Cultura
“Lo specchio perduto”: una mostra su ebrei e conversos nella Spagna medievale

Se l’arte riflette la visione del mondo di artisti e committenti, quali rappresentazione di cristiani, ebrei e convertiti fornisce la Spagna dal 1285 fino all’espulsione del 1492? Un viaggio al museo del Prado di Madrid

Le immagini che creiamo sono specchio del nostro modo di vedere il mondo. Restringendo il campo all’arte, quanto prodotto da pittori, disegnatori o scultori rispecchia il modo il cui l’artista o i suoi committenti vedono l’oggetto rappresentato.
Si spiega così la prima parte del titolo della mostra Lo specchio perduto, inaugurata lo scorso 10 ottobre al Museo Nacional del Prado di Madrid e in programma fino al 14 gennaio. La seconda parte del titolo, Ebrei e convertiti nella Spagna medievale, mette in chiaro di quali bias e conseguenti pregiudizi si stia qui trattando. Realizzata in collaborazione con Museu Nacional d’Art de Catalunya, dove si trasferirà da febbraio, l’esposizione è stata curata da Joan Molina Figueras, responsabile del Dipartimento di Pittura Gotica Spagnola della pinacoteca madrilena e raccoglie oltre 80 opere sia pittoriche sia scultoree, codici miniati e oggetti d’oreficeria provenienti da una trentina di chiese, musei, biblioteche, archivi e collezioni private spagnole e straniere. Divisa in cinque sezioni, l’esposizione abbraccia il periodo compreso tra il 1285 e il 1492 ed esplora il modo in cui gli ebrei venivano percepiti, e quindi rappresentati, nella Spagna cristiana del Tardo Medioevo, ricordando attraverso lo sviluppo delle immagini che, come sottonieano i curatori, “sebbene esista la differenza, l’alterità si costruisce”.

Nella prima parte della mostra emergono testimonianze di una convivenza che si potrebbe quasi definire felice, in cui cristiani ed ebrei condividono uno spazio dove i confini religiosi sono permeabili. Segno di questa comunicazione sono i lavori prodotti da artisti ebrei per committenti cristiani e viceversa, così come l’inclusione di figure bibliche e di pratiche ebraiche in opere d’arte cristiane come avviene ed esempio nel Cristo tra i dottori di un anonimo catalano, in prestito al Prado dal Metropolitan Museum di New York. Sul fronte ebraico, prova di dialogo e di scambio sono pergamene miniate ispirate nel formato e nello stile ai codici cristiani come l’Haggadah d’oro, giunta a Madrid dalla British Library di Londra.

A fine Duecento le cose cominceranno cambiare, e la mostra lo attesta con una sezione intitolata De precursores a ciegos, ossia da precursori a ciechi. Accettati e accolti inizialmente in quanto rappresentati di un Antico Testamento comunque parte della cosiddetta Storia della Salvezza, gli ebrei saranno accusati di cecità, colpevoli di non aver visto, riconoscendola, la divinità del Cristo. La metafora della cecità prende piede prima negli scritti teologici e poi in raffigurazioni pittoriche come La fontana della Grazia, nata nel laboratorio di Jan van Eyck. È l’inizio di un processo di divisione in cui l’ebreo viene percepito come l’Altro e la sua raffigurazione in questo senso viene usata come strumento di indottrinamento.
Le sezioni successive della mostra sono da una parte testimonianza della propaganda antiebraica, dall’altra prova degli effetti della stessa, dai pogrom alle persecuzioni dell’Inquisizione fino all’espulsione dalla Spagna. La campagna contro gli ebrei gioca da questo punto in poi su diversi fronti. Da un lato li si rappresenta come caricature o comunque con segni distintivi, dall’altro come nemici della fede cristiana. Che viene nell’occasione affermata per contrapposizione. E se all’epoca il culto dell’Eucarestia e delle immagini era a sua volta oggetto di discussioni interne alla Chiesa, ecco che l’accusa fatta agli ebrei di profanare queste stesse figure ne ratifica l’adorazione come un fatto identitario. Per non parlare poi della lotta a chiunque negasse la divinità di Gesù, fossero essi ebrei o eretici come i Catari (o Albigesi). È a questi che fa riferimento un’altra delle opere in mostra, San Domenico e gli Albigesi, olio su tavola in cui il pittore spagnolo Pedro Berruguete rappresenta il rogo con cui i libri della setta erano stati sottoposti alla prova del fuoco. L’unico che si salva sfuggendo in volo dalle fiamme è, ovviamente, quello del fondatore dell’ordine dei Domenicani…

Si resta disgraziatamente in tema di processi e di persecuzioni nella sezione dedicata alle immagini di e per convertiti. L’epoca è quella che segue i pogrom che devastarono la Penisola nel 1391 e alle successive conversioni di massa. Non paghi di aver costretto tanti ebrei ad abbracciare il cristianesimo per salvarsi la vita, le autorità ecclesiastiche erano a questo punto terrorizzate di essersi portate il nemico in casa. Dalle accuse di giudaizzazione rivolte ai conversos e dal terrore che questi minassero dall’interno la solidità della Chiesa si sarebbe arrivati all’istituzione, nel 1478, del Tribunale dell’Inquisizione. La produzione artistica si era mossa nel frattempo in due direzioni, da una parte con un’azione di propaganda per l’evangelizzazione, dall’altra, da parte dei convertiti, con la commissione di immagini religiose che provassero la propria sincera devozione.

Si arriva così all’ultima parte della mostra, che testimonia anche l’ultima fase della presenza ebraica in Spagna. Accanto all’accusa di praticare l’ebraismo in segreto, ai conversos si univa quella di avere, nonostante la conversione, il sangue “impuro”. Dai primi statuti di Toledo sulla purezza del sangue del 1449 all’espulsione del 1492 l’arte si sarebbe occupata anche di evidenziare la corruzione connaturata negli ebrei. Il tema della profanazione è ancora ricorrente nelle produzioni artistiche, abbinato a quello della punizione dei presunti colpevoli. Sono gli anni in cui sempre Pedro Berruguete dipinge Autodafé presieduto da San Domenico di Guzmán e, come lui, tanti altri artisti sono chiamati a giustificare ed esaltare il progetto repressivo dell’Inquisizione. Il tutto attraverso immagini e rappresentazioni che, come si legge nelle note introduttive alla mostra, erano “un riflesso fedele dello specchio cristiano, delle loro credenze e ansie e, con esso, un potente strumento di affermazione identitaria”.

Lo specchio perduto. Ebrei e convertiti nella Spagna medievale
Museo Nacional del Prado, Madrid, fino al 14 gennaio 2024

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.