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La controversia sul nome di Dio nella Dichiarazione d’Indipendenza di Israele

Come una disputa religiosa per poco non sabotò il documento fondante dello Stato ebraico.

Il 14 maggio 1948, davanti a un pubblico di 300 persone riunite nel Museo d’Arte di Tel Aviv, oltre a diverse migliaia in ascolto via radio, David Ben Gurion lesse la Dichiarazione della Fondazione dello Stato di Israele. La comunità internazionale aveva fatto forti pressioni sui leader sionisti, scoraggiandoli dal dichiarare l’indipendenza, ma Ben Gurion e i suoi avevano deciso che la fine ufficiale del Mandato Britannico della Palestina era il momento ideale per agire.

Dopo due millenni, il popolo ebraico riaffermava la sua sovranità sulla Terra di Israele, ma ciò non senza che ci fossero tensioni irrisolte nel documento stesso, in particolare sul ruolo della religione per lo Stato ebraico.

Il sogno di uno Stato ebraico era durato duemila anni, era appartenuto prima agli esiliati dalla persecuzione romana, e dopo tra coloro che, nei luoghi della Diaspora, avevano tenuto viva la speranza del ritorno nella Terra d’Israele. All’inizio del XX secolo, i padri del sionismo come Theodor Herzl, Ahad Ha’am, Vladimir Ze’ev Jabotinsky, Rav Abraham Isaac Kook e altri, avevano già sviluppato visioni sostanzialmente diverse su come il moderno Stato dovesse essere “ebraico”.

La Dichiarazione d’Indipendenza termina con: “Confidando nella Rocca d’Israele [Tzur Yisrael], apponiamo le nostre firme su questo proclama”. Nel Libro di Samuele, re Davide in punto di morte chiama Dio “Rocca d’Israele”: “Il Dio di Israele ha parlato, la Rocca di Israele mi ha detto: ‘Colui che regna sugli uomini con giustizia, colui che regna con timore di Dio è come la luce del mattino al sorgere del sole’”.

Il Salmo 22 fa uso della parola Tzur [Rocca] per descrivere Dio come un protettore: “La Rocca in cui trovo riparo”. Il termine ci è forse più noto dal Salmo 19. “Siano grate al tuo cospetto le parole della mia bocca e la meditazione del mio cuore, o Signore, mia Rocca, e mio Redentore”.

Nelle settimane che precedettero il ritiro delle autorità del Mandato Britannico dalla Palestina, la Dichiarazione fu messa a punto da politici, giuristi e scrittori (tra i quali Shmuel Yosef Agnon che in seguito avrebbe vinto il Premio Nobel). Fin dall’inizio, la controversia sull’inclusione del nome di Dio nel documento fu tale che andò vicino a sabotare l’approvazione di una versione finale della Dichiarazione e della cerimonia al Museo d’arte.

La bozza finale fu esaminata da una piccola commissione, comprendente David Ben Gurion (allora capo esecutivo dell’Organizzazione Sionista Mondiale), Rabbi Judah Leib Maimon (leader del partito sionista religioso, Mizrachi), Aharon Zisling (leader del partito sionista socialista, Ahdut Ha’avodah) e Moshe Shertok (in seguito Sharett, capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica).

I sionisti religiosi insistevano sul nome di Dio come componente necessaria del documento fondante dello Stato di Israele. Zisling, a capo dei sionisti laici, credeva nella separazione tra religione e stato e non voleva firmare un documento che poggiasse su allusioni al sovrannaturale. Sosteneva che l’inclusione del nome di Dio significasse imporre un’espressione religiosa ai non credenti. Rabbi Maimon, la cui posizione alla fine non prevalse, inserì il nome di Dio accanto alla sua firma sulla Dichiarazione. Ben Gurion trovò il compromesso: usare l’espressione “Rocca d’Israele”, in modo da soddisfare entrambe le parti, lasciando fuori la componente teologica (“e il suo Redentore”), contenuta nella Bibbia.

Dopo la fondazione dello Stato, i Rabbini Capo sefardita e ashkenazita introdussero l’espressione di Dio Redentore nella Preghiera per lo Stato di Israele. Essa inizia con “Tzur Yisrael v’Goelo” (la Rocca d’Israele e il suo Redentore), prosegue con l’invocare benedizioni per lo Stato e i suoi leader e afferma che la fondazione di Israele è “la prima fioritura della nostra redenzione”.

Coloro che conoscono i testi religiosi leggono l’espressione Tzur Yisrael nel suo contesto biblico e sacro. Per gli atei, l’espressione indica un riferimento più letterale al legame del popolo ebraico con l’esercito, la Terra d’Israele o le tradizioni storico-culturali.

Quando anni dopo a Ben Gurion fu chiesto di spiegare la sua scelta, rispose che l’espressione poteva indicare le tradizioni e la storia della Torah, o l’istituzione delle Forze di Difesa Israeliane.

Con gli eserciti arabi in procinto di attaccare, quel 14 maggio 1948, il popolo ebraico dovette affrontare nuove circostanze con coraggio e creatività. I firmatari, credenti e non credenti, dichiararono l’indipendenza dello Stato “confidando nella Rocca d’Israele”.

L’esempio del Regno Unito [così scrive l’autrice dell’articolo su The Jewish Chronicle che ha sede a Londra, N.d.T.] ci insegna che avere una religione ufficiale di Stato e godere di una democrazia attiva che rispetti tutte le religioni e i non credenti allo stesso modo è possibile. Utilizzando l’espressione Tzur Yisrael, il popolo ebraico divenne più forte grazie al compromesso, un compromesso fondato sulla diversità di pensiero e pratica. La frase “Confidando nella Rocca d’Israele” continua ad affermare il diritto democratico di tutti i cittadini di Israele alla libertà di pensiero e culto.

 

[Traduzione dall’originale inglese di Silvia Gambino]

Daniella Kolodny
Collaboratrice presso The Jewish Chronicle

Daniella Kolodny vive nel Regno Unito ed è una rabbina conservative. Nella sua congregazione ricopre il ruolo di responsabile dello sviluppo del rabbinato. Curiosità: è stata la prima rabbina a essere ammessa all’Accademia Navale degli Stati Uniti.

 

 


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