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“Paesaggi curvi” di Aqua Aura in mostra a Ferrara

L’arte contemporanea inaugura la riapertura della Sinagoga Grande della Scola Italiana

Dopo i danni subiti dal terremoto del 2012, era rimasta chiusa al pubblico fino a oggi: la Sinagoga Grande della Scola Italiana di via Mazzini, a Ferrara, è stata finalmente riaperta sabato 16 marzo.

“I lavori di restauro non sono terminati, ma siamo felici di riaprire, e in particolare di farlo ospitando una mostra d’arte contemporanea”, spiega il presidente della Comunità Ebraica ferrarese Andrea Pesaro durante l’inaugurazione. “Conferma che la comunità ebraica, come sempre è stato, è parte della città, del suo tempo. La comunità è piccola, ma vogliamo che sia viva e partecipante. Vediamo questa mostra come la proiezione di una continuità, come il primo di una serie di eventi”.

La Sinagoga infatti, insieme alla Palazzina Marfisa d’Este, è fino al 16 aprile una delle due sedi espositive della mostra “Paesaggi Curvi” dell’artista Aqua Aura. Nato a Vimercate (MB), un diploma al liceo artistico di Bergamo e una laurea in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, negli anni l’artista ha sperimentato diversi linguaggi, da quello pittorico e fotografico, a quello filmico. Dopo un periodo vissuto tra l’Italia e l’Islanda, dal 2016 si è stabilito a Milano.

L’arte nella cultura ebraica

“C’è chi, avendo in mente il divieto biblico di non rappresentare figure per non indurre all’idolatria, sostiene che esista un contrasto tra cultura ebraica e arte”, spiega Rav Luciano Meir Caro, rabbino capo della Comunità di Ferrara. “Il divieto di rappresentare figure è certamente un aspetto pregnante dell’ebraismo, ma ciò non significa che esso sia ostile all’arte, tutt’altro. La parola “ommanut”, che significa “arte” in ebraico, è legata ad altre tre parole: emunah, fede; emet, verità; e man, la manna, il cibo miracoloso del deserto.

L’arte, vista come espressione umana di lode a Dio, occupa uno spazio molto importante. Un verso della Shirat HaYam, la Cantica del Mare intonata da Miriam dopo l’attraversamento del Mar Rosso recita: “Questo è il mio Dio e lo voglio esaltare”. Come si può esaltare Dio? Una risposta è appunto attraverso la bellezza. Non è un caso che il testo biblico dedichi, ad esempio, quasi 400 versetti alla descrizione del tabernacolo, il santuario portatile che gli ebrei dovettero costruirsi usciti dall’Egitto. E che si dicesse che chi non aveva visto il tempio di Salomone non poteva sapere cosa fosse la bellezza. Così, nei secoli molta della capacità artistica ebraica si è riversata negli oggetti destinati al culto e alla liturgia. Tradizione nella quale, peraltro, le donne avevano un ruolo centrale”.

Le possibilità altre del paesaggio: il ghiaccio

Il titolo dell’esposizione “Paesaggi Curvi”, spiega Aqua Aura, richiama il saggio scientifico “Passaggi Curvi” (pubblicato in Italia da Il Saggiatore), della fisica e cosmologa Lisa Randall (docente presso il MIT e la Harvard University) che postula l’esistenza di piccole pieghe nello spazio all’interno delle quali le leggi della fisica sarebbero diverse da quelle ordinarie.

La mostra dunque, prosegue l’artista, è costruita intorno al paesaggio e alle sue altre possibilità. Al senso del paesaggio nella nostra vita, sia come genere, sia come oggetto. In tutte le opere c’è un personaggio che non esce mai di scena: è il ghiaccio.

“Tutto ciò che può fare un artista è, attraverso l’immaginario, inventare ciò che non è o rendere visibile ciò che non è più. Lo scioglimento dei ghiacci è l’emblema di un cambiamento epocale del pianeta. I dati ci dicono che esso sta sparendo. La scelta di lavorare sul ghiaccio, così, è legata a due motivazioni. La prima è lo struggimento, la nostalgia per qualcosa che ancora è, ma che presto non sarà più. Un fantasma ancora presente. La seconda è che questi paesaggi conservano la dimensione del sublime: rivelano il senso di una bellezza, che oggi, proprio come il ghiaccio, stiamo perdendo. La bellezza che prescinde l’umano, svincolata da qualsiasi intenzionalità, praticità, utilità, che ci consente di tendere all’assoluto”.

Il cuore della mostra è rappresentato dalle due video-installazioni “Where the Lost Things Are”, presso la Palazzina Marfisa d’Este e “Millennial Tears” presso la Sinagoga. Nella prima, con lo spettacolo di un pezzo di Antartide che compare in un magazzino industriale abbandonato, assistiamo al passaggio dal reale al magico: il ghiaccio, rubato, viene introdotto in un luogo di produzione umana.

Nella seconda, lo spettatore si immerge nella vita del ghiaccio e nella forma delle lacrime fino a che non è condotto ad altri piani del linguaggio: l’immagine lascia spazio al suono, al canto e alla musica della tradizione ebraica, religiosa e laica.

Millennial Tears e le sue implicazioni ebraiche

Aqua Aura racconta di aver presentato Millennial Tears per la prima volta nella sinagoga di Reggio Emilia e di aver constatato come esistano piani di lettura differenti. “Si potrebbe pensare che le implicazioni ebraiche di questa mostra siano scarse, ma non è affatto così”, conferma Rav Caro. “L’acqua per esempio, nel testo biblico è spesso associata ai preludi di un matrimonio. Abbiamo molte storie in cui il primo incontro avviene presso un pozzo, una fonte, un corso d’acqua. Inoltre, la manna è descritta nella Bibbia come molto simile al ghiaccio”.

L’artista precisa: “Questo lavoro, in quanto realizzato da un non ebreo, non vuole e non può aggiungere nessuna nuova verità sull’ebraismo. Ma vuole trasmettere un sentire, lo sguardo di chi a un certo punto nella vita ha avuto un incontro con l’ebraismo che l’ha portato in un altro piano dell’esperienza. Due luoghi mi hanno ispirato: il primo è stato il sacrario che si trova nello Yad VaShem, il Museo della Shoah di Gerusalemme. Ha tutto l’aspetto di un bunker e al suo interno una registrazione recita costantemente i nomi delle vittime e il Kaddish, la preghiera del lutto. È un luogo che non mostra nulla, se non un’emozione fondamentale: un enorme struggimento.

Il secondo luogo è stato il Vatnajökull, l’enorme ghiacciaio dell’Islanda. Il collegamento tra i due luoghi è costituito dalle lacrime. Che significano dolore, ma anche gioia, e altre emozioni. E la loro conformazione cambia a seconda dell’emozione che le provocano. Nel video vediamo riprese ingrandite di lacrime, prese da archivi medici. Un viaggio tra le immagini di un paesaggio sublime e le espressioni di una cultura, che si chiude con inquadrature di strisce bianche e azzurre: un richiamo ai colori del ghiaccio, ma anche a quelli del talled, il manto della preghiera”.

Ritrovare, riappropriarsi del sublime, o dargli l’ultimo, struggente addio? La domanda, se di domanda si può parlare, resta aperta. L’acqua, nella cultura ebraica, è anche associata ai quattro fiumi del Giardino dell’Eden. Che non si troverebbe, conclude Rav Caro, da nessun’altra parte se non sulla Terra. Come a dire: il paradiso è qui, e lo stiamo distruggendo.

La mostra “Paesaggi Curvi”, curata da Maria Letizia Paiato e Chiara Serri, realizzata in collaborazione con i Musei Civici d’Arte Antica e la Comunità Ebraica di Ferrara, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara e del Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS), resterà a Ferrara presso la Palazzina Marfisa d’Este (Corso della Giovecca 170) fino al 5 maggio, e presso la Sinagoga Grande della Scola Italiana (Via Mazzini 95) fino al 16 aprile. 

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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