In Kikar ha Chatufim, “Piazza degli ostaggi”, per la prima volta nella storia del popolo ebraico si sono accese 138 candele. Ecco cosa fa Israele per la festività in un momento così difficile
Ieri in Israele, e in tutto il mondo, si è accesa la prima candela di Hanukkah.
Ma a Tel Aviv, in Kikar ha Chatufim, “Piazza degli ostaggi”, per la prima volta nella storia del popolo ebraico se ne sono accese 138, come quelle degli ostaggi ancora a Gaza e delle loro famiglie che, da oltre due mesi, sono accampati in questa piazza per far sentire la loro voce al mondo. Anche ieri, cantando assieme all’unisono la Tikva, nella “speranza”, come dice la parola dell’inno nazionale, che, presto, si compia il miracolo di Hanukkah e possano tornare tutti a casa.
Quest’anno, dunque, tra famiglie spezzate e soldati al fronte, sarà una Hanukkah diverso da tutti gli altri. Quella che di solito viene celebrata come una delle festività più gioiose, spesso associata anche ad attività per grandi e piccini, prevede lo svolgimento di tutte le attività “in sordina” e, pur se nel ricordo di Hanukkah e del grande sforzo dei Maccabei nella lotta contro i Seleucidi, la maggior parte di queste verranno dedicate ai soldati al fronte e ai civili che aspettano di tornare a casa, inclusi tutti gli sfollati dei kibbutz, ridotti a ferro e fuoco da Hamas, che ancora non sanno se e quando vi ritorneranno.
Per questo la Nassima Landau Art Foundation, nel corso della settimana di Hanukkah, ha organizzato una mostra speciale Spectrum of Lights: una raccolta fondi unica nel suo genere con alcuni degli artisti più conosciuti dell’arte israeliana contemporanea, che esporranno il loro lavoro, dopo numerose cancellazioni all’estero, e il cui ricavato dalle vendite delle opere andrà a sostenere la ricostruzione della Galleria di Arte Contemporanea del Kibuutz Be’eri.
I 25 artisti selezionati dalla prestigiosa galleria di Tel Aviv rappresentano una vasta gamma di identità etniche, religiose e di genere, sottolineando il potere dell’arte e la sua capacità di presentare una prospettiva diversa. Tra questi spiccano i nomi di David Adika, Miriam Cabessa, Aram Gershuni, Nir Hod, Sigalit Landau, Karam Natour, Adi Nes, Gideon Rubin.
Anche a Gerusalemme, pur se in modo ridotto, non si è voluto rinunciare alla Jerusalem Jewish Film Week, atteso appuntamento internazionale, organizzato ogni anno proprio in concomitanza di Hanukkah. A causa del conflitto in corso, e alla difficoltà di viaggiare in giorno come questi, il Festival ha, in parte, ridotto e rivisto il suo programma, dedicando una particolare attenzione sull’identità e la cultura ebraica come forma di resistenza.
Sono, dunque, 30 i film provenienti da 15 paesi diversi e il programma continua a prevedere incontri e dibattiti con registi e attori provenienti da Israele e dall’estero.
Il Festival inaugura sabato 9 dicembre 2023 alle 19:30 presso la Jerusalem Cinematheque e all’evento parteciperanno anche numerosi ambasciatori che in questi mesi sono stati accanto a Israele nei giorni più bui. In questa occasione verrà proiettato il film One Life, diretto da James Hawes, che racconta la storia di Sir Nicholas Winton – interpretato dal premio Oscar Anthony Hopkins – un nobile britannico che orchestrò il salvataggio di 669 bambini dal terrore dei nazisti allo scoppio della Seconda guerra mondiale e li aiutò segretamente a trovare nuove famiglie.
Secondo il quotidiano Haaretz questo è sicuramente uno tra i sette film da non perdersi.
Tra gli altri sono stati raccomandati: The Zone of Interest, di Jonathan Glazer, in cui uno dei comandanti di Auschwitz, Rudolf Höss, assieme alla moglie Hedwig, cerca di costruire una vita “perfetta” in una casa a ridosso del campo di sterminio; Occupied City, di Steve McQueen, pellicola in cui il passato si scontra con il presente in un’indagine sull’occupazione nazista di Amsterdam: un viaggio dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi e una riflessione sul ruolo fondamentale della memoria; Resistance – They Fought Back, di Paula Apsell e Kirk Wolfinger, racconta la storia in gran parte sconosciuta e incredibilmente coraggiosa della resistenza ebraica durante l’Olocausto; The Goldman Case, di Cédric Kahn, descrive, invece, la cronaca del processo contro Pierre Goldman, un attivista francese che negli anni Settanta viene condannato per diverse rapine e misteriosamente assassinato a causa del coinvolgimento dell’antisemitismo e della corruzione della polizia francese; Burning Off the Page, di Eli Gorn, un documentario dedicato a Celia Dropkin, poetessa russo-americana del XX secolo che offre uno spaccato affascinante della cultura yiddish di New York negli anni ’20 e infine Hope Without Boundaries, documentario di Itay Vered, che descrive come, fin dai primi giorni della guerra in Ucraina, sia stato creato un ospedale da campo israeliano per fornire assistenza medica alle persone colpite dal conflitto.
La resilienza di Israele e del popolo ebraico, dunque, cerca, nonostante questi giorni bui, di guerra e dolore, di continuare a brillare tra le luci di Hanukkah.
Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.