Cultura
Il Talmud? È come il web…

Una mostra al Museo Ebraico di Bologna invita a riflettere sul rapporto tra la contemporaneità e il primo testo non lineare e interconnesso della storia

Parlare del Talmùd non è facile. C’è molto da dire, eppure, prima di aprire bocca, cala una membrana, come un sipario, tra la lingua e quelle molte cose ben nitide e ben disposte nell’incavo del pensiero. Il problema è da dove iniziare. Perché le cose, per quanto nitide, non sono disposte in linea retta, a catena, dove un concetto tira l’altro. L’idea che ci si fa del Talmùd non è diversa da come il Talmùd appare sulla pagina: le parole – i concetti, le cose – si dipanano sul foglio a grumi geometrici, intersecati gli uni agli altri come tasselli di puzzle, con l’eleganza centripeta di un labirinto. È un caos domato dall’arte tipografica ma nondimeno un caos. Dove si inizia a leggere? Dove si inizia a capire? Dove si inizia a parlare?

Proviamo allora a parlare del Talmùd come il Talmùd appare, a tasselli. A tasselli, non a caso, è costruito il percorso storico-didattico ora in esposizione al MEB su questo monumento della cultura ebraica. Ma, tra le molte cose che ci sono da dire sul Talmùd, quali di queste hanno effettivamente qualcosa da dire a noi, a tutti noi, adesso? È su questo che vorrei riflettere – e partire confessando quanto sia difficile trovare il filo non è casuale. La complessità labirintica del Talmùd non va affrontata come un ostacolo; piuttosto, come uno spunto per leggere e pensare la realtà che, adesso, circonda noi. Mettiamo assieme qualcuno dei tasselli, a partire dalla storia del Talmùd come testo, per arrivare alle suggestioni che questo testo ispira al pensiero contemporanea.

Anzitutto, cos’è il Talmùd? È una collezione di testi – una sessantina di trattati, per un totale di più di 5000 pagine – che, nel mondo ebraico, è andata a costituire il secondo pilastro dell’identità religiosa a contrappunto del Tanàkh, la Bibbia ebraica utilizzata nella liturgia. La parola talmùd significa studio, dalla radice ebraica lamàd; talmìd è chi studia, lo studente, mentre melammèd è chi fa studiare, il maestro. Il Talmùd è un testo che va studiato, ma anche un testo all’interno del quale si studia. Esso propone ai lettori cose da studiare (norme di pratica religiosa, indicazioni per la vita quotidiana, narrazioni mitologiche) – ma racconta anche degli studiosi che hanno via via composto gli insegnamenti ivi contenuti nel corso di secoli di approfondimento, commento, dibattito.

Quando e dove è stato composto il Talmùd? Ecco un’ulteriore complicazione, perché il Talmùd è stato composto a lungo e in lungo: partiamo dalla Palestina di epoca romana, intorno al 200 e.v., quando l’élite intellettuale ebraica, i rabbini, dovette inventarsi una nuova religione per gli israeliti rimasti orfani di un Tempio in cui praticare il culto sacrificale. Da questo sforzo creativo prende forma la Mishnà, un codice di regole per ogni aspetto della vita ebraica, religiosa e secolare. Fissare un codice, in un’epoca di grandi cambiamenti sociali e culturali come i primi secoli dell’era volgare, non basta: le generazioni successive di rabbini, fino al VII secolo, approfondiranno, commenteranno, dibatteranno le tradizioni contenute nella Mishnà dando vita alla Ghemarà. Quando si mettono insieme Mishnà e Ghemarà, il codice e il suo commentario, si ottiene il Talmùd. Il Talmùd non è uno solo, tuttavia: la comunità rabbinica in Palestina e quella in Babilonia produrranno ciascuna una Ghemarà diversa, cosicché avremo un Talmùd Palestinese, o Gerosolimitano, e un Talmùd Babilonese. Sarà, infine, il Talmùd Babilonese a diventare il Talmùd per eccellenza, il manuale di diritto religioso ebraico, a partire dal medioevo.

Il Talmùd, insomma, è una costellazione di testi e tradizioni assai complessa: ha una storia complessa, perché non è nato dal nulla, né è stato scritto da un’unica mano, dalla prima all’ultima parola, in un momento e luogo unico della storia; è invece frutto di un processo di composizione collettiva lungo un millennio. Inoltre, è complesso perché i contenuti trattati, quand’anche tradotti dall’ebraico e dall’aramaico, sono molti e molto peculiari – peculiari di una cultura religiosa lontana di un millennio e di un mare. Per queste ragioni il Talmùd può apparire come un cimelio antico ed esotico, importante sì per un microcosmo specifico, il mondo ebraico, ma che poco può aver da dire a tutti gli altri, e oggi per di più.

Si diceva, però, che è proprio la complessità labirintica del Talmùd a costituire la chiave della sua modernità. Prendiamo una delle tante ragioni di complessità (una vera contraddizione interna) del Talmùd: il fatto che esso sia un testo (è fatto di parole) ma non sia semplicemente un libro (né uno scaffale di libri), e questo perché il Talmùd è un amalgama di scrittura non-lineare. Tanto più che il Talmùd non è stato subito scrittura (veniva composto e trasmesso oralmente), ma è stato messo per iscritto quando l’oggetto libro ha preso il sopravvento come mezzo di comunicazione della cultura istituzionale, non prima del IX secolo, con la sofisticata cultura arabo-islamica del medioevo. Anche una volta messo per iscritto, il Talmùd continua a sfidare la concezione di linearità (lo scrivere e leggere una parola dopo l’altra) in virtù della sua storia (è stato composto a fasi, a strati) e del suo contenuto (è composto da voci diverse che dibattono). E infatti, al momento della sua messa a stampa, nel Cinquecento, gli artigiani dei caratteri mobili si ingegnarono con una soluzione creativa ed elegantissima (in uso ancora oggi) per non privare il Talmùd della sua fruizione tridimensionale: disporre le sezioni di testo a moduli concentrici, tra i quali saltare per approfondire una determinata informazione. Un layout del tutto simile ai siti web di oggi, dove si perde la continuità da capo a coda in favore di percorsi di navigazione associativi, da link a link, in profondità.

Per storia e per forma, dunque, il Talmùd possiede elementi in comune alla nostra cultura, quella dell’Internet 2.0. Da una parte, abbiamo la complessità di struttura – strati magmatici di informazioni accumulate, frammenti di testo che esplodono in contesti imprevisti, percorsi sotterranei tra associazioni di idee. Dall’altra, abbiamo la più problematica ma anche promettente materializzazione di questa complessità, la dialettica. Come un social network di oggi, il Talmud è fatto di intrecci di voci, storiche o fittizie poco importa – ciò che importa è che l’essenza della cultura sia dialogo, anche e soprattutto dove c’è disaccordo, senza necessità del principio di non contraddizione. La dialettica e la complessità possono farci apprezzare il potere trasformativo che è insito nella produzione del sapere: è il processo di rilettura e attualizzazione di ciò che ci è arrivato, della tradizione, a essere “sacro”, speciale, e non gli oggetti culturali in sé, che sono atomi in un ecosistema ben più ampio e mobile.

Il Talmùd, insomma, dimostra come sia complesso – cumulativo, convoluto, multidirezionale – il processo con cui la cultura si produce. E ce lo ricorda in un momento cruciale, proprio quando  la cultura sembra essere stravolta dall’avvento dell’interconnessione digitale e dalla multimedialità. I libri non sono più la sola ancora del sapere, e il Talmùd ci insegna che, forse, non è la prima volta che è stato così; e che, forse, c’è anche di che guadagnare, se si guarda il tutto da una prospettiva diversa. Una prospettiva diversa ma anche faticosa, che ci permette di recuperare la dimensione contemplativa dello studio di cui lo sciame informativo di dati e bit nella realtà aumentata spesso ci priva.

Il Talmùd. Storia, prospettive, suggestioni del pensiero ebraico
A cura di Ilaria Briata, Vincenza Maugeri, Caterina Quareni.
Museo Ebraico di Bologna, fino all’8 gennaio 2023

Ilaria Briata
Collaboratrice

Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


1 Commento:

  1. Il Talmud assume la Sapienza umana nella sua espressione più ampia, ma allo stesso tempo intellegibile dai singoli. Ma seguire l’immensità del Talmud ci distoglie dal seguire la Bibbia Strategica che è la parte di Abramo che è presente su tutto il percorso, mentre i vari profeti sono solo distribuiti tatticamente. La Bibbia Strategica è di fatto la vera maestra dell’Umanità ed essa non è contorta, ma è scorrevole lungo il Tempo (Il Tempo è la durata dei 6000 anni della Bibbia) e noi sappiamo che ci troviamo molto al suo interno, tanto che siamo nell’anno 5783

    Il Rebbe Shneerson ha detto che il Terzo Tempio non potrà MAI essere distrutto! Da cosa si deduce questa possibilità? Ma dal fatto che i primi due erano fatti di pietre, mentre il terzo è composto da tutte le menti e i cuori delle persone che compongono l’Umanità e l’unico modo di distruggere il Terzo Tempio sarebbe quello che morisse l’intera Umanità ed allora sì che sarebbe distrutto anche il Terzo Tempio, ma ciò esulerebbe dalla gestione del nostro futuro.


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