Israele
Il 7 ottobre di Sofie Berzon MacKie, curatrice d’arte a Be’eri

Sofie e la sua famiglia si sono salvati, ma a Be’eri oltre cento persone sono state uccise dai terroristi di Hamas. “Credo nella resilienza della gente di Be’eri, che come ha saputo costruire il kibbutz, troverà la forza per ricostruirlo”

Venerdì 6 ottobre Sofie Berzon MacKie, curatrice di “HaGaleria”, la galleria di arte contemporanea collocata presso il Kibbutz Be’eri, era andata a dormire presto perché l’indomani si aspettava una lunga giornata di lavoro. Sabato era l’ultimo giorno della settimana di Sukkot e si aspettava che, approfittando delle vacanze, molti visitatori si sarebbero recati alla mostra in corso presso la galleria: “Shadow of a Passing Bird”, della fotografa Osnat Ben Dov. Fino alle 6 e 30 del mattino del giorno seguente quando ancora una volta, come succede ormai dal 2008, una raffica di missili provenienti dalla Striscia colpiscono la zona dei kibbutz vicino a Gaza, dove i suoi genitori si erano trasferiti dall’Inghilterra quando lei aveva 7 anni.

Oggi Sofie ha 39 anni, è madre di tre bambini, a loro volta abituati ai bombardamenti e ai 15 secondi esatti per entrare nel rifugio antimissili. Quel giorno, però, fin da subito, si era capito che non si trattava del solito attacco missilistico. Già pochi minuti prima delle 7.00, infatti, il sistema di messaggistica del kibbutz aveva iniziato a segnalare che alcuni uomini armati erano stati visti camminare tra le abitazioni.

Minuto dopo minuto i messaggi non facevano che aumentare: i terroristi stavano facendo irruzione nelle case e sparavano sulla gente. Dopo ore rinchiusi nel “mamad”, Sofie ha pubblicato sulla sua pagina di Facebook: “Se mi dovesse succedere qualcosa, sappiate che avuto una vita meravigliosa. Ho amato molto e avuto molte benedizioni”. Dopo 18 ore chiusi a chiave, quando ormai avevano perso ogni speranza, alle 4.00 del mattino è arrivato l’esercito a salvarli.

Lei e la sua famiglia sono alcuni dei miracolati: più di 108 persone hanno perso la vita a Be’eri e la maggior parte delle abitazioni sono state completamente distrutte. Inclusa la galleria, la sua biblioteca, il suo archivio e l’intera mostra che era in esposizione in quei giorni: tutto bruciato dai terroristi di Hamas. Situata in una capanna di legno, parte di una struttura storica del kibbutz, la galleria è stata rasa al suolo insieme a tutto il suo contenuto, lasciando dietro di sé solo resti carbonizzati, compresa la mostra fotografica di Osnat Ben Dov, ridotta in cenere. Quel sabato Osnat non è mai giunta a Be’eri per parlare alla sua mostra, e ora Sofie e la sua famiglia alloggiano proprio a casa dell’artista.

La Galleria Be’eri aveva aperto nel seminterrato della cheder ha ochel, “la mensa”, il 4 ottobre 1986, esattamente 40 anni dalla fondazione del kibbutz. Da allora ha ospitato oltre 400 mostre. L’unicità della galleria stava nella sua continua esibizione di arte israeliana di qualità, attraverso una collaborazione tra gli artisti più famosi,  insieme ad artisti emergenti, nelle prime fasi della loro carriera, che in questo spazio espositivo hanno sempre avuto la possibilità di esprimersi attraverso i diversi linguaggi dell’arte contemporanea: pittura, scultura, fotografia, video art, stampa, installazioni e performance.

“HaGaleria” mirava a incoraggiare gli artisti a creare opere site specific per la galleria e a impegnarsi con la comunità. Oltre a conferenze ed eventi culturali, venivano organizzati regolarmente gallery talk e workshop per bambini, adulti e gruppi dedicati. Come avevano scritto i suoi fondatori Alon Kislev e Orit Svirsky, la galleria mirava a “portare il meglio dell’arte contemporanea israeliana nella periferia di Israele”. Orit è stata la prima curatrice della galleria, che all’epoca era stata fondata con la speranza di “aggiungere il consumo spirituale al consumo del pane, per creare arte, perché l’uomo non vive solo di pane”.

Nel 1994 era stata sostituita da Ziva Jellin, grazie a cui, nel 1996, la galleria si era allargata fino a diventare quel che è stata fino al 7 ottobreI genitori di Ziva furono tra i fondatori del kibbutz, uno degli 11 fondati nel 1946 per garantire che il Negev occidentale fosse incluso nel futuro Stato di Israele. Nata a Be’eri nel 1962, Ziva ha curato mostre presso HaGaleria per 30 anni, fin subito dopo il diploma conseguito presso all’Hamidrasha di Ramat Hasharon.

Conclusi gli studi e tornata in kibbutz, aveva cominciato ad insegnare arte ai giovani della zona e aveva fin da subito avviato grandi cambiamenti nella galleria. “Fino a quando non ho assunto il mio incarico  venivano solitamente organizzate mostre che erano già state allestite in altri musei o gallerie – ha raccontato al quotidiano Haaretz – Quando ho iniziato il mio lavoro come curatore, ho annunciato immediatamente che avrei fatto qualcosa di diverso. Per 30 anni ho invitato artisti da tutto Israele a venire a stare da noi ospitandoli nelle nostre case, in una sorta di art-residence, in modo da creare un’agenda partecipativa tra la scena artistica e la nostra comunità.” L’idea alla base dell’approccio partecipativo di Ziva era che gli artisti traessero ispirazione per il loro lavoro trascorrendo tempo nel kibbutz e con i suoi membri, per creare arte assieme a loro.

Così gli artisti hanno lavorato all’interno della comunità di Be’eri e hanno creato opere associate alla sua storia, alla sua geografia e altri elementi della vita del kibbutz. “Nonostante le sue piccole dimensioni, grandi artisti provenienti da tutto il Paese hanno esposto da noi, spesso creandoopere originali che hanno sviluppato l’intera scena artistica della zona.” Negli ultimi anni, Ziva, diventata Chief Curator, aveva affidato la curatela della galleria a un nuovo talento: Sofie Berzon MacKie, immigrata in Israele dalla Gran Bretagna nel 1990. Dopo aver studiato presso l’Istituto Camera Obscura e alla Kalisher Art School di Tel Aviv, aveva tenuto una mostra nella galleria del kibbutz nel 2011, diventando a sua volta curatrice. Assieme, le due curatrici avevano già pianificato per il prossimo anno ben 9 mostre, che ora non è ancora chiaro se e dove verranno allestite. “In primo luogo, dobbiamo porre fine alla guerra. Solo quando l’area sarà sicura e le comunità locali saranno ripristinate, potremo pensare alla galleria – spiega Ziva – ma sono sicura che un giorno il kibbutz risorgerà dalle ceneri, assieme ad HaGaleria”.

Ora, assieme agli altri superstiti, alloggiano tutti tra le stanze del David Resort & Spa, sul Mar Morto, che dallo scoppio della guerra è diventato una casa temporanea di accoglienza per i sopravvissuti evacuati dal suo kibbutz, il cui spirito sta già risorgendo dalle ceneri, sulle acque del “mare salato”, yam ha melach, come lo chiamano in Israele.

Ziva ha già allestito un laboratorio d’arte al David Hotel: “La galleria non morirà. Crediamo nella resilienza della gente di Be’eri, che ha saputo costruire e coltivare il kibbutz e troverà la forza per ricostruirlo.  Anche la galleria deve essere ricostruita, anche se Dio sa come e quando. Ma la cultura non è un lusso, racconta ciò che accade nella storia. Come verranno raccontati questi giorni bui? Come entreranno a far parte della memoria collettiva di un popolo? È proprio per questo che abbiamo bisogno della cultura: perché l’umanità è complessa. Una storia non ne nega un’altra. Narrazioni contrastanti possono coesistere e ciò può accadere solo nei regni dell’arte e della cultura, per raccontare quello che nessuno si aspettava e per cui dovremo trovare un nuovo il lessico. Il potere dell’arte è proprio quello di dare forma alle cose che accadono, creando il loro immaginario”. Nel frattempo, sia la curatrice che l’artista, si sono già rimboccate le maniche.

La fotografa ha ristampato le sue foto, che il 9 dicembre verranno esposte presso il Museo Janco Daida di Ein Hod, che ha deciso di aprire le sue porte all’artista orfana di galleria. E in attesa che la galleria originale riapra, Sofie Berzon MacKie ha trovato chi è disposto ad aiutarla, fino a quando non tornerà a Be’eri, ovvero la splendida sede di Beit Romano, cuore pulsante di Tel Aviv.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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