Cultura
Medicina e ebraismo

Breve viaggio tra passato e presente con Rosanna Supino, presidente dell’Associazione Medica Ebraica

Il rapporto con la medicina nell’ebraismo ha origini antiche. Già nel Levitico si parla di quarantene per evitare il propagarsi del contagio di malattie infettive e di regole sociali per evitare la morte. E poi nel Medioevo si sviluppa un interessante relazione tra religione e scienza, volta a curare in modo efficiace. Maimonide infatti ha scritto un proprio giuramento, una sorta di aggiornamento di quello di Ippocrate. Perché considera alcuni principi inalienabili, come il dovere di curare e quello di farsi curare, rispettivamente del medico e del paziente. Si entra nel campo dell’etica, naturalmente. Ne abbiamo parlato con Rosanna Supino, presidente dell’Associazione Medica Ebraica.

“L’isolamento è una delle prime cure previste nella medicina per l’ebraismo. Fa parte della storia del popolo ebraico e nel Levitico si trovano dettagliate descrizioni della lebbra e dello scolo, come di altre malattie contagiose della pelle che potrebbero anche proliferare nei tessuti o addirittura nelle abitazioni. Il malato dovrà recarsi dal sacerdote che farà la diagnosi e quindi somministrerà la cura: l’isolamento per sette giorni, prorogabili. Quindi la persona colpita dall’infezione dovrà poi sottoporsi a lavaggi e dovrà lavare le vesti o addirittura bruciarle. Ma sarà il sacerdote – medico, trascorsi i giorni di isolamento, a rivedere il paziente e stabilire come proseguire, prima di accordargli il rientro nella comunità”, spiega Supino.

L’approccio ebraico alla medicina in effetti si distingue da quello egizio, assiro e babilonese proprio per l’aspetto sociosanitario: il malato va guarito prima che faccia il suo ritorno alla vita comune, a salvaguardia degli altri. Come spiega Giorgio Cosmacini, studioso della storia della medicina, nonché medico, molte norme comportamentali ebraiche hanno una valenza igienico-sociale a scopo preventivo, dall’igiene personale alla pulizie delle abitazioni e delle città stesse. Qui poi, spiega sempre Cosmacini, c’erano regole precise anche nell’edificazione: oltre a considerare il terreno e le abitudini degli abitanti, si presta particolare attenzione al passaggio delle carovane con le merci: gli assembramenti sono da evitare in caso di epidemia…
“Siamo stati i primi, è vero. Anche solo la regola di lavarsi le mani così spesso, ha permesso di sopravvivere nei ghetti, dove le condizioni igieniche erano pessime. E abbiamo anche un altro primato: il medico ha l’obbligo di curare, ma il paziente ha l’obbligo di farsi curare. Cioè, il nostro corpo deve stare bene, va rispettato. Perché va rispettata la vita. Ma se una gravidanza è a rischio, per esempio, bisogna in tutti i modi salvare la madre, che è una vita certa, rispetto al feto. L’aborto è ammesso: entro 40 giorni il feto è considerato acqua. Lo stesso ragionamento vale per le malattie genetiche: è permesso non fare figli se la coppia è a rischio. Prima della genetica e delle indagini prenatali, c’era una forma di prevenzione sociale. Era il rabbino, infatti, a dare il benestare al matrimonio perché conosceva le rispettive famiglie e le loro malattie importanti così, in caso di situazioni a rischio, non dava il suo avallo”.

La considerazione del corpo, come spiega bene Laura Filippi, è intesa nell’ottica del rispetto della persona in quanto creatura nella quale è presente una scintilla divina. Ecco perché si arriva, nel Medioevo, alla figura del rabbino-medico.
“La sacralità della vita è alla base della medicina e dell’etica. Però bisogna vivere con dignità, non nel dolore e nella sofferenza: tutti i sedativi e gli antidolorifici che non portino alla morte sono ammessi. Come è ammesso il testamento biologico. n esso va indicato un delegato, che molti ritengono sia meglio se è il rabbino, perchè possa agire al nostro posto nel momento del bisogno Va fatto davanti al rabbino per nominarlo delegato nel momento del bisogno”.

E in questo momento così difficile a causa della pandemia da covid-19?
“Riusciamo a fare molto poco, purtroppo la situazione è incontrollabile. Ma tengo a sottolineare che agire sul senso di colpa, come spesso si legge in questi giorni, non ha senso, purtroppo le malattie si sviluppano per casualità”.


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