Cultura
“La violinista di Hitler”, una storia dimenticata

Il romanzo d’esordio di Yoann Iacono

Sin dalle prime righe, l’autore di questo romanzo prende per mano il lettore e l’accompagna nel suo viaggio senza abbandonarlo mai. Lo fa con le parole naturalmente, che sceglie con cura: mai scontate, mai eccessivamente sentimentali, mai sdrucciolevoli. Eppure, la storia lo consentirebbe. Parliamo di La violinista di Hitler di Yoann Iacono, uscito recentemente per Garzanti con la traduzione di Sara Arena.

Parigi, oggi. Un pacco postale raggiunge il protagonista di questa vicenda, che scrive in prima persona. Il mittente è una donna di 82 anni di nome Nejiko Suwa, la violinista più famosa del Giappone, una perfetta sconosciuta in Francia. Non al destinatario, però, che ha inseguito lei e il suo violino per buona parte della sua vita. Strano, per un trombettista jazz…

Due pagine dopo. Parigi 1943-1944. “La storia comincia in Germania il 22 febbraio 1943”, si legge, “venti giorni dopo la caduta di Stalingrado. Quella mattina, a Monaco, Sophie Scholl, ventun anni, viene ghigliottinata con suo fratello per aver distribuito all’Università dei volantini che richiamavano alla resistenza contro Hitler. La sera, a Berlino, il ministro per l’educazione del popolo e per la propaganda Joseph Goebbels regala un violino Stradivari a Nejiko Suwa, virtuosa giapponese. Ha la stessa età di Sophie Scholl”.

Il dono serve a suggellare l’alleanza tra i due paesi, la Germania e il Giappone, e la cerimonia è opera di Herbert Gerigk che in quel momento consacra il suo lavoro al servizio del Reich.  Musicologo, è direttore del Sonderstab Musik, unità speciale dell’unità operativa che confisca beni di valore agli ebrei e li fa arrivare in Germania: “In due anni, nella Francia occupata ha depredato 34mila500 case e appartamenti confiscando migliaia di quadri e di mobili e un solo Stradivari”.

Nejiko aveva raggiunto Parigi dal Giappone per completare la sua formazione musicale. In quello stesso Conservatorio studiava, per diplomarsi poco prima di lei, il protagonista di questo racconto: trombettista nella banda dei Gardiens de la paix, un corpo  musicale atipico i cui membri sono musicisti e poliziotti. E sul finire di questo primo anno parigino, quel 1944 che nell’agosto vede scattare la rivolta popolare, sostenuta dalle Forces Françaises de l’Interieur (FFI) che si riprendono la prefettura, è uno di loro. Sarà lui a intonare la Marsigliese in quell’edificio, per la prima volta dall’occupazione tedesca.

Nel frattempo Nejiko è diventata solista stabile dell’Orchestra filarmonica di Berlino sotto la direzione di Wilhelm Furtwängler. Con il suo Stradivari si esibisce in tutti i paesi dell’Europa in guerra. Le storie dei due musicisti si intrecciano. Anzi, a lungo tempo procedono parallele, senza sfiorarsi mai. Il punto di contatto resta sempre quel violino, quel dono preziosissimo, quel simbolo che tiene in scacco almeno tre Paesi. Ma soprattutto, tiene in scacco Nejiko. Non riesce a suonarlo. Non si piega a fare quello che le chiede, non emette il suono richiesto, non consente alla solista di suonare come sa fare… Crisi. La virtuosa violinista cerca disperatamente aiuto. Lo troverà dal suo professore. Di chi era quel violino? Chi erano i suoi precedenti proprietari? Come lo suonavano? “Se quel violino le resiste”, le spiega il professore, “allora si informi sul suo passato, impari a conoscerlo”. Poi, la invia da un liutaio (che, tra l’altro, stabilirà in un attimo di avere a che fare con un Guarneri e non con uno Stradivari). “Non sa ancora”, commenta il narratore, “che i liutai sono medici di tutte le anime, sia quelle degli strumenti sia quelle degli uomini. Ecco perché il loro discernimento è così grande e la loro presenza così rasserenante per i musicisti”. In effetti, tra i due si stabilisce qualcosa di magico. Appena il liutaio fa passare l’archetto sulle corde del violino, “la sonorità è prodigiosa” e Nejiko crolla. Seguiranno diversi altri incontri, i fatti bellici poi li renderanno impossibili, come la permanenza di Nejiko a Parigi. Deve andare a Berlino, la città francese non è più sicura.

11 aprile 1945: ultimo concerto dell’Orchestra filarmonica di Berlino. In prima fila, Adolf Eichmann, Goebbels e Julius Speer, ministro degli armamenti. Nejiko comincia a suonare, si concentra sulle parole del suo maestro, sta per intonare la Terza sinfonia di Beethoven, ma le sirene interrompono lo spettacolo e lei viene messa in salvo precipitosamente nel rifugio nello scantinato. E non si sa perché, ma mentre è chiusa lì dentro , tira fuori il suo violino e comincia a suonare Indian Lament di Dvorák. “La mente di Nejiko si allontana da quel rifugio. Viaggia, è nel quartiere di Shiba a Tokyo […] Tutto le sembra semplice, come se il suo violino fosse diventato docile, perfino collaborativo […] Il violino la guida, le corde vibrano al ritmo del suo cuore, le sue emozioni risalgono insieme ai ricordi, come se il Giappone dell’infanzia ispirasse anche lo strumento”. Poi torna in sé, trema, non ha difese, quasi fosse appena nata, lì, in quello scantinato, con la morte così vicina.

I fatti si susseguono veloci, finisce persino a suonare nel bunker di Hitler per l’ultima festa a sorpresa organizzata per il compleanno del führer, poi si ritrova a New York. Il Giappone non si arrende e lei, con tutta la delegazione, è prigioniera in un hotel di lusso vicino a Washington. Intanto, a Parigi, il narratore che ha partecipato alla resistenza parigina, ottiene uno status particolare nell’orchestra della prefettura e il 2 gennaio 1945 il prefetto Luizet gli affida una missione particolare: “Ritrovare il violino Stradivari del nipote del signor Braun, amico personale del generale de Gaulle”. Il prefetto, si toglie gli occhiali, lo guarda e commenta: “Con un investigatore più musicista che poliziotto, l’impresa si annuncia facile come trovare un ago in un pagliaio”.

Non aveva tutti i torti. La ricerca è ardua, ma poi incontra il liutaio che conosceva Nejiko. La matassa comincia a srotolarsi, apparentemente. Germania, in cerca di lei. Che a breve lascerà Washington per tornare in Giappone: la guerra è finita. E il nostro investigatore musicista parte per accogliere Nejiko a Tokyo. Primo incontro. Lui va dritto al punto: “Il suo violino è stato rubato dai nazisti a un giovane ebreo di nome Lazare Braun…” Le mostra una foto: “Qualche giorno dopo questa foto, i tedeschi lo hanno deportato in un campo di sterminio”. Nejiko è pietrificata, sconvolta, lo respinge, poi scappa urlando “Mi lasci pace!”. L’indomani mattina lui viene spedito a Los Angeles sulla prima nave in partenza.

La sua tromba suona il jazz, incontra i grandi di quella musica, suona tutte le sere nei club, finchè Nejiko Suwa arriva all’Hollywood Bowl: il suo violino suonerà per celebrare il trattato di pace. Ultimo atto.

Ma poi? Poi c’è la vita, c’è la morte, c’è la guerra, c’è la musica ( “Che cos’è dunque la musica? Un breve suono tra due silenzi? Un lungo silenzio tra due melodie?”), c’è la realtà (“La realtà è un tutto senza dettaglio, ma un tutto che si lascia afferrare solo attraverso un accumulo di dettagli, tanto che ometterne uno significa già deformarla”), c’è l’amore. Poi finalmente, nel 1983, la voce di quel violino viene fuori. Nejiko riprende a suonare dopo un lunghissimo perido di silenzio. E questa volta, poco prima di esibirsi, con il suo violino sulle gambe, non gli parla, lo ascolta e mille voci, urla, stridori di treni, terrore, singhiozzi, la invadono. Poi vede un fantasma che porta un violino, identico al suo. Ha il viso di un giovane uomo, emaciato, la guarda negli occhi e le dice: “Ecco come si suona sinceramente Mendelssohn… Lasci che la guidi”.

Il pacco che raggiunge il protagonista nella Parigi contemporanea contiene i diari di Nejiko. Un espediente po’ come quella del manoscritto trovato a Saragoza… Ma questo è un romanzo storico. Da leggere, per scoprire una storia per lo più dimenticata. Per scoprire cosa sono la propaganda, il regime e la libertà.

Yoann Iacono ha trascorso tre anni in Francia, in Germania e Giappone ricercando materiale su Nejiko Suwa. Questo è il suo primo romanzo.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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