Un divertente racconto in musica scritta nel 1971 da un team tutto femminile. Autrici delle parole sono, infatti, la rabbanit Chava Chaya Frenkel e Thelma Aliagon-Roz
Tra tutte le feste ebraiche, Hanukkah è forse quella cui è dedicato il maggior numero di canzoni. Alcune di esse fanno parte del repertorio tradizionale, più antico, cui talvolta è offerta una nuova vita attraverso esecuzioni fresche e adatte a un gusto musicale contemporaneo. Altre canzoni, invece, sono creazioni del tutto moderne. Tra queste, una delle più note in Israele è Maase ba-levivot (“Storia delle levivot”), un divertente racconto in musica scritta nel 1971 da un team tutto femminile. Autrici delle parole sono, infatti, la rabbanit Chava Chaya Frenkel (1933-2016) e Thelma Aliagon-Roz (1944), al cui talento dobbiamo un numero notevole di canzoni, soprattutto per bambini, mentre la melodia reca la firma di Drora Havkin (1934-1995), storica collaboratrice di artiste della levatura di Yaffa Yarkoni e Chava Alberstein.
Come molti grandi successi, anche Maase ba-levivot è nata per caso, nello specifico dall’incontro fortuito tra le due autrici del testo. La storia racconta che Thelma Aliagon-Roz si sia recata a casa di Chava Chaya Frenkel per richiedere l’aiuto di suo marito, il rabbino Asir Frenkel, a proposito di una trasmissione televisiva. L’occasione ha permesso a Thelma Aliagon-Roz di scoprire che Chava Chaya Frenkel era solita comporre canzoni, soprattutto per bambini, a testimonianza di una creatività ricca e significativa anche nel mondo religioso. Chava Chaya Frenkel era insegnante e spesso utilizzava le sue canzoni nel suo lavoro. In una vecchia intervista, infatti, ha dichiarato: “quando volevo dire qualcosa ai bambini durante il gioco, lo facevo cantando […] le idee mi venivano dalle esperienze della vita domestica. Le melodie, invece, come ha osservato mio marito derivano dalle canzoni yiddish dello shtetl.” In effetti, melodia a parte, c’è molto della tradizione yiddish in questa canzone, a partire dai nomi dei suoi protagonisti: Chanah Zelda e rav Kalman. Ma non solo. L’intero testo, molto lungo ‒ non a caso l’abbiamo definito in precedenza “un racconto in musica” ‒ ricorda in maniera evidente le storie yiddish, per la struttura, il contesto e l’ironia di fondo, che sovverte abilmente categorie e stereotipi.
Tutto ruota attorno a uno dei cibi tradizionali di Hanukkah, le levivot. O latkes, se preferite lo yiddish. Il buon rav Kalman si sveglia la mattina di Hanukkah e non desidera altro che la moglie gli prepari delle deliziose levivot, perché a Hanukkah “non desidero che mangiare una dolce e calda levivah.” Peccato che la moglie, Chanah Zelda, non sembra essere della stessa opinione. Con un’invidiabile scaltrezza, Chanah Zelda lamenta, uno dopo l’altro, la mancanza di ogni ingrediente: farina, olio, zucchero. A nulla vale l’impegno di rav Kalman che ogni volta si reca pazientemente al mercato, sicuro che, tornato a casa, potrà finalmente gustare la sospirata levivah. Alla fine, se la dispensa di famiglia sarà rifornita, sarà, però, l’ingrediente fondamentale, ovvero la forza di Chanah Zelda a mancare. Se vorrà affondare i denti in una fragrante levivah, rav Kalman dovrà rimboccarsi le maniche e prepararsela da solo.
L’interpretazione originale della canzone vedeva nei panni di Chana Zelda e rav Kalman due artisti importanti della scena israeliana, Tzila ed Ezra Dagan (il rabbino Rabbi Menasha Lewartow di Schindler’s list, per intenderci). La natura dialogica del testo (Oh rabbi Kalman, mio caro marito, nella cucina farina non c’è. Mio caro marito, come pensi che possa preparare levivot se farina non c’è?) e la sua agilità narrativa ha fatto sì che spesso fosse reso in maniera teatrale (e a cercare su youtube ne trovate alcuni assaggi piuttosto interessanti). Ciò nonostante, la canzone è talmente celebre che oggi in rete se ne possono trovare numerose versioni, non da ultima una cover firmata dal gruppo di avanguardia Shmemel (lo trovate su youtube). È difficile decidere se sia meglio la tradizione o l’innovazione, pertanto a voi la scelta. Felice Hanukkah e attenzione a non fare la fine di rav Kalman: “Così rabbi Kalman si toglie gli stivali, indossa il grembiule, ripiega le maniche. Mescola l’impasto, versa e rovescia…”.
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).