Cultura
Il sound della diaspora africana al Romaeuropa Festival

In scena la New wave africana, artisti e band straordinari che stanno contagiando l’Occidente con le loro miscele policrome di suoni

Nella musica popolare del Novecento, infatti, sono stati quasi sempre gli artisti di origine afroamericana a tracciare le nuove tendenze, dal jazz al soul, passando per il blues e l’hip hop, con la sola eccezione dell’elettronica. Per questo assume grande interesse il focus che il festival Romaeuropa dedica alla Diasporas, con l’obiettivo di mettere in luce alcuni dei più interessanti talenti della “New wave africana”, residenti in Europa e negli Stati Uniti, che stanno contagiando l’Occidente con le loro miscele policrome di rap, pop, new soul, african retro pop, folk e jazz, senza mai dimenticare le loro radici e con esse le musiche tradizionali dei loro paesi.

Artisti perennemente in movimento, accomunati dalla medesima e incessante sperimentazione, che incarnano i linguaggi e i temi della contemporaneità sui palchi dei maggiori festival mondiali approdano all’Auditorium Parco della Musica di Roma per ospiterà per  Diasporas , un festival nel festival con due concerti a sera, dal 10 al 12 ottobre.

La rassegna prenderà il via 10 ottobre con Alsarah and The Nubatones, seguiti da J.P. Bimeni the Black Belts: artisti figli della diaspora africana, spesso costretti a lasciare il loro luogo natio a causa di guerre e conflitti. Inserita tra le 100 donne africane più influenti al mondo dalla prestigiosa rivista Ok Africa, carismatica ed indipendente,  Alsarah, nuova icona della musica retro pop dell’Africa orientale, è fuggita dal Sudan in seguito a un colpo di stato militare e dallo Yemen, dopo lo scoppio della guerra civile, per stabilirsi finalmente in Massachusetts. Con la sorella Nahid fonda i Nubatones e si impone tra le più interessanti realtà nel panorama della contaminazione musicale africana. Autrice, compositrice ed etnomusicologa laureata alla Wesleyan University, grazie agli studi sul campo in Sudan, ritorna alla musica di questo paese, imparando innanzitutto il modo in cui gli occidentali guardano l’Altro. La sua figura affascinante e originale compare anche in “Beats of the Antonov”, premiato come Miglior Documentario al Toronto International Film Festival del 2014.  Sul palco dell’Auditorium canterà i brani dell’ultimo disco Manara con cui ha stregato la stampa internazionale, attingendo con rispetto al patrimonio tradizionale e mescolandolo abilmente col suo Nuovo Mondo e i linguaggi del contemporaneo.

Ha un vissuto difficile e travagliato anche la nuova stella del soul J.P. Bimeni, che si esibirà subito dopo Alsarah. Discendente di una famiglia reale burundese, ha lasciato il suo paese all’età di 15 anni durante la guerra civile ed è sopravvissuto a ben tre attentati, prima di ottenere lo stato di rifugiato nel Regno Unito, dove risiede tuttora. Con una voce calda e ricca di pathos che ricorda il grande Otis Redding, ha recentemente conquistato  Jovanotti, che lo ha scelto per aprire quest’estate alcuni dei suoi Jova Beach Party. A Roma insieme ai the Black Belts presenterà il suo disco d’esordio Free Me, un concentrato di soul, caldo e profondo, che racconta l’amore e la perdita in accorate ballad alternate a brani a tempo di ispirazione northern soul.

Venerdì 11 ottobre sarà la volta di  Blick Bassy e Mayra Andrade.

Figlia di un combattente per l’indipendenza di Capoverde la “regina della Morna” Mayra Andrade, porterà il suo canto delicatamente speziato all’Auditorium di Roma. Nata a l’Avana cresce a Praia, Capo Verde, e a sei anni segue la madre e il patrigno diplomatico in Senegal, Angola e Germania prima di stabilirsi a Lisbona. Definita dalla critica come la più credibile erede di Cesària Évora, Mayra canta in creolo capoverdiano, in inglese, in francese, in portoghese, portando l’ascoltatore dentro luoghi avventurosi e inaspettati. Il suo pop tropicale si snoda tra romanticismo occidentale e sensualità del sud, frammenti reggae e tempi dispari africani. A maggio è uscito Manga, quinto lavoro sulla lunga distanza cantato interamente in creolo: un mix perfetto e naturale tra Afrobeat, musica urbana e musica tradizionale di Capo Verde.

È dedicato a Ruben Um Nyobé, leader anticoloniale che ha lottato per l’indipendenza del Camerun 1958, il nuovo disco di Blick Bassy, songwriter e compositore nato e cresciuto in Camerun e costretto nel 2005 a lasciare la sua terra e a trasferirsi a Parigi. Il successo nella nuova patria arriva per lui arriva nel 2015 quando la sua canzone Kiki tratta dall’album Ako viene scelta dalla Apple per la campagna mondiale di lancio dell’Iphone 6.

Con una musica che miscela abilmente blues acustico, musica tradizionale, folk contemporaneo e bossa nova brasiliana, Bassy canta la schiavitù del neocolonialismo, la necessità di eroi e la ricerca della vera identità, conducendo l’ascoltatore in un mondo affascinante, personale ma allo stesso tempo universale, intriso di malinconia e di sentimento.

L’ultima giornata di Diasporas, sabato 12 ottobre si apre con Le Cri du Caire, un live a metà strada tra il rock, la poesia Sufi, il jazz, l’elettronica, sonorità orientali e slam poetry in cui la voce ipnotica del poeta e cantante Abdullah Miniawy, icona di una gioventù egiziana in lotta per la libertà e la giustizia, si confronta con la tromba di Erik Truffaz, grande figura del jazz europeo, il sax di Peter Corser e le corde del violoncello di Karsten Hochapfel. Uno spettacolo appassionato ed emozionante che ipnotizza il pubblico attraverso un intenso universo metaforico, che trascende identità e confini.

Chiude la rassegna Love & Revenge, concerto visivo omaggio a un’epoca d’oro del mondo arabo: quella del cinema e delle commedie musicali con le loro storie melodrammatiche e sentimentali e quella delle dive e i divi della musica. Nata dall’incontro tra Rayess Bek, uno dei maggiori esponenti dell’Hip Hop e della “urban music” nel mondo arabo, le immagini dell’artista e fotografa libanese Randa Mirza, l’elettronica di Mehdi Haddab e il basso di Julien Perraudeau, Love & Revenge è un divertente remix di  grandi successi della musica araba  e immagini di film culto dell’età d’oro del cinema egiziano e arabo, dagli anni ’40 ad oggi.

Una suggestiva performance musicale e visiva e, al tempo stesso, una riflessione sull’identità e la varietà culturale, che racconta con ironia e un tocco di nostalgia del mondo arabo, della sua dissolutezza, delle tradizioni ma anche delle sue contraddizioni.

Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.