“Se non cambiamo subito il regolamento e il sistema elettorale, chi verrà dopo di noi si troverà esattamente con gli stessi problemi che abbiamo oggi” dichiara a Joimag l’assessore al bilancio e ai contributi della comunità milanese
“Vorrei fare un discorso generale”, dichiara subito Rony Hamaui, assessore al bilancio e ai contributi, “perché il problema di questa comunità è nella governance. Non mi interessa entrare nei dettagli, né indicare i ‘buoni’ e i ‘cattivi’, perché ci sono problemi strutturali che rendono la comunità ingovernabile”. Una fotografia del Consiglio della comunità milanese, appena caduto per le dimissioni dei consiglieri della lista Wellcommunity, che ha come punto focale lo statuto della stessa istituzione.
I meccanismi, cioè, attraverso cui maggioranza e opposizione possono collaborare oppure farsi una guerra spietata. E che, secondo l’assessore, andrebbero immediatamente modificati, prima di indire le prossime elezioni. “Se non cambiamo subito il regolamento e il sistema elettorale, chi verrà dopo di noi si troverà esattamente con gli stessi problemi che abbiamo oggi. O meglio, prima viene una questione morale, dettata dal senso etico cui sono chiamati tutti i consiglieri a collaborare e portare avanti il proprio lavoro nel Consiglio stesso. Ad aggravare le cose si aggiunge la questione del regolamento e del sistema elettorale. Nella scorsa legislatura sono state fatte delle modifiche, ma l’esito è molto discutibile. Il vecchio ordinamento è stato abolito per introdurre il voto di lista (in sostituzione del precedente sistema che prevedeva di votare i singoli candidati) e il premio di maggioranza. È stata inoltre introdotta la regola per cui la minoranza può far cadere il consiglio in qualsiasi momento. In altre parole, tutti gli organi sono sempre sotto ricatto, ogni decisione deve essere presa in 19! Pertanto il regolamento va aggiustato per rendere più agevoli e trasparenti i percorsi decisionali”.
Ora che il Consiglio è caduto, però, non è più possibile lavorare a questa riforma..
“Credo che si possa ancora fare se c’è la volontà politica di lasciare ai prossimi candidati uno strumento utile per governare”.
Sono solo tecnici i problemi di questo consiglio? Oppure rispecchia tensioni e spaccature interne alla società che compone la comunità milanese?
“Certamente c’è una grossa spaccatura tra chi è più vicino ai valori dell’identità ebraica e chi invece a quelli della stretta osservanza , anche se ritengo inaccettabile la distinzione fra ebrei di serie A e B. In problema è che in Italia una legislazione di stampo napoleonico (che infatti ci accomuna alla Francia) impedisce di strutturare la vita comunitaria in congregazioni, che invece animano con successo il mondo anglosassone. Inoltre, siamo troppo pochi per sostenere un sistema del genere, ma quello attuale, che prevede un solo rabbino capo, una sola casa di riposo, una sola scuola, non sembra rispondere pienamente alle esigenze attuali della nostra comunità”.
Nei fatti è già divisa in qualcosa di simile alle congregazioni.
“Sicuramente per quanto riguarda le sinagoghe: ogni gruppo ha la propria. Ma non è un caso, che nonostante tutte le cose buone fatte (ovviamente parlo anche del risanamento finanziario), siamo caduti sulla scuola, un bene comune per il cui benessere occorre fare compromessi, come in ogni forma di democrazia. Invece, la scuola è stata fortemente polarizzata, e in realtà piccole numericamente come la nostra, questa tendenza ha un peso importante. Insieme alla casa di riposo e all’assistenza sociale, la scuola deve puntare alla qualità. La comunità deve fornire servizi di eccellenza, prima di tutto. Perché l’alta qualità è al di sopra delle parti”.
Mi viene in mente allora che forse, utopisticamente parlando, un sistema di congregazioni controllato da un sistema centrale (per assolvere al problema numerico), capace di gestire le istituzioni, forse potrebbe rivelarsi positivo.
“Potrebbe essere interessante. Idealmente ci vorrebbe un’istituzione super partes (almeno per quanto riguarda la scuola, ma non solo) capace di accogliere al suo interno tutte le differenze. Ma c’è ancora un altro problema, molto concreto, un vizio di forma antico e ben radicato nei vari consigli. I consiglieri vogliono gestire in prima persona le istituzioni di cui si occupano. E questo non può funzionare, il consigliere è tenuto a dare un indirizzo da seguire, ma la gestione va lasciata alla struttura. Per fare un esempio semplicissimo, è la differenza che in un’azienda c’è tra i consiglieri e l’amministratore delegato. Ecco, se poi ci aggiungiamo gli infiniti e intricati conflitti d’interesse, l’ingovernabilità è quasi garantita. Ciò detto, abbiamo lavorato bene: basta dire che chiudiamo per il secondo anno consecutivo con un bilancio in attivo!”.
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.