkar, “vanifica la verità e si inventa parole che non sarebbero neppure passate per la mente al nostro grande maestro” Maimonide. E così via, in una lunga disputa senza esclusione di colpi che coinvolge decine di rabbini e filosofi. Va notato tuttavia che Arama e Shemtov rivendicano a sé Maimonide contro le letture intellettuali che ne vengono fatte. Diversamente, l’autorevole conservatore Yitzhak Abravanel imputa proprio a Maimonide l’origine di quella che a suo dire è la deriva razionalista. Mentre nello schieramento conservatore alcuni avevano cercato di ridurre le distanze – Crescas, per esempio, parla sì di un prodigio, dalla durata però di non più di mezzora – proprio Abravanel interviene con decisione sottolineando che qualunque cambiamento dell’ordine stabilito della legge naturale è possibile per la volontà divina e che quindi la questione va risolta esclusivamente sulla base del significato letterale della scrittura, secondo la quale “si trattò di una cessazione vera e propria del moto e non di un ritardo”. Nella maggior parte dei casi però gli stessi conservatori non si arrestano alla lettera del testo, come indicato da Abravanel. Per esempio secondo anonimi autori citati da Shemuel ibn Tzartza i miracoli sarebbero due distinti, riguardanti il sole – rimasto immobile nel cielo per un giorno intero – e la luna. E per Yaakov Siqili addirittura tre: l’arresto della sfera del sole, quello della sfera della luna e quello della sfera della parte di cielo che abbraccia tutto, ciascuna delle quali dotata di moto circolare e orbita propri.

Uno, due, tre, quanti miracoli? L’episodio di Giosuè che ferma il sole non perde importanza con la fine del medioevo. Al contrario, gode di nuova centralità nel Seicento, quando viene impugnato dai detrattori della teoria astronomica eliocentrica diffusa sulla scorta dell’opera di Copernico per cercare di stabilire la contraddizione tra scienza moderna e Bibbia a tutto svantaggio della prima. L’arresto prodigioso, infatti, non indica forse che, di norma, il sole si muove intorno alla terra e non viceversa? Esaurita anche la disputa sull’eliocentrismo, il sole di Giosuè rimane un riferimento nelle arti figurative, nella letteratura, nella poesia. In Clarel, particolarissimo e negletto viaggio poetico nella Palestina ottomana, Herman Melville scrive: “Behold, the sun / stands still no more in Ajalon / […] and if He do? / (And that He may, the Scripture says)”. “Vedi: ormai il sole non si ferma più immobile sopra Ajalon […] E se Dio così facesse? La scrittura dice che lo potrebbe”. Forse il tempo dei miracoli si è esaurito, almeno per Melville. Quello delle discussioni, invece, continua.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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