Cultura
Ho Feng Shan, il console che disubbidì a Hitler

Storia dello “Schindler Cinese” che, nella Vienna appena annessa alla Germania, salvò la vita a circa 20mila persone

Ho Feng Shan, Diplomatico e Giusto tra le Nazioni 1901-1997.
Dice così la prima targa mai dedicata a un cinese a Milano, che da un paio d’anni segnala una piazzetta all’incrocio tra via Paolo Sarpi e via Lomazzo, al centro della Chinatown meneghina.

Queste righe riassumono il merito ma non la toccante storia di un uomo conosciuto come lo “Schindler cinese”, la cui vicenda pur cominciando a diffondersi è ancora ignota a molti.
Ho Feng Shan nasce il 10 settembre 1901 in un contesto di povertà economica e affettiva; orfano di padre, viene accolto insieme alla sua famiglia dalla Missione Luterana Norvegese, che finanzia i suoi studi e indirizza la sua formazione verso il confucianesimo e le arti liberali.
Dal timido ragazzino della contea di Yiyang, sboccia un giovane dal carattere forte, a tratti irascibile ma straordinariamente umano e dotato di un ingegno fuori dal comune, che per la sua spiccata attitudine per le lingue straniere viene presto richiesto dal corpo diplomatico della Cina nazionalista.
Di lì alla prima promozione importante il passo è breve: nella primavera del 1937, Ho viene inviato con l’incarico di Primo Segretario presso l’ambasciata cinese a Vienna.
Grazie alla perfetta conoscenza dell’inglese e del tedesco, il giovane uomo si inserisce agilmente tra le maglie della vita culturale della città, frequentando i salotti degli intellettuali più in vista, molti dei quali sono ebrei.
A Vienna la Comunità ebraica, al tempo una delle più grandi e numerose d’Europa, vanta figure e personaggi di rilievo tra intellettuali, letterati, medici, professori, scienziati e artisti, perfettamente integrati nell’economia e nel tessuto sociale della capitale austrica. Una situazione idilliaca destinata a durare ancora per poco.
Quattro anni prima, nel gennaio del 1933, Hitler viene nominato cancelliere e lo Stato Nazista diventa rapidamente un regime totalitario, che cancella con un colpo di spugna la Repubblica di Weimar e la democrazia parlamentare. L’obiettivo è quello di conquistare il consenso popolare facendo leva sulla frustrazione e il disagio, e accusando gli ebrei di essere la causa principale dei problemi economici e sociali della nazione, oltre che di contaminare la purezza ariana.

Poco dopo il suo insediamento presso l’Ambasciata cinese di Vienna, Ho Feng Shan assiste all’Anschluss, l’annessione dell’Austria allo Stato tedesco. Il sogno di formare la “Grande Germania” ha diversi obiettivi da raggiungere, e le vittime sacrificali sono proprio gli ebrei, che vengono privati anche qui dei benefici della cittadinanza tedesca e austriaca.
La violenta ondata di antisemitismo travolge in brevissimo tempo tutto il paese gettando la Comunità Ebraica nella disperazione e nel terrore.
185.000 ebrei sono costretti a lasciare le loro certezze per una via di fuga quasi ignota, veloce e disperata, e sempre più difficile da raggiungere, resa ancora più turbolenta dal drammatico esito della Conferenza di Evian nel luglio 1938.
Fortemente voluto da Frankin Roosvelt, quello che si apre come un incontro internazionale sull’emergenza rifugiati e che riguarda soprattutto la spartizione degli ebrei della Germania e dell’Austria, si trasforma per migliaia di persone in una condanna definitiva: le delegazioni ufficiali di 32 stati liberi e democratici aderenti alla Società delle Nazioni, davanti all’opportunità di accogliere, decidono di respingere, confermando o addirittura inasprendo le quote e le restrizioni sull’immigrazione già in atto.
La domanda per il rilascio passaporti diventa isterica subito dopo la Notte dei Cristalli, tra il 9 e il 10 novembre del 1938. D’ora in avanti chiunque sogni di lasciare l’Austria deve esibire un visto o un biglietto per una nave diretta in un altro paese.
Per migliaia di ebrei l’unica mèta possibile è il viaggio di sola andata verso i campi di concentramento. Chi resiste si accalca in fila, urla, batte i pugni disperato alle porte dei consolati della città, sempre più indifferenti e sordi alle grida d’aiuto di uomini e donne che si accalcano fuori dai cancelli insieme alle loro speranze.
Con la chiusura delle ambasciate straniere in tutto il Paese, quello di ottenere i permessi di transito e quelli di ingresso nei paesi di accoglienza diventa l’unica alternativa alla deportazione.
Dal suo superiore a Berlino anche il trentottenne Ho riceve chiare disposizioni: l’ordine è di chiudere l’Ambasciata, di mettersi a capo di un nuovo Consolato Generale Cinese e attenersi alle regole in merito alla questione dell’emigrazione ebraica. Non c’è spazio per l’umanità, l’unica cosa che conta è di mantenere quanto più pacifiche le delicate relazioni con la Germania di Hitler, alleata dell’invasore giapponese.
A differenza degli altri diplomatici, tra il 1938 e il 1939 Ho rifiuta di diventare complice dello Stato nazista e all’interno del suo ufficio, affiancato unicamente dal suo fedele segretario, inizia una corsa disperata contro il tempo per salvare ogni singola vita che il destino e la fortuna incrociano con la sua.
Il Console sfrutta la sua posizione per rilasciare migliaia di passaporti e visti cinesi per Shanghai, con un ardore e una dedizione frenetica ed estenuante, che lo impegnano di giorno e di notte, senza sosta.
Rischiando la carriera e la sua stessa vita, Ho Feng Shan disobbedisce ai numerosi richiami e ammonizioni che giungono da Berlino; qualcuno infatti denuncia l’operato del diplomatico ai suoi superiori, accusandolo di speculare sul rilascio dei visti.
Nel 1939 il consolato cinese viene confiscato dai nazisti e una nota di demerito viene iscritta nel fascicolo personale di Ho. Ma neanche questo ferma il diplomatico cinese, che continua imperterrito la sua corsa contro il tempo: dall’interno di un monolocale affittato a sue spese produce e firma più di 300 visti al giorno.

Intere famiglie raggiungono la Palestina, Cuba, le Filippine e l’Unione Sovietica, l’Australia, il Portogallo, il Nord e Sud America.
Per andarsene dall’Austria non è rilevante dichiarare la destinazione. L’unica cosa che conta è avere in tasca l’ambìto lasciapassare che porti il più lontano possibile dai convogli che corrono stipati di anime e disperazione lungo i binari della morte.

“Ho lavorato segretamente con diverse organizzazioni religiose e di beneficenza americane, e ho fatto tutto il possibile per aiutare gli ebrei austriaci, ma non so quanti sono stati salvati”.

Nell’estate del 2000, il sociologo americano Hillel Levine scopre una lista stilata da Feng Shan nell’archivio del Ministero degli Esteri cinese a Taipei, dove figurano 2.139 nomi di ebrei per lo più polacchi che tra il maggio del 1938 e l’aprile 1940 ottengono da lui i visti di transito.
Essendo sufficiente un solo visto per famiglia, e considerato che oltre 18.000 ebrei europei arrivano quell’anno a Shanghai, il numero dei salvati potrebbe aggirarsi intorno alle ventimila persone.
Ventimila innocenti sottratti alla satanica soluzione finale da un uomo solo e dalla sua coscienza.

Con l’inizio del conflitto, il 10 settembre del 1940 il console è costretto a lasciare la capitale austriaca. Fino a poco prima di salire sul treno per Berlino, Ho si sbriga a firmare gli ultimi visti e dona i suoi timbri ai fuggitivi.
Nel 1942 si trasferisce a Bucarest con la sua famiglia mentre a Vienna la comunità Ebraica viene ufficialmente sciolta.
Finita la guerra, Ho Feng Shan decide di trasferirsi a Taiwan, crogiuolo del Nazionalismo Cinese. Sarà questa scelta la sua disobbedienza più grande, quella per cui ancora oggi la Cina considera l’uomo un traditore piuttosto che un eroe.
Nel 1973 Ho si trasferisce a San Francisco, dove scrive le sue memorie in un libro intitolato Quarant’anni della mia vita diplomatica, in cui dedica a malapena dieci pagine per descrivere con grande umiltà le sue eroiche gesta nei confronti di migliaia di ebrei.
Solo nei mesi precedenti alla sua morte, racconta tutti i dettagli alla moglie, lasciandole l’eredità morale di quegli anni terribili.

“…vedendo il tragico destino degli Ebrei è naturale provare profonda compassione e, dal punto di vista dell’umanità, sentirsi in dovere di aiutarli” scrive Feng Shan.

Ho Feng Shan muore nella sua casa il 28 settembre 1997 all’età di 96 anni.

Qualche anno prima, il 4 marzo del 1994 esce il film di Stephen Spielberg Schindler’s List basato sulla storia dell’industriale tedesco che salva migliaia di ebrei dal loro tragico destino.
Sull’onda di questo straordinario successo mondiale, tra la Cina e Hong Kong qualcuno inizia ad interessarsi allo Schindler cinese, e presto si accendono i riflettori anche sulla storia dimenticata di Ho che viene calorosamente supportata dalle prove fornite da ebrei di tutto il mondo, sopravvissuti grazie al suo aiuto.
Il meritato lieto fine arriva nel 2000, quando Yad Va Shem inserisce il coraggioso e “disobbediente” diplomatico cinese tra coloro che rischiarono la loro vita per aiutare gli ebrei durante la Shoah e conferisce a Ho Feng Shan il titolo di Giusto tra le Nazioni.

Irit Levy
collaboratrice

Nata e cresciuta a Milano, si stabilisce a Roma dopo gli studi.
Copywriter di formazione, entra nel 2010 come Responsabile dell’Ufficio Eventi e Comunicazione del Museo Ebraico della capitale. Nel 2017 fonda Jewish Life Experience, una rete di servizi orientati ai kosher travellers a Roma e in Italia. Scrive per passione, ama raccontare le storie straordinarie della gente comune.


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