Cultura
Giudeo-spagnolo: una lingua (ancora) viva

Le iniziative per salvare un idioma che rischia di scomparire. E che oggi si parla in in Turchia, Bulgaria, Grecia, Israele e Argentina

Giudeo-spagnolo, judezmo, ladino (da non confondere con l’idioma romanzo parlato sulle Dolomiti) sono i nomi con cui è conosciuta la lingua in uso presso gli ebrei iberici espulsi dal regno di Spagna dai cattolicissimi Ferdinando e Isabella nel 1492. Con il Decreto dell’Alhambra, o di Granada, i regnanti spagnoli stabilirono che ogni ebreo ed ebrea residente del regno dovesse convertirsi al cattolicesimo, pena l’esilio. Esilio che fu scelto da un consistente numero di ebrei i quali, a partire da quella data cruciale per l’avvento dell’età moderna, lasciarono la penisola iberica diretti sulle coste antistanti del Mediterraneo, e non solo. Impero ottomano, Maghreb, ma anche Toscana e Paesi Bassi videro nascere comunità sefardite (dove Sefaràd è il nome ebraico per la Spagna) pronte a fiorire e rifiorire culturalmente. Eredi di un glorioso passato – quello dell’al-Andalus medievale – costellato di successi letterari, scientifici e filosofici, i fuoriusciti iberici portarono con sé un forte senso identitario, che si esprimeva in primo luogo attraverso la specificità linguistica. Così, a Istanbul, Salonicco, Sarajevo, per secoli – e fino al giorno d’oggi – i discendenti di quelle generazioni espulse continuarono – e continuano – a parlare una particolare varietà di spagnolo.

Il fatto di aver trasportato in nuovi contesti geo-culturali una lingua può far pensare che tale idioma abbia conservato l’autenticità della fine del XV secolo, così che in genere il giudeo-spagnolo viene etichettato come una variante arcaica del castigliano. Ciò è vero solo in parte: se è certo che il judezmo ritenga alcune caratteristiche morfologiche appartenute a una fase antica del suo ramo romanzo, non si può tuttavia negare che, come ogni lingua, esso abbia conosciuto una propria evoluzione indipendente ed effettiva. Le peculiarità del giudeo-spagnolo, infatti, si devono a due principali direttrici di influenza a livello di lessico, morfo-sintassi e fonetica: da una parte, quella dell’ebraico – in quanto lingua dei testi sacri e fondativi della cultura ebraica – e, dall’altra, quella non meno importante delle lingue parlate nei territori che le comunità sefardite si sono trovate di volta in volta ad abitare. Non c’è dunque da stupirsi se integrate nel ladino si trovino parole turche, greche, bulgare ma anche francesi, italiane e inglesi. E nemmeno bisogna dimenticare che ci troviamo di fronte a una lingua che non è affatto monolitica o integralmente coerente a se stessa. Più che di giudeo-spagnolo, in effetti, dovremmo parlare di giudeo-spagnoli, in base alle sue più diverse manifestazioni storiche e geografiche.

Ma quali sono queste manifestazioni? Ovvero, quali sono gli strumenti che ci permettono di conoscere la storia della lingua? Partiamo allora dai testi letterari. Ciò che contraddistingue, alla prima occhiata, il ladino è la modalità di scrittura. Nei testimoni manoscritti e a stampa, difatti, il giudeo-spagnolo è per lo più scritto in caratteri ebraici (aljamiado), e in particolare con il cosiddetto alfabeto Rashi, ovvero una grafia basata sulla scrittura semi-corsiva sefardita del XV secolo. La prima opera a essere stata stampata in questa combinazione di lingua e grafia è il Regimiento de la vida (ovvero la Condotta di vita) di Moshe Almosnino, pubblicato a Salonicco nel 1564 (e qui digitalizzato).

Si tratta di un trattato edificante a sfondo etico e filosofico, del filone testuale giudaico del musar, la letteratura moralistica ebraica – la quale, come dimostra questo libro in ladino, non si esprimeva solamente in lingua ebraica ma anche nelle altre giudeo-lingue. La letteratura giudeo-spagnola conoscerà una fortuna crescente a partire dalla metà del Settecento e, soprattutto, nel corso dell’Ottocento. In questo periodo, l’élite culturale sefardita sentiva il bisogno di coinvolgere e istruire strati più ampi della popolazione ebraica – strati che non avevano familiarità con l’ebraico rabbinico con cui si continuava a produrre letteratura di vario genere. È questa la ragion d’essere del consistente numero di traduzioni e opere originali in judezmo approntate nella tarda età moderna. Abbiamo così testi come il Meam loez, un massiccio commentario enciclopedico sulla Bibbia pubblicato tra il 1730 e il 1777, o versioni ladine di famose opere moralizzanti come Shevet musar (Verga del castigo, 1748) e Pele yoetz (Meraviglioso consigliere, 1870). Ma non solo trattatistica: dal secolo XIX anche romanzi, feuilletons, opere teatrali interessarono un vasto pubblico, soprattutto grazie alla distribuzione tramite riviste e periodici.

E oggi? Qual è la situazione attuale del giudeo-spagnolo? Il numero di parlanti questa lingua è ritenuto variare tra i 50.000 e i 200.000, in zone che vanno dall’odierna Turchia, Bulgaria, Grecia, fino a Israele e all’Argentina. Il vero problema è che, in maggioranza, i madrelingua ladino appartengono a una generazione che sta invecchiando e che – per diverse ragioni socio-culturali – non ha potuto trasmettere una fluency attiva alle generazioni successive. I millennial sefarditi, per capirci, hanno una conoscenza solo passiva e spesso limitata della lingua che i loro nonni sanno ancora parlare. Il judezmo, quindi, si trova in una fase di evoluzione nella quale l’esistenza stessa della lingua è a rischio estinzione.

Per questa ragione, sotto l’egida della Real Academia Española e non senza polemiche, è stata fondata il 20 febbraio 2018, in Israele, la Academia Nasionala del Ladino. Non sono poche, in ogni caso, le iniziative sia accademiche che divulgative volte a proteggere il giudeo-spagnolo dalla scomparsa e, soprattutto, a diffonderne la conoscenza. L’università israeliana Bar Ilan, ad esempio, ospita il Salti Institute for Ladino Studies. Recentemente, quest’estate, ad Halberstadt si è tenuta l’ottava edizione della Universita Sefardi de Enverano, promossa dall’instancabile Michael Studemund-Halévy e dedicata alla trascrizione in caratteri latini di testi giudeo-spagnoli aljamiados. Il risultato di uno di questi programmi di traslitterazione è uscito nell’ultimo numero della rivista in ladino El Amaneser. Ma anche letteratura vera e propria: basti pensare alla poetessa e narratrice messicana Myriam Moscona, che nella raccolta in ladino Ansina ridà vita e contemporaneità alla lingua degli ebrei sefarditi.

Per chiudere, vale la pena di soffermarsi ad ascoltare un brano della ricchissima tradizione musicale giudeo-spagnola. La canzone s’intitola Ija mia mi kerida (Figlia mia, mia cara) e così recita:

Ija mia mi kerida
Aman, aman, aman
No te eches a la mar
Ke la mar esta en fortuna
Mira que te va yevar

Ke me yeve ke me traiga
Aman, aman, aman
Siete puntas de ondor
Ke me engluta peshe preto
Para salvar del amor

E così si può tradurre:

Figlia mia, mia cara

Aman, aman, aman

Non andare al mare

Perché il mare è in tempesta

Attenta che ti porta via

Ke mi prenda, che mi porti via

Aman, aman, aman,

Sette braccia in profondità

Che m’inghiottisca un pesce nero

Per salvarmi dall’amore

Ilaria Briata
Collaboratrice

Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


3 Commenti:

  1. Mi piacerebbe essere informata sugli studi che ancora si effettuano in ladino in Italia ed in Israele. Grazie

    1. Per quanto riguarda lo studio del ladino in Italia, non si può dire che esista una vera e propria “scuola” né che ci sia un gran numero di studiosi. Dal punto di vista di storia della lingua, si può segnalare l’attività di Laura Minervini, docente all’Università Federico II di Napoli. Sul fronte israeliano, le cose stanno diversamente, poiché c’è un’attività accademica più “organizzata”. Oltre al Salti Institute di Tel Aviv menzionato nell’articolo, si può ricordare il centro per i “Ladino Studies” all’Università Ebraica di Gerusalemme, fondato e diretto da David Bunis – centro universitario che dovrebbe offrire anche veri e propri corsi di lingua giudeo-spagnola.
      Spero che queste informazioni possano essere utili!

  2. Mi farebbe piacere dialogare con chi ancora parla ladino. Io me lo ricordo sbbastanza ma spesso lo confondo con il castejano. Serve continuo esercizio.


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