Cultura
“Rapito” è un capitolo di storia non un thriller

Il film di Marco Bellocchio è bello, importante, coraggioso. E tutti dovrebbero vederlo per sapere, per conoscere, per atto di coscienza

Prima ancora di andare al cinema a vedere il film di Marco Bellocchio, Rapito, avevo la sensazione di esserci già stata. Un po’ perché la vicenda mi è nota da tempo e già da anni si parlava di un’idea produttiva di Stevan Spielberg sul caso Mortara, arenata perché il regista non riusciva a trovare un bambino con la faccia giusta. Bellocchio lo ha trovato nel giovanissimo Enea Sala, un piccolo mostro di bravura.  E poi Rapito è stato preceduto da interviste al regista, ad Elena Mortara, pronipote di Ernesta, la sorella di Edgardo nonché traduttrice ufficiale di Philip Roth e autrice di un libro proprio sul caso, Writing for justice, da altre pellicole precedenti minori subito messe a confronto con quella più recente.
Ma, devo ammetterlo, avevo anche molta paura di soffrire e di essere delusa. La sensazione generale era che si andasse a toccare un argomento spinoso, perfino scabroso, tanto che mymovies parla di “thriller”, addirittura lo definisce “un horror avvolto da carità cristiana”. Cosa avrà voluto dire non è dato saperlo. Il problema è casomai questo. Noi ebrei questa storia la conosciamo bene, è un capitolo brutto della storia italiana, ma sappiamo anche che di casi come quello di Edgardo ce ne furono molti altri. Non era infrequente che balie cattoliche decidessero di loro iniziativa di far battezzare bambini ebrei per salvare loro l’anima; certo, quella dei Mortara divenne un caso simbolico perchè raggiunse una certa notorietà internazionale e la famiglia non si arrese.
Il rischio è che gli italiani non ebrei, ignari della storia, vadano davvero a vedere il film come se si trattasse di un thriller e quindi una fiction. Una trama ispirata a un fatto successo ma qualcosa di lontano, di altro da sé; mentre invece questo è un evento davvero orribile della storia del nostro paese, parla alla coscienza collettiva di tutti noi cittadini e riflette sui rapporti tra papato ed ebrei che rimasero ambivalenti fino a tempi recenti: ricordiamo che Benedetto XVI chiese  la santificazione di un altro papa ugualmente ambiguo, Pio XII, colpevole di aver taciuto davanti alle leggi razziali e alla Shoah. Alla domanda se Papa Francesco abbia commentato o visto la sua opera, Bellocchio risponde che gli piacerebbe molto visionarla con il Santo Padre. Auguri.
Per ora non è arrivato alcun commento dalla sede pontificia. Ma veniamo al film che si apre proprio quando la balia Maria Montesi, vedendo i genitori di Edgardo pregare in quella lingua strana davanti al loro bambino, si convince che stiano scongiurando la sua morte e prende provvedimenti per battezzarlo, dopo aver chiesto consulto al droghiere, con poche gocce d’acqua sulle fronte. Sarà l’inizio di un lungo calvario, quando, sei anni dopo, e pare per una cifra di denaro, la Montesi si lascia convincere dal Pier Gaetano Faletti (interpretato da un bravissimo Fabrizio Gifuni) il responsabile dell’inquisizione vaticana, a confermare il suo atto che, secondo la legge dell’epoca, richiede che il bambino riceva un’educazione cattolica. Così Edgardo viene strappato alla famiglia, nonostante gli inutili tentativi di dissuadere Faletti. Diviso tra l’amore e la nostalgia straziante per i genitori e i fratelli, costretto ad adattarsi ai rapitori, che Bellocchio è così bravo da non descrivere come carnefici (chiedono se vuole una caramella, sono formalmente gentili) trova un po’ di sollievo nella dissociazione da se stesso come tutti i bambini abusati.
Il film segue, con ritmo incalzante, i tentativi della famiglia di riavere il piccolo, cercandolo prima nella provincia di Bologna poi a Roma, fotografa l’incontro con il padre la madre supervisionato dai preti, che rende impossibile la spontaneità tranne quando il bambino, tra le braccia della mamma, trova finalmente la forza di aprirsi al dolore e di gridare di riportarlo a casa. Bellocchio è molto sensibile, riesce ad entrare nel cuore della violenza, descrive sentimenti e fatti storici con precisione. Le descrizioni del mondo ebraico sono accurate (a parte quando il prete indica un crocefisso e dice a Edgardo: Gesù era ebreo come te – un’affermazione abbastanza improbabile a metà Ottocento, riconoscere Gesù come ebreo), non ci sono sbavature e neanche eccessivi schematismi (forse la madre di Edgardo che muore proprio nel momento in cui recita lo Shemà, ma sono veramente dettagli, l’arte non deve essere reale ma verosimile, credibile e io all’emozione ho creduto). In più si racconta con grande esattezza una pagina della storia italiana veramente dura e il contemporaneo nascere di un’Italia che per gli ebrei rappresentò una speranza, prontamente tradita dal fascismo e dalle leggi razziali. L’Italia liberale, che tornava sulla scena internazionale come paese permeato di ideali mazziniani, di uguaglianza, l’Italia della breccia di Porta Pia che butta giù la statua dell’odiato potere papale e irrompe sfondando le mura della fortezza a colpi di cannone. Una curiosità: a sparare il colpo di cannone fu un bersagliere ebreo. Nessun altro ebbe il coraggio di farlo perchè il Papa aveva promesso che avrebbe scomunicato chi vi si fosse azzardato! Ed è anche molto bello il personaggio di Edgardo cresciuto, diviso tra l’amore e l’odio verso il Papa (in una scena che forse è un sogno si unisce a coloro che vorrebbero scaraventare il feretro di Pio IX nel Tevere), scisso e vittima della negazione dei suoi sentimenti profondi fino alla fine.
Un film quindi bello, importante, coraggioso, che tutti dovrebbero vedere per sapere, per conoscere, per atto di coscienzaLa mia domanda è, di nuovo: quanto gli spettatori capiranno di tutto ciò? I miei vicini al cinema, al momento dell’incubo in cui il Papa sogna di venire circonciso da fantasmi ebrei giudicanti la sua condotta, hanno esordito con: che fanno, lo castrano? Quelli dietro commentavano il processo alla Montesi e a Faletti, prendendo le parti ora dell’uno ora dell’altra come se si trattasse di Law and Order. E quanti avranno compreso che la madre del piccolo Samuele, costretta a convertirsi, quando il piccolo muore, fa scivolare di nascosto nella sua bara un oggetto, probabilmente una metzuzah, con i rotoli della Torah? O che gli altri bambini catecumeni non si chiamano a caso Elia, Gioele, Samuele: sono bambini ebrei, come Edgardo, perché il suo non fu certo un caso isolato. Bellocchio non commenta mai, non spiega, agisce per sottrazione e confida che lo spettatore abbia gli strumenti per sapere. Fa benissimo dal punto di vista artistico, ma mi rimane il dubbio che ciò poi di fatto avvenga. Infine, ci sono le critiche che vengono dagli “intellettuali” e quelle fanno paura.
Ieri ho letto, prima di scrivere questa recensione, un articolo furibondo di Tempi, il giornale di Comunione e Liberazione, dove si taccia Bellocchio di ideologia e lo si accusa di essere un bugiardo: il rapimento fu sereno (?), Edgardo trovò nel Papa un padre e fu felice, come scrive anche nel suo Memoriale che il regista deve aver letto, secondo loro, ma ignorato. Nonostante gli applausi a Cannes non molto distanti sono le posizioni de “Il Giornale”. E poi, come ricorda Gad Lerner, allora direttore del Tg 1, non dimentichiamoci che Papa Wojtila indisse una cerimonia per beatificare Giovanni XXIII e Pio IX, due personalità che più discordanti non potevano essere, tanto per parlare di nuovo di scissione e negazione. Quindi, che dire? Incrociamo le dita. Speriamo che il pubblico vada al cinema e che il messaggio arrivi. Anche perché un altro oblio, un’ennesima rimozione di memoria, non ce la possiamo proprio permettere.
Laura Forti
collaboratrice
Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021. Con Guanda nel 2022 pubblica Una casa in fiamme.

4 Commenti:

  1. “Il mio peccato mi sta sempre davanti”.Ho visto il film,e come cattolica mi sono vergognata.E mi vergogno per le posizioni di CL.La tragedia più dolorosa,dopo le infamie del passato,è questa assenza di pronunciamento da parte della Chiesa,che mostra così il suo persistente antisemitismo

  2. Vorrei avere un suo commento circa gli aspetti non considerati nel film da parte di Bellocchio e precisamente il fatto che Papa Pio IX non fosse assolutamente “obbligato” a fare ciò che ha fatto, perché un suo predecessore, Papa Giulio III (che pure si era reso responsabile del rogo dei Talmud e della tassa sulle sinagoghe), nel 1553 aveva vietato i battesimi “segreti” o forzati dei bambini ebrei senza il consenso dei genitori (comminando addirittura una multa di 1000 ducati per chiunque avesse ‘tentato’ di farlo); quindi il battesimo (presunto) della cameriera poteva benissimo non essere considerato valido. Inoltre l’ingresso coatto nella casa dei Catecumeni non poteva avvenire, secondo il diritto canonico, prima dei 7 anni di età e al momento del rapimento Edgardo non li aveva ancora compiuti. Bene mi sembra che queste omissioni siano state volute forse per alleggerire le colpe del Vaticano?
    Grazie per un suo commento

  3. Il caso Mortara
    Gemma Volli. Ed. Giuntina.
    Era un libro che mi interessava da tempo da leggere.
    L’ho acquistato qualche mese fa ed è stato provvidenziale.
    Grazie a Lei per il suo contributo

  4. Film comovente! Fa riflettere. Nessun popolo può essere convertito a forza o con sotterfugi . I danni morali e psicologici sono devastanti . E ogni minoranza deve essere rispettata per quello che è . Il mondo è bello perché è vario !


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