Cultura
Il nuovo Giardino dei Giusti di Milano

Una passeggiata nel Giardino in compagnia del suo creatore, l’architetto Stefano Valabrega

Era il gennaio 2003 quando – riprendendo e ampliando l’esperienza del Giardino dei Giusti tra le Nazioni di Yad Vashem – veniva inaugurato a Milano il Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Un luogo per ricordare e onorare chi scelse, nelle più differenti circostanze, di non restare indifferente: di fronte alla Shoah, al genocidio armeno, ai totalitarismi del Novecento; in presenza della dittatura, della censura, della privazione delle libertà; e ancora, nelle sfide del nostro tempo, come il terrorismo, l’immigrazione, la lotta per i diritti. Un luogo nel luogo, un simbolo nel simbolo: il Giardino si trova sul Monte Stella, la “Montagnetta” del quartiere QT8 progettata negli anni Cinquanta dall’architetto Piero Bottoni sopra l’accumulo delle macerie provocate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dalla sua inaugurazione fino a oggi, l’attività del Giardino non si è fermata un momento: il luogo – gestito dall’Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano, formata dalla Onlus Gariwo, dall’UCEI e dal Comune di Milano – ha ospitato visite guidate, iniziative, incontri. Soprattutto, è il luogo dell’appuntamento che dal 2013 – a seguito della proclamazione della Giornata Europea dei Giusti da parte del Parlamento Europeo – si rinnova ogni 6 marzo (anniversario della morte di Moshe Bejski, primo Presidente della Commissione dei Giusti tra le Nazioni di Yad Vashem) con la proclamazione di nuove figure di Giusti.

Però, c’era un fatto. A meno di non trovarsi nel contesto di una visita guidata, identificare il Giardino non era impresa facile. Chi negli anni passati (come chi scrive) si è ritagliato un momento per visitarlo, senz’altro ricorda la difficoltà di individuarlo, di distinguere quegli alberi da tutti gli alberi del Parco. Una situazione di fatto contrastante con l’obiettivo del Giardino, essere un luogo vivo di partecipazione e inclusività. Si pensa così a un progetto di riqualificazione che si scontra con opposizioni e obiezioni, richiede modifiche e compromessi. Ma si arriva alla conclusione e domenica 6 ottobre il novo Giardino è stato inaugurato in presenza delle autorità, in una giornata di festa.

Pochi giorni dopo, mi trovo nel Giardino per visitarlo guidata dal suo creatore, l’architetto Stefano Valabrega. In un pomeriggio autunnale qualunque, col sole che un po’ c’è e un po’ no, l’esperienza della visita è più intima e autentica. Soprattutto, è più naturale confrontarsi con le persone che si incrociano, fuori e dentro il Giardino, mettersi nei loro panni: se io mi trovassi qui per caso, se stessi camminando distrattamente, passando correndo con la musica nelle cuffie, mi accorgerei di questo luogo?

“La necessità del Giardino era proprio quella di dargli maggiore identità”, spiega l’architetto Valabrega. “La sfida era rendere il Giardino identificabile rispetto al resto del Parco, ma allo stesso tempo far sì che questa identificabilità non stridesse, non contrastasse con l’opera di Bottoni”.

Ingresso del Giardino

Un cartello segnala che ci troviamo all’ingresso del Giardino. In questo punto, il progetto iniziale prevedeva un portale. “Lo avevo pensato come un accesso virtuale, un paio di colonne separate come quelle che stanno ai lati del portone di ferro battuto tipico delle vecchie cascine milanesi. Ma è stato ritenuto un elemento troppo forte, impattante”.

Un’altra idea importante della prima stesura era mettere in comunicazione visibile passato e presente, rivelando al visitatore le macerie della guerra: “La storia del Monte Stella è fondamentale, da un punto di vista urbanistico e della memoria. E rischia di perdersi, perché molti non la conoscono. Nel mio primo progetto era previsto che si scavasse in un punto fino a trovare e rivelare le macerie, che il visitatore avrebbe potuto osservare dall’alto di una passerella. Ma mi hanno spiegato che in base alle direttive della Asl ciò non era possibile”, racconta Valabrega. “Da qui è stata fissata una delle limitazioni più significative per il progetto: lo scavo non doveva superare i quaranta centimetri. Ne consegue che anche l’idea dei muri alti 2,40 metri che avrebbero dovuto richiamare Yad Vashem e fare da supporto alle targhe dei Giusti, non si poteva portare avanti”.

Dedica a tre Giusti milanesi durante l’occupazione nazifascista: Don Giovanni Barbareschi, Fernanda Wittgens e Giuseppe Sala

Il Giardino ora in effetti non ha muri, semmai dei muretti, in pietra, a delimitare gli spazi. L’altezza dei muri del primo progetto era stato tra gli elementi a suscitare più opposizione. Ma le obiezioni, dice Valabrega, per la maggior parte erano più ideologiche che realistiche. “Nel Comitato del No che si era costituito in opposizione al progetto, molti si appigliavano a pseudo-elementi strutturali e di progettazione, ma era solo un pretesto per schierarsi contro”. C’era una componente di antisemitismo? “Certamente, nonché di razzismo in genere. In aggiunta, c’era un senso di “proprietà privata”, la paura di essere “espropriati” da parte di un attore che non è del quartiere. Si sono diffuse voci false e strumentalizzazioni: arrivano le ruspe, le colate di cemento. Ma mentre i lavori erano in corso abbiamo organizzato delle visite guidate e dato modo alle persone di giudicare coi propri occhi. L’atteggiamento generale così si è ammorbidito, fino a una graduale accettazione”.

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I percorsi che dal Viale dei Giusti conducono ai vari cippi

Nonostante tutte le modifiche, assicura, ciò che stiamo visitando rispecchia il concetto del progetto originale. Dall’ingresso si accede a una prima parte, ordinata in percorsi semicircolari che si aprono e chiudono dal Viale dei Giusti e che conducono alla visita dei vari cippi. I sentieri lastricati in pietra che attraversano l’erba consentono la percorrenza in tutte le stagioni, anche d’inverno con il fango. “Una delle idee che vorrei prossimamente realizzare”, dice Valabrega indicando uno spazio erboso un po’ più vasto “è dare ulteriore identità al luogo promuovendo dei concorsi per giovani scultori che possano collocare qui la loro opera. Da esibire prima in una mostra temporanea e poi, magari, da spostare in fondo al Giardino, dove c’è ancora spazio, per realizzare una collezione permanente”.

La riconoscibilità del luogo è fondamentale. “Conosce il Giardino dei Giusti di Palermo?”, chiede.  “È precedente a quello di Milano ed è di una bellezza sconvolgente. Una piazzetta, di circa 30 per 50 metri, ricavata dalla demolizione di un palazzo bombardato durante la seconda guerra mondiale, tutta pavimentata in pietra siciliana tranne nella parte centrale dove c’è un ulivo. Ma io ci sono capitato per caso, attirato dalla sua bellezza. Non ci sono indicazioni chiare per i viandanti. Questo è il problema di molti luoghi”.

Base dell’Albero delle Virtù, prima dell’anfiteatro

Superata la prima parte, si giunge a due piazze che portano all’anfiteatro. Al centro di questi due spazi abbiamo, rispettivamente, l’Albero della Memoria e l’Albero delle Virtù. Tra le due piazze e prima dell’anfiteatro c’è una sosta interessante: lo Spazio del Dialogo. Sei posti a sedere, singoli, disposti in angolazioni diverse, comunicanti tra loro ma, curiosamente, piuttosto distanti. “Come siamo noi nella vita. Nella nostra società c’è difficoltà all’ascolto, alla comprensione delle altrui ragioni. I posti sono singoli per stimolare la riflessione e lo sforzo al raggiungimento dell’altro. Il dialogo non è facilitato attraverso la vicinanza, bensì attraverso la distanza, che serve a sentirsi protetti e non attaccati. Nello stesso tempo, con i suoi pochi posti, è un luogo raccolto, intimo, che richiama la dimensione di fiducia in cui un dialogo dovrebbe svilupparsi”.

Lo Spazio del Dialogo

L’anfiteatro, l’ultima tappa, è dedicato a Ulianova Radice, Direttrice di Gariwo e Vicepresidente dell’Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano, scomparsa il 16 ottobre dello scorso anno. “Considero l’anfiteatro l’elemento più utile del progetto”, afferma Valabrega, “dal punto di vista della didattica. È il luogo ideale perché le scolaresche che vengono in visita non si disperdano, possano raccogliersi e concentrarsi. Non è destinato solo alle iniziative legate ai Giusti, ma è a disposizione della collettività. Per esempio di recente si è tenuta qui nell’anfiteatro una riunione del Consiglio di Zona: tutti hanno apprezzato il luogo, anche quelli che in passato avevano criticato il progetto. Ironia, qualcuno ha commentato: peccato che ci siano pochi posti a sedere. Nel primo progetto ce n’erano circa quaranta in più. Un altro compromesso sul quale ci si è dovuti accordare”.

L’anfiteatro dedicato a Ulianova Radice

L’idea del “Giardino dei Giusti di tutto il mondo” genera opposizione?, chiedo. “All’inizio ci furono dubbi da parte di Yad Vashem, per il timore che si potesse arrivare a una banalizzazione della Shoah. Ma dopo molti chiarimenti ed evoluzioni di pensiero, penso che le incomprensioni siano state superate”, commenta Valabrega. Che poi aggiunge: “Al di là di tutte le polemiche, le modifiche e i cambiamenti, la cosa più importante di questo progetto era finirlo”. È felice del risultato? “Sì, felice è stata proprio la mia parola nel giorno dell’inaugurazione”.

Molte targhe ancora vuote lungo il percorso del nuovo Giardino dei Giusti in attesa di nuovi nomi e nuove storie.

Lungo il perimetro che si snoda fino all’anfiteatro e poi torna verso l’Albero delle Virtù, decine di targhe portano i nomi dei Giusti del nostro tempo; ma molte altre sono vuote, attendono di essere incise con un nome e una storia. “Dobbiamo sperare che la vita non ci metta mai di fronte alla necessità di esprimere il nostro senso di giustizia. Ma se accade, tutti noi dobbiamo essere pronti a farlo”.

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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