Cultura Cibo
Tahini, la salsa magica

La pasta di sesamo, oggi contesa dagli chef internazionali, si è affermata inizialmente come sottoprodotto dell’olio. Storia e ricette

Ci sono ingredienti che passano indifferentemente dal dolce al salato senza perdere la propria identità. A ben pensarci, non sono molti. Certo, ci sono prodotti base come la farina, all’origine di pizze e focacce come di biscotti e torte, o l’olio d’oliva, che deve perdere però la sua forza aromatica quando entra in un dessert, o ancora il burro, che dona ricchezza ovunque lo si spalmi o mescoli. Uscendo dal campo degli sfarinati e dei condimenti, le categorie sono invece solitamente ben definite. O stai da una parte o dall’altra, poche chiacchiere. C’è un tipo di alimenti che scardina però questa teoria. Si tratta dei semi oleosi. Da una parte quella che viene indicata genericamente come frutta secca, vedi mandorle, noci o arachidi (che poi sarebbero legumi, ma vabbè), dall’altra i semi universalmente indicati come tali, tanto piccoli quanto versatili. Tra questi, spiccano per ambivalenza quelli di sesamo.

Crudi o tostati, li troviamo spolverizzati sui prodotti da forno dal Nord al Sud, dai bagel newyorkesi ai pani siciliani, senza disdegnare pesci in crosta o cotolette impanate all’israeliana. Sono sempre loro, poi, a comporre quei deliziosi croccantini a base di miele noti in Sicilia e in parte della Calabria come cubbaita o giurgiulena. Di origine araba, questi dolcetti ci riportano immancabilmente al Medio Oriente, dove l’abbinata tra frutta secca, semi e miele è all’ordine del giorno. E di associazione in associazione, conduce a quella multiforme entità che è l’halva, nome che indica una sterminata costellazione di dolci. Alla base di tutto c’è sempre lui, il sesamo. O, per essere precisi, la pasta ottenuta dalla macinazione dei suoi semi, comunemente nota come tahini o tahina.

Dunque, facendo ordine. Da una parte abbiamo un ingrediente dalla storia millenaria, tra i primi a essere stati impiegati per produrre l’olio in Asia; dall’altra troviamo il suo derivato più sorprendente, la pasta uscita negli ultimi anni dal campo della cucina tradizionale mediorientale per completare le creazioni dolci e salate più innovative. Senza mai perdere l’orgoglio delle sue origini e di chi che ne ha favorito lo sdoganamento in Occidente. Guardando ai testi antichi, va detto che il sesamo vi compare relativamente tardi, almeno rispetto alla sua diffusione, che si colloca intorno al secondo millennio prima di Cristo. Nella Bibbia non viene menzionato, ma in compenso viene citato nella Mishnah. Trattando dell’olio da utilizzare per alimentare le lampade di Shabbat, e sulla possibilità di sostituire quello di oliva, il Talmud recita più o meno così: “Cosa farebbero i Babilonesi che non hanno altro che l’olio di sesamo?”. Che la prima occorrenza importante si riferisca all’olio non deve stupire, dato che inizialmente il sesamo era coltivato per questo fine. E che il suo stesso nome significava proprio “pianta olearia”. Estratto dai semi crudi così come da quelli tostati, l’olio era stato usato fin dall’antichità sia per scopi alimentari sia per la combustione.

Quello che qui ci interessa, però, non è il pur prezioso estratto liquido, ma il suo derivato più corposo. Nato, parrebbe, come materia di scarto del primo. Parliamo della pasta (o burro) di sesamo, la tahini, oggi contesa dagli chef internazionali, ma affermatasi inizialmente come sottoprodotto dell’olio. Per ottenerla, ieri come oggi, i semi di sesamo vengono leggermente tostati ed eventualmente decorticati per poi essere macinati in un composto denso e liscio, più o meno scuro e amarotico a seconda che le bucce dei semi siano state o no rimosse. Anche se è facile associare la tahini a hummus, felafel, insalate e babaganoush, non è questa la sola forma in cui è uscita dai confini mediorientali. A sorpresa, pare che tra i primi a portare negli Stati Uniti la pasta di sesamo ci sia stato un immigrato ebreo proveniente da Kiev. Nathan Radutzky aveva appena 22 anni quando nel 1905 mise piede in America e solo due in più quando fondò la Indipendent Halvah and Candies nella Lower East Side di Manhattan. Come intuibile dal nome, il suo cavallo di battaglia era l’halvah, il dolce a base di pasta di sesamo che il ragazzo produceva a mano seguendo la sua speciale ricetta di famiglia. La distribuzione era ai tempi affidata ai carretti dei venditori di strada e solo in seguito sarebbe passata alle gastronomie ebraiche e ai negozi di confetteria. Dopo la seconda guerra mondiale, figli e nipoti di Nathan rinominarono l’azienda familiare in Joyva Corporation e, dopo averne trasferito la sede a Brooklyn, oltre a proseguire la produzione di dolcetti iniziarono a vendere la tahini in lattine sottovuoto, superando così la necessità di refrigerarla. Tuttora operativa, Joyva rappresenta oggi il principale produttore di halvah negli Stati Uniti affiancando alla creazione di questi e altri dolci quella del burro di sesamo che ne compone la ricetta originaria. O, perlomeno, quella portata da Nathan negli Usa dall’Est Europa.

Non esiste infatti un solo tipo di halvah, e gli stessi arabi, quando lo introdussero nel VII secolo, scelsero questo nome per indicare semplicemente qualcosa di dolce (dalla radice hilwa). Fatta questa premessa, e ricordato che i primi a realizzare degli halvah e a usare lo zucchero erano stati i Persiani, si può a grandi linee stabilire che ne esistano due tipi principali. Uno è quello considerato originario, sorta di budino a base di farina, zucchero e burro chiarificato diffuso nell’Asia meridionale, l’altro è più simile a una caramella e ha come base la pasta di sesamo e il miele. Quello prodotto da Radutzky fin dal suo arrivo in America è ovviamente di quest’ultimo tipo, che guarda caso è anche quello più diffuso in Israele.

A base di pasta tahini, pare che la sua ricetta sia giunta in Europa all’epoca della dominazione ottomana. Conquistando la Romania, i Turchi vi avrebbero introdotto anche un nuovo modo per realizzare dolci a partire dal burro di sesamo facendo subito breccia nel cuore delle comunità ebraiche locali. Che diffusero non solo la pratica dolciaria, ma introdussero anche il termine yiddish halva in America, dove sarebbe entrato nella lingua inglese nel 1846 proprio grazie agli immigrati ashkenaziti.

Sul fronte salato, negli Usa si comincerà a parlare di thaini verso la fine dell’Ottocento, ma per decenni il prodotto sarà relegato sugli scaffali nei negozi etnici. Pur avendo fatto la fortuna di aziende come Joyva, la pasta di sesamo entrerà nei supermercati Usa solo dalla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo, in contemporanea con la diffusione su larga scala della cucina del Medio Oriente. In principio usata esclusivamente per preparare l’hummus o l’omonima salsa per guarnire felafel e verdure arrosto, la thaini è stata riscoperta negli ultimi anni sia sul fronte salato sia su quello dolce. Con la semplice aggiunta di acqua, succo di limone e aglio, si trasforma in una crema adatta ad arricchire carni, pesci e contorni vegetali. Alternativa veg alla maionese, proteica ma pareve, viene incontro ai precetti religiosi così come ai comandamenti salutistici. Da sola, la semplice pasta può essere aggiunta a puree e a impasti come prima si pensava di poter fare solo con la polpa di ceci o di melanzane. Sul fronte dolce, anche se l’halva resta la sua destinazione primaria, la thaini entra ora con successo anche in frullati e dolci al cioccolato, impreziosendo l’impasto di torte e di irresistibili biscottini in una golosissima manifestazione di sincretismo gastronomico e culturale.

Verdure arrosto con salsa tahini al miele

Ingredienti:
4 zucchine
4 carote
1 cavolfiore piccolo
2 cipolle rosse
2 rametti di rosmarino
5-6 spicchi d’aglio
olio extravergine d’oliva
sale
pepe
Per la salsa
100 g di pasta di sesamo (tahini)
2 cucchiaini di miele
1 limone
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
sale
pepe

Spuntare le carote e le zucchine e raschiare le carote, poi tagliare entrambe prima a metà e quindi in 4 parti nel senso della lunghezza. Sbucciare le cipolle e tagliarle a grossi spicchi. Dividere il cavolfiore a cimette, sbollentarlo per 2 minuti, poi scolarlo e trasferirlo in una teglia con gli altri ortaggi e con gli spicchi d’aglio non sbucciati. Condire le verdure con un filo di olio, una presa di sale e una macinata di pepe, aggiungere il rosmarino a ciuffetti e cuocerle nel forno già caldo a 200° per circa 20 minuti, rigirandole un paio di volte. Prelevare 3-4 spicchi d’aglio quasi a fine cottura.

Spremere la polpa dagli spicchi d’aglio e schiacciarla in una ciotola con una forchetta per renderla cremosa. Unirvi quindi la tahini, il succo spremuto di mezzo limone e il miele, poi cominciare a mescolare unendo a poco a poco mezza tazza di acqua fredda.
Emulsionare il composto con una frusta a mano o un mestolo fino a ottenere una crema liscia, regolandone la densità con altra acqua alternata a filo con poco olio extravergine. Regolare di sale e pepe. Trasferire la salsina in una ciotola. Sfornare gli ortaggi, trasferirli in un largo piatto da portata e servirli accompagnati dalla salsina a parte o già nappati con parte della crema.

Tahini Halvah

Ingredienti:
500 g di miele
350 g di tahini
200 g di di mandorle affettate tostate o altra frutta secca

Riscaldare il miele in un pentolino a fiamma bassa fino a raggiungere i 115 °C, o comunque fino a quando, facendone cadere un cucchiaino in una tazza di acqua fredda, questo forma una pallina appiccicosa e morbida che si appiattisce una volta scolata. Nel frattempo, mescolare bene la tahini per emulsionarla, poi scaldarla in un pentolino fino alla temperatura di 48 °C . Toglierla dal fuoco e aggiungerla al miele mescolando con un cucchiaio di legno per amalgamare perfettamente il composto fino a quando diventa liscio. Aggiungere le mandorle o l’altra frutta secca, sempre sminuzzata e tostata, e continuare a mescolare per circa 8 minuti, fino a quando il composto inizia ad addensarsi. Versare quanto preparato in uno stampo da plumcake ben unto, lasciarlo raffreddare a temperatura ambiente e avvolgerlo quindi con pellicola da cucina. Riporlo in frigo e lasciarlo solidificare per 36 ore. Sformarlo e tagliarlo a tocchi piccoli e regolari con un coltello affilato.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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